mercoledì 9 novembre 2016

PER HILLARY SFUMA PER SEMPRE IL SOGNO DI UNA VITA, PUR AVENDO PRESO PIù VOTI DI TRUMP

Donald Trump presidente, scatta l'ironia di disegnatori e fumettisti

Era più improbabile vedere un nero che una donna alla Casa Bianca, ma per il momento la prima cosa si è realizzata, la seconda ancora no.
Accadrà, ché del resto la Storia ha già conosciuta grandi donne a capo di Nazioni importanti, però quella che sembrava predestinata come la prima a sedere nello studio ovale come Mrs. President, Hillary Clinton, non lo sarà. Perse le primarie contro Obama, stavolta ha perso le elezioni contro Trump, e nessuno, lei per prima, lo avrebbe mai pensato.
A quasi 70 anni, e una salute non eccellente, questo con ogni probabilità è stato l'ultimo treno per la tenace signora che ha veramente fatto e accettato di tutto pur di rimanere, quando era la First Lady, e poi tornare, come Presidente, alla Casa Bianca.
Si vede che non era destino.
Nemmeno può consolarla il fatto che, alla fine, avrebbe preso anche più voti assoluti rispetto al rivale : 59.429.281 contro 59.243.097, uno 0,2% di differenza.
Lo scarto dei grandi elettori infatti, dato dalla vittoria nei singoli Stati, è molto netto : 310 a Trump, 228 a Clinton.
E' la logica del maggioritario spietato, senza alcuna concessione al proporzionalismo : chi vince prende tutto. E quindi diventa fondamentale vincere in certi Stati piuttosto che altri, a dispetto dei voti presi. Sistema discutibile, ma da sempre in vigore negli USA, almeno da quanto ne sappia, e nessuno lo ha mai contestato.
Certo, alla fine si ha un Presidente che ha l'effettivo favore di un quarto degli americani, considerato che, as usual,  il 50% se n'è restato a casa e quello che ha votato si è spaccato esattamente in due.  Fin quando il Presidente  viene poi sostanzialmente accettato dai più, può anche andar bene, ma se la maggior parte  invece non si sente   in alcun modo rappresentata dal vincitore, possono esserci problemi seri, specie se i tempi sono difficili e devono essere prese decisioni gravi.
Come  appunto accade nella nostra epoca.


LaStampa.it

La resa di Hillary Clinton, addio per sempre alla Casa Bianca

La First Lady prova a sfidare l’esito del voto, poi desiste e chiama il rivale

paolo mastrolilli
inviato a new york
 
 
 
 
 
Sono quasi le due del mattino, quando nella stanza dell’Hotel Peninsula di Manhattan, dove Hillary Clinton aspettava i risultati delle elezioni presidenziali, entra la realtà. La prima donna alla Casa Bianca non sarà lei.

 

I giornalisti del pool che l’hanno seguita durante l’ultimo anno fermano il capo della campagna, il fedele John Podesta, per chiedere se Hillary si sta avviando verso il Javits Center, dove invece di celebrare questo successo storico dovrà consegnare la presidenza a Donald Trump: «No - risponde Podesta - sto andando io». In queste quattro parole c’è tutto lo sconforto e lo shock della sconfitta, che poco dopo diventano dramma. Podesta infatti sale sul palco che doveva occupare Clinton, e sorprende tutti: «Questa è stata una lunga notte, dopo una lunga campagna. Quindi possiamo aspettare ancora un po’, per garantire che tutti i voti vengano contati. Siamo orgogliosi della strada che abbiamo percorso insieme, e siamo orgogliosi di voi. Abbiamo fatto insieme un grande lavoro, e ancora non lo abbiamo finito». 
 
Il primo discorso di Trump: è il momento di stare uniti
 
La gente si guarda perplessa negli occhi, dopo averli inumiditi di lacrime, quando era diventato chiaro che Hillary non avrebbe conquistato la Casa Bianca. Di cosa sta parlando Podesta? Le elezioni non sono perse? C’è ancora speranza di cambiare il risultato?Per qualche minuto rivediamo il film del 2000, quando Al Gore aveva contestato la vittoria di George Bush, chiedendo di ricontare i voti della Florida. Allora, però, la differenza era di cinquecento preferenze, conteggiate male in uno stato: stavolta parliamo di migliaia di voti, in almeno cinque stati. Quale strategia ha in mente Clinton? Il Javits Center si svuota, passando dalla speranza di diventare il luogo che doveva celebrare la prima donna presidente, all’incertezza di una battaglia legale, che potrebbe durare a lungo e danneggiare le istituzioni. 
 
 
La marcia indietro  
Nel frattempo, però, Hillary riflette e cambia idea. Si rende conto che la sconfitta è netta e il sogno della sua vita è sfumato. Non c’è modo di diventare presidente, anche usando tutte le sue abilità legali, che in passato le hanno dato tante soddisfazioni, ma anche tanti problemi, facendola apparire come una manipolatrice. Alza il telefono, e poco prima delle tre del mattino chiama Trump: «Hai vinto, congratulazioni. Adesso lavoriamo insieme per il bene del paese».  
In quel momento la fatica, la disperazione, ma forse anche un senso di liberazione scivola sulle sue spalle. Dalla stanza dell’Hotel Peninsula aveva prima sperato di vivere un trionfo, poi aveva scoperto l’incertezza, e infine il dramma del fallimento. Aveva visto il gelo che calava sul Javits Center, mano a mano che arrivavano i risultati sempre più scoraggianti. Fino a quando le lacrime erano comparse sui volti dei sostenitori più accaniti. Quelli che non avevano mai creduto agli attacchi più duri lanciati contro di lei, quelli che l’avevano consolata dopo i tradimenti del marito, quelli che avevano visto rinascere la sua popolarità politica dopo che nel 2008 aveva perso le primarie contro Barack Obama e aveva accettato di fare il suo segretario di Stato. Quelli che l’avevano difesa dopo l’assalto al Consolato di Bengasi, proteggendola dagli attacchi politici della «vasta cospirazione di destra», finalizzata proprio a sfruttare qualunque scusa pur di negarle il sogno della sua vita.  
 
La disperazione delle sostenitrici di Hillary

Non era cosa, però. Gli Stati Uniti hanno avuto un presidente nero, e prima o poi avranno anche un presidente donna. Non sarà lei, però. Quella che sembrava la predestinata, ma passerà invece alla storia solo per la più bruciante sconfitta politica degli Stati Uniti. 

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