martedì 25 ottobre 2016

"LA COSTITUZIONE DI UN PARTITO CON MODICHE QUANTITA' DI POPOLO" . LE RAGIONI - CONVINCENTI - DEL NO DI TREMONTI

Risultati immagini per no al referendum costituzionale

Sono consapevole di chiedere troppo alla memoria dei lettori amici del Camerlengo, però quelli storici, e appunto dotati di forti rimembranze, potrebbero testimoniare della mia non simpatia per Giuliano Tremonti, uomo che ha ai miei occhi due difetti importanti :  1) è socialista ( questo però, lo riconosco, è soggettivo, e so che per altri è una qualità 2) è arrogante (e questo invece è brutto e basta).
Nondimeno non potevo riconoscere l'indubbia intelligenza del "nostro" e la sua ampia cultura.
A suo tempo, fu uno dei pionieri visionari degli eurobond, che adesso invocano in tanti, anche come disperato collante politico di una unione europea veramente piena di crepe.
Fu anche uno dei profeti di sventura relativamente alla globalizzazione, che lui voleva arginare, osservando come la concorrenza con paesi senza regole e pesi di welfare, come la Cina in primis, ma anche India e , in misura minore, Brasile , Russia e Sud Africa, fosse falsata e svantaggiosa per l'Europa (anche questo è concetto ora diffuso).
Dato atto che i maledetti dal dono di Cassandra (vedere il futuro e non essere creduti) hanno il difetto di dire cose sgradite ma il pregio di azzeccarci (almeno, più spesso), ho letto con interesse l'intervento di Tremonti comparso sulla pagina delle opinioni del Corriere della Sera.
E' una acuta riflessione sul referendum, e in opposizione a quelli del SI', voglio evidenziare alcuni aspetti, salvo che, come sempre, l'intero post lo potete leggere appresso :
1) La Riforma e la Legge Elettorale sono consustanziali, rispondono cioè ad uno identico progetto politico
2) Questo progetto fa capo ad un solo partito, anzi, una parte dello stesso : il PD renziano
3) E' falso che se si perde questa occasione non sarà più possibile cambiare la Costituzione : in passato è già accaduto 36 volte (negli USA mai, che l'abbiano scritta meglio ? ) , con risultati a volte ottimi ( ancorché incompleti, vedi l'art. 111 ) a volte pessimi (Titolo V).  Il cambiamento non è un valore di per sé, lo è se porta miglioramenti concreti e giusti. Questa riforma è troppo "appropriativa e approssimativa".
4)  In Italia non è che il problema principale sia fare più velocemente le leggi, ma piuttosto farne MENO e soprattutto MIGLIORI. Senza contare il problema della loro applicazione, affidata ad una pessima burocrazia.
5) Se vince il NO il mondo non finirà. Come è vero per il SI' ovviamente. Quindi non date retta agli appelli catastrofisti (in questo senso già si era validamente espresso  Levi nel post https://ultimocamerlengo.blogspot.it/2016/10/se-vince-il-no-il-mondo-non-finira-ecco.html ).
6) Da ultimo ho lasciato il tema a me più caro, e cioè il sistema monocamerale in salsa Italicum.  Strategicamente, osserva Tremonti, è una cosa inaccettabile, con una forza (piuttosto debole...) che con il voto di 2 italiani su 10 prende il controllo di Parlamento e Governo. Ma a parte questo evidente vulnus democratico, resta un problema politico : se sei minoranza nel paese, e diventi maggioranza in Parlamento solo per alchimia della legge elettorale, poi come governi una Nazione che deve navigare in acque così perigliose, come il nostro con la globalizzazione, la crisi delle vecchie alleanze, le nuove inquietudini moscovite, il dramma dell'immigrazione, la deflagrazione del vicino medio oriente, i difficili rapporti con una Unione Europea in fibrillazione ?
Senza contare la chiosa sarcastica, che non poteva mancare con uno come Tremonti, sull'errore tattico intrinseco nella legge elettorale : disegnata per vincere e che più probabilmente farà vincere un altro...
Una lettura da non perdere.



Il Corriere della Sera - Digital Edition
 
Il progetto di potere della nuova costituzione

di Giulio Tremonti

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Caro direttore, non solo le conseguenze fanno parte dei fatti, anche le premesse. E dunque, come nel Brumaio del 1779 Napoleone Bonaparte inizia la sua avventura come «Primo Console», così — se non è riduttivo il paragone — nella radiosa primavera del 2014 Matteo Renzi inizia la sua avventura neoconsolare: non solo Segretario del suo partito, non solo presidente del Consiglio dei (suoi) ministri, ma tutte e due queste cose insieme, più qualcos’altro: il frutto atteso da due congiunte leggi di riforma, una elettorale, l’altra costituzionale.
Due leggi sviluppate in parallelo al servizio di un unico piano politico. E oggi è inutile tentare di negarlo, perché Google non perdona. In ogni caso, una prova per tutte: la nuova legge elettorale è solo per la Camera e non per il Senato, per la semplice ragione che nella nuova parallela «Costituzione» questo non sarebbe più eletto dal popolo.

