giovedì 22 dicembre 2016

ANCHE LA DEMOS DI DIAMANTI CONFERMA : IL REFERENDUM NON HA SCOSSO GLI EQUILIBRI DELL'ITALIA TRIPOLARE

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Ilvo Diamanti si dice sorpreso dei risultati del sondaggio effettuato dal suo istituto, Demos, io lo sono molto meno.
Il dato che dopo il Referendum le intenzioni di voto non fossero dissimili da quelle ante consultazione era stato già rilevato da Nando Pagnoncelli sul Corsera, e la spiegazione mi sembra semplice.
Il SI ha comunque preso molti milioni di voti, e una gran parte di questi viene dal PD, a dispetto dell'impegno di D'Alema, Bersani, i sindacati e altri che si erano espressi contro. Poi certo il PD, con buona pace di Lotti e qualche altro minus habens come lui (ma forse per il ventriloquo di renzino si tratta di propaganda, per gli altri non so) , non rappresenta il 40% degli italiani, e meno male. A quel numero ci si arriva coi tanti che hanno espresso solo ed esclusivamente il loro favore alla riforma, senza preoccuparsi di chi l'avesse proposta. Parimenti, il 60% di NO non rappresenta i soli grillini (a ri meno male), ovviamente, ma ci sono dentro sia gli anti renziani militanti nei vari partiti di opposizione che quelli che hanno semplicemente espresso il loro sfavore al quesito, in quanto contrari alla riforma (chi perché gli va bene la Carta così com'è, chi perché non persuaso del testo riformatore, tra questi, chi scrive ).
Insomma, caro Diamanti, Pagnoncelli lo aveva detto prima di te : l'Italia era ed è rimasta tripolare, con il PD fermo al 30%, il M5Stelle che lo incalza (veramente per Ipsos i rapporti erano invertiti, ma comunque le due formazioni sono vicine), e il Centro Destra potenzialmente capace, se unito, di proporre anch'esso una coalizione capace di un 30% di voti circa.
Nessun crollo di Renzino, all'interno del PD : ha semplicemente perso il plebiscito che aveva proposto, e si è visto bocciare la riforma su cui tanto aveva puntato, e questo perché ha convinto troppi pochi italiani al di fuori del suo recinto.



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Pd fermo al 30%, Grillo paga il caso Roma. Governo a bassa fiducia


Pd fermo al 30%, Grillo paga il caso Roma. Governo a bassa fiducia

 
Il passaggio di consegne da Renzi a Gentiloni (ansa)

Atlante politico. Sondaggio Demos: Renzi difende il suo "gradimento" dopo la sconfitta al referendum. M5s cede l'1,5%. L'esecutivo di Gentiloni al 38%, il livello minimo per uno appena insediato


 
Sorprende un poco, anzi, non poco (questa, almeno, la mia reazione) il sondaggio dell'Atlante Politico condotto da Demos nei giorni scorsi sugli elettori italiani. Il primo realizzato dopo il referendum, che ha bocciato la riforma costituzionale promossa dal governo e approvata in Parlamento lo scorso aprile. Un voto che ha assunto un significato politico e personale preciso. Visto che il premier, Matteo Renzi, ha tradotto la consultazione in un referendum su se stesso e sulla propria leadership di governo. Renzi, peraltro, ha tratto immediatamente le conseguenze del risultato, dimettendosi subito. (Mi) sorprende un poco, anzi, non poco, questo sondaggio, perché, dai dati delle interviste, non sembra sia cambiato molto, nell'orientamento degli elettori. Verso il governo, verso i partiti, verso lo stesso Renzi. Nonostante le grandi polemiche e le mobilitazioni che, negli ultimi mesi, hanno opposto il "fronte del Sì" e "il fronte del No", le stime di voto non mostrano cambiamenti significativi rispetto alle settimane prima del referendum. Il Pd - malgrado la "sconfitta personale" del leader - risulta stabile, primo partito, appena sopra il 30%. Seguito dal M5S, quasi 2 punti sotto. In calo di poco più di un punto. Nonostante le difficoltà e gli scandali che ostacolano il percorso della giunta romana, guidata da Virginia Raggi. Il confronto elettorale sembra ancora polarizzato nell'alternativa fra Pd e M5S.

