lunedì 19 dicembre 2016

UN NUOVO DNA : FORSE SI RIAPRE IL PROCESSO STASI POGGI. GESU' FA CHE SIA COLPEVOLE

Delitto di Garlasco, otto anni di processi e perizie in cerca della verità: la fotostoria

Il titolo è una provocazione, è evidente.  Però racchiude il solito dubbio un po' angosciato che provo ogni qual volta, purtroppo non rara, in cui assisto al farraginoso (eufemismo) procedere della macchina giudiziaria italica : e se si sono sbagliati nel condannare ?
Molti diranno e contrapporranno : e quando si sbagliano nell'assolvere ?
Non è la stessa cosa, e non lo dico io, è il principio base del civile occidente che da più di un secolo preferisce, almeno a livello costituzionale - la pratica è, ahinoi, altra cosa - che sia meglio rischiare di avere un colpevole fuori che un innocente in prigione.
La maggior parte della gente non la pensa così, è evidente, se no trasmissioni spazzatura come Chi l'ha visto, Quarto Grado, Porta a Porta, quando si occupano di processi, non avrebbero gli spettatori che hanno - tra cui, tristemente, la mia peraltro dolcissima mamma (arrivata a biasimare che fosse stato concesso a Stasi di costituirsi, scegliendosi il carcere...) - , anzi non esisterebbero proprio.
Eppure, quando auguri a costoro (io lo faccio sempre, con tutto il cuore) di "CAPITARCI" e quindi di poter constatare con mano quando sia tranquillizzante doversi affidare a pm e giudici, i gesti di scongiuro, anche poco eleganti, si sprecano.
Forse così ferrea quella fiducia non è.
Vabbè, ci siamo dilungati anche troppo nella premessa e chiedo scusa.
Il caso del giorno è la difesa di Alberto Stasi che ha prodotto una perizia inedita che rivelerebbe come il dna sotto le unghie della povera Chiara Poggi, NON E' dell'ex fidanzato.
Dunque, sono passati più di 9 anni, 5 processi, con due assoluzioni (in primo e secondo grado...), un primo rinvio della Cassazione, un secondo processo in appello (stavolta con condanna) e un ultimo in Cassazione che ha confermato definitivamente che Stasi è colpevole.
Nei paesi anglosassoni tutto questo sarebbe pazzia, perché come si possano conciliare DUE assoluzioni (ma ne dovrebbe bastare una...) col principio del ragionevole dubbio ( la condanna deve superarlo) non è dato capirlo, ma tant'è.
Comunque, benedetti difensori di Stasi, pure voi, ma adesso esce fuori questa nuova prova ?!?!
E chi vi crederà mai ?
E però pensateci. E' indubbio che Stasi sia stato condannato senza prove (arma del delitto, mai trovata, testimoni, tracce genetiche sul corpo della vittima) ma sulla base di indizi  "gravi e concordanti" al punto da essere stati ritenuti