E, dunque, due pezzi disegnati per essere poi fusi in unico monoblocco di potere. Quello che a Bruxelles si definisce come un «political compact» e a Firenze si chiama «panino».
Prima di mangiarlo o gettarlo, togliamo almeno il Domopak che l’avvolge. Il primo pezzo, la legge di riforma elettorale, contiene due gravi errori: uno strategico e uno tattico. Errore strategico è pensare, è illudersi che i grandi e crescenti e drammatici problemi portati dalla globalizzazione — dalla crisi alle migrazioni — possano essere governati con piccoli numeri. Forse era così una volta, oggi non è più così. Oggi, se sei minoranza nel Paese, ma per effetto di legge diventi maggioranza in Parlamento, non vai comunque da nessuna parte.
Anche perché la «rete» brucia nell’istantaneo quei tempi che prima la legge comunque garantiva alla vecchia politica.
Se in Italia i votanti sono il 60% e il Pd ha il 30%, vuol dire che il Pd ha solo il 18% dei voti degli italiani. Vuol dire che, su 10 italiani, circa 2 sono per il Pd, ma gli altri no.
La Germania ci può non piacere, ma piace ai tedeschi, che sono forti anche perché dal 2003 sono uniti in una «grande coalizione». E poi l’errore tattico: solo dopo si è scoperto che la legge elettorale, confezionata su misura per vincere, fa vincere un altro.
Il secondo pezzo, fabbricato nell’officina della riforma costituzionale, dovrebbe funzionare come una macchina politica più veloce, più economica, più stabile. Una macchina più veloce, nella produzione delle leggi? Nel solo 2014 il vecchio sistema bicamerale italiano è stato così «lento» da produrre 7,8 chilometri lineari di nuove leggi (più che in Germania o in Francia). Il 58,9% sono stati Decreti legge, ciascuno mediamente finalizzato in soli 52 giorni. Oggi siamo al 59° Decreto legge.
In realtà in Italia non servono più leggi e, comunque, quello della maggior necessaria velocità legislativa è un falso problema, che certo non si risolve con una falsa soluzione.

Una macchina più economica? Se anche il prezzo di listino fosse un po’ più basso, il costo di manutenzione e di transazione, per procedure e conflitti di attribuzione e potere, sarebbe certamente molto più alto.

Infine una macchina più stabile? La competenza del nuovo «Senato» non è stata limitata ai «territori», alle materie di interesse municipale e regionale, come sarebbe stato logico, ma estesa all’Europa (artt. 70,81,87). E dunque, dato quanto fa o pretende di fare e normare e regolare l’Europa, così si finisce per dare al nuovo «Senato» una competenza a sua volta quasi universale.

Così che, a partire dai «Trattati europei», che saranno decisivi per il nostro futuro — per restare in Europa, per uscirne, per cambiarla — tutto bicameralmente dipenderà da un organo drammaticamente e grottescamente inadeguato. Nessuno potrà imporgli la fiducia, per contro quasi tutti i senatori offriranno sul mercato politico il loro voto. Come è stato sempre e tipico, nei «Senati» della decadenza. Così che si passerà dalla padella del «Titolo V», sul cattivo rapporto tra Stato e Regioni, alla brace del caos, nel rapporto con l’Europa.

La fragilità degli elementi strutturali della nuova «Costituzione» risalta comunque nella varietà irrazionale degli argomenti utilizzati per sostenerla. Il cambiamento per il cambiamento, come valore in sé, nel «movimento» esprimendosi lo stile di un nuovo futurismo politico. Il fatalismo dell’«ora o mai più».
In realtà la Costituzione è già cambiata 36 volte.
Lo scambio tra una Costituzione e una «manovra economica»: come una «slide» la «Costituzione» servirebbe infatti per «far ripartire l’economia», questa per suo conto invece ferma, nonostante tutte le leggi fatte finora. L’alibi dell’orfano: stiamo correggendo gli errori che noi stessi abbiamo fatto nel 2000-2001, come chi uccide i genitori e poi chiede le attenuanti perché è orfano.

Si riformerebbe «solo» la seconda parte della Costituzione, la prima resterebbe invariata. C’è invece sempre stato un effetto di trasmissione, tra le due parti. Basta vedere come il «nuovo» articolo 117, incorporando l’Europa, e il nuovo art. 81, incorporando il «fiscal compact», abbiano già influito sulla struttura dei diritti garantiti nella prima parte della Costituzione.
Il maldestro tentativo di correggere gli errori: l’«Italicum» per ora messo nel «freezer»; i senatori che dovrebbero essere eletti indirettamente «ma anche» direttamente. Infine, gli argomenti apocalittici: l’«horror vacui», per ciò che potrebbe succedere dopo, salvo poi dire che non succede niente. E così via.
Come concludere? Risalendo alle premesse si vede oggi che, dopo la radiosa primavera del 2014, come in un Brumaio rovesciato siamo arrivati all’autunno. Nella storia le Costituzioni sono sempre state di tre tipi: prodotte a seguito di guerre o rivoluzioni; graziosamente concesse dai sovrani; scritte per comune convinzione tra tutti i rappresentanti del popolo.
Ora ne avremmo una di quarto tipo: scritta per approssimazione e per appropriazione.
La «Costituzione» di un partito, malamente disegnata da un partito e per un partito che, una volta «vinte» le elezioni, potrebbe senza limiti fare tutto ciò che vuole. Con modiche quantità di popolo. Ma creando nel Paese, comunque vada il «referendum», una ulteriore, violenta e non necessaria divisione.

Prima che all’autunno faccia seguito l’inverno della Repubblica, si potrebbe forse tentare di passare dall’«io» al «noi»; scendere dall’alto, per scoprire che c’è anche il basso; tenere conto del futuro e non solo del presente e l’allarme già suona con la drammatica improvvisa ma spiegabile caduta del tasso di natalità; non credere solo nel potere, ma anche nei valori; intendere il bene comune come qualcosa di diverso dalla semisomma sistematica di specifici interessi elettorali.

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