mercoledì 9 novembre 2016

VINCE TRUMP : WATERLOO DEI SONDAGGISTI E DEI GRANDI MEDIA

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Razionalmente non sono contento della vittoria di Trump. Consideravo, come molti, Hillary Clinton il "male minore" in una elezione che non offriva candidati brillanti. In politica estera peggio di Obama non potrà essere, pensavo, e forse il dialogo USA Europa migliorerà. Speranze, per carità, che ora non avranno verifica.
Trump viceversa si presenta come uno che "se ne frega" degli altri, America the First, e non a caso le cancellerie europee, Germania e Francia in testa (figuriamoci Palazzo Chigi dove l'endorsement per la Clinton è stato più che esplicito e ora sarà imbarazzante) sono preoccupate. Il fatto che invece siano contenti Putin, Assad e, giù, ma molto giù, per li rami, Grillo e Salvini, è motivo di allarme in più.
Irrazionalmente, provo una malvagia soddisfazione per la rotta dei radical chic americani, per quei "liberal" sempre più socialdemocratici e sempre meno liberali, per i giornaloni come il NYTimes e il Washington Post che, una volta di più, dimostrano di rappresentare solo se stessi e una arrogante minoranza. Un po' come da noi Repubblica, per intenderci, specie negli anni del cd. berlusconismo.
Non parliamo poi per la rotta dei sondaggisti, ormai giustamente paragonati a degli astrologi, pure poco fortunati e abili (quelli antichi tiravano ad indovinare, ma erano più capaci di intuire come sarebbero andate le cose...).
Nei prossimi giorni i commenti sull'esito imprevisto e scioccante delle elezioni americane si sprecheranno e saremo pronti a fornite quelli più interessanti.
Da parte mia, che ho sempre guardato con curiosità e attenzione alle cose USA, e quindi sempre seguito le elezioni presidenziali dai tempi di Ford e Carter, ma anche leggendo di quelle precedenti, rilevo come sia la prima volta in assoluto che un candidato "radicale", assolutamente NON centrista, abbia vinto. Negli USA candidati troppo spostati a destra ( Goldwater) o a sinistra (MC Govern), hanno sempre perso sonoramente.
Stavolta no.
I risultati dei cosiddetti populisti in Europa, dalla Francia di Le Pen, all'Austria di  Hofer, all'Ungheria di Orban, alla Polonia di  Kaczynski, per arrivare all'Italia di Grillio, senza dimenticare la Brexit inglese, sembrano provare che il vecchio adagio per il quale si vince al centro, conquistando il voto moderato, non valga più.
Non in epoca di incertezza economica (che ha travolto e impoverito la classe media), immigrazione folle e incontrollata, minaccia terroristica e astensionismo massiccio.
Prima, forse, erano gli elettori  radicali a restare a casa, scontenti di candidati in cui non si potevano riconoscere, e quindi erano i moderati a far pendere l'ago della bilancia.
Adesso sembra essere il contrario.
E' un mio pensiero. Vedremo se lo ritroverò nelle analisi dei prossimi giorni.
Intanto propongo l'articolo del Corsera sulla débâcle dei sondaggisti e dei grandi media.



Elezioni Usa 2016, una disfatta epica
per i nuovi sondaggisti

L’altalena impazzita dei nuovi modelli matematici. I grandi sconfitti delle elezioni americane del 2016 sono coloro che hanno assicurato una vittoria di Hillary. Selfie, hashtag e lo psicodramma sui social

 
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La situazione l’ha riassunta bene il sito The Hive che nel deliro crescente della notte elettorale americana ha scritto su Twitter:
 «I sondaggi hanno ormai la stessa accuratezza delle previsioni astrologiche».
Mentre si contano gli ultimi voti che decideranno la presidenza degli Stati Uniti, c’è infatti una sola certezza: i grandi sconfitti delle elezioni americane del 2016 sono i modelli matematici che hanno assicurato per mesi una vittoria larga o di misura ma comunque certa a Hillary Clinton. Da quello del New York Times, che ieri ha salutato l’Election Day assegnandole l’85% di possibilità di conquista della Casa Bianca, fino ai diversi sistemi di previsione proposti dalle superstar della statistica. Con Nate Silver, ideatore del sito Five Thirty Eight, che ha sempre concesso a Donald Trump solo una possibilità su tre di diventare presidente, e il suo competitor Sam Wang del Princeton Election Consortium che negli ultimi giorni è arrivato ad assegnargli l’1% di chance di vittoria: previsioni affidate ad algoritmi, calcoli e formule che si sono date battaglia nei salotti televisivi e sui social network con l’obiettivo di affermare la bontà di un modello su tutti gli altri, ma fallendo tutte clamorosamente.
  
Forse Donald Trump non aveva tutti i torti quando — a ogni nuovo sondaggio che ribadiva il netto vantaggio di Hillary Clinton — ripeteva che non era colpa sua ma dei sondaggisti, i quali «come hanno sbagliato le previsioni su Brexit, sbaglieranno anche quelle sulle elezioni americane». Il candidato repubblicano ha twittato spesso con violenza che i sondaggi sono «truccati» ma, in realtà, potrebbero essere semplicemente sbagliati.

D’altronde, più degli errori statistici o dei pregiudizi degli analisti, potrebbe essere stato il fattore umano a condizionare l’elezione più pazza della storia recente americana. Lo sanno bene i supporter del candidato repubblicano (e qualche timido analista) che da tempo ripetono come un mantra due concetti.
 Il primo riguarda i sondaggisti, ritenuti incapaci di intercettare la «maggioranza silenziosa» del Paese. Il secondo si riferisce all’antropologia degli elettori repubblicani e democratici: a differenza dei sostenitori di Hillary — fieri di mostrare il loro sostegno alla candidata —, quelli del businessman tenderebbero infatti a nascondere il supporto.
È il famigerato «effetto Bradley» diventato un pilastro della politica americana, secondo cui molti elettori — per paura di essere tacciati come razzisti — dichiarerebbero di non votare per un candidato bianco, o di essere ancora indecisi, per poi dargli la preferenza nel segreto dell’urna.

In questo ci sarebbe una similarità con il voto Brexit: «La diffusa vergogna morale riservata ai supporter del Leave in Inghilterra — ha detto alla Cnn Steve Hilton, ex consulente di David Cameron — è la stessa che ha investito gli elettori di Trump in America, e può essere riassunta dalla frase di Hillary che li aveva definiti un «cesto di miserabili»: un pensiero che rispecchia le accuse rivolte ai sostenitori della Brexit tacciati come razzisti, xenofobi e bigotti.
Non a caso, nei sondaggi raccolti al telefono o di persona Hillary Clinton è in vantaggio maggiore su Trump (+9.7) rispetto a quelli raccolti via internet (+3.7). La paura di essere giudicati dai sondaggisti sarebbe dunque più forte della libertà di esprimere la propria reale preferenza. Sarebbe dunque proprio il voto nascosto e non intercettato da alcun modello matematico ad aver favorito Donald Trump nella corsa alla Casa Bianca. E a trasformare gli osannati sondaggisti in astrologi di terza classe.

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