Gli altri partiti restano a distanza. Esattamente come prima. La Lega e FI (in lieve crescita) intorno al 13%. Tutto il resto, dal 5% in giù. Il referendum, dunque, non sembra aver cambiato i rapporti di forza tra i partiti. Ma neppure la considerazione nei confronti dei leader. Se Renzi, per primo, ha ammesso la sconfitta "personale", non per questo risulta piegato, marginalizzato, presso gli elettori. Infatti, la fiducia nei suoi confronti si conferma allo stesso livello degli ultimi mesi. Anzi, sembra perfino risalita, seppure di poco. Ora ha raggiunto il 44%, appena sotto Paolo Gentiloni, il nuovo premier, che si attesta al 45%. La fiducia verso Beppe Grillo, portabandiera del No, e vincitore del referendum, risulta, invece, molto più bassa. Circa il 31%.

LE TABELLE

Tuttavia, il giudizio nei confronti del governo risulta diverso. È, infatti, apprezzato dal 38% degli elettori. Dunque, in declino di fiducia, rispetto all'ultimo mese e al precedente governo: 2 punti in meno. Poco. Ma si tratta, comunque, del grado di stima più basso ottenuto da un governo all'indomani del voto di fiducia delle Camere negli ultimi 5 anni. Mario Monti, in particolare, disponeva di un livello di fiducia quasi doppio (74%). Lo stesso governo Renzi, all'avvio, nel febbraio del 2014, era "stimato" dal 56% degli elettori.

Come spiegare questi orientamenti, in parte contrastanti? La stabilità del voto e della fiducia nei confronti di Renzi, "lo sconfitto", sostanzialmente eguale a quella verso il successore e nuovo premier, Gentiloni? E come valutare il calo, seppure limitato, della valutazione del governo?

La mia idea, da verificare con altre indagini, più approfondite, è che il referendum abbia "congelato" il clima d'opinione. Radicalizzando le posizioni dentro gli schieramenti che si sono confrontati - e scontrati - in modo sempre più aspro, negli ultimi mesi. Nell'ultimo anno. D'altronde, in caso si rivotasse per il referendum, secondo il sondaggio Demos, oggi si ripeterebbe lo stesso risultato. Ciò significa che i pentimenti e i ripensamenti restano limitati. Così, se l'83% degli elettori del M5S voterebbe di nuovo No, gli elettori del Pd farebbero l'esatto contrario. L'84% di essi, infatti, voterebbe ancora Sì. D'altronde, l'89% degli elettori del Pd continua ad esprimere fiducia nei confronti di Renzi. Mentre il consenso verso Gentiloni, nel Pd, è un poco più basso, 82%. Ma, in compenso, è più "largo" e trasversale. In particolare, supera il 70% fra gli elettori di centro. Circa il doppio rispetto a Renzi. E si avvicina al 60% nella base elettorale delle formazioni a sinistra del Pd.

Il referendum, dunque, pare aver consolidato, quasi radicalizzato, gli schieramenti. Il "renzismo" oggi appare un nuovo muro. Come, ieri, il "berlusconismo". Così, nonostante la sconfitta del Sì, sembra essersi rafforzata la fedeltà nei confronti del leader del Pd. Che oggi, più di ieri, evoca il PdR. Il Partito di Renzi. Al quale quasi tutti gli elettori del Pd si dichiarano "fedeli". Mentre Gentiloni è il nuovo premier. A capo di un governo che, secondo quasi due terzi degli elettori, non arriverà alla scadenza naturale della legislatura, nel 2018. Gentiloni: appare, ai più, il premier di transizione di un governo di transizione. In attesa che Renzi, dal suo Aventino, decida quando e come rientrare. (Mi pare difficile che resti a lungo lontano dalla politica. Che accetti il ruolo dello "sconfitto" per troppo tempo.) Questo governo, però, a differenza del precedente, non si presenta come il "governo personale" del Premier. Non è il GdG. Il Governo di Gentiloni. Ma non è detto che sia uno svantaggio. Perché la doppia personalizzazione politica del partito e del governo, alla fine, non ha portato bene a Renzi
.

Nota metodologica. Il sondaggio è stato realizzato da Demos&Pi per la Repubblica. La rilevazione è stata condotta nei giorni 12-20 dicembre 2016 da Demetra con metodo mixed mode (Cati-Cami-Caw). Il campione intervistato (N=1.664, rifiuti/sostituzioni: 7.190) è

rappresentativo per i caratteri socio-demografici e la distribuzione territoriale della popolazione italiana di età superiore ai 18 anni (margine di errore 2,4%).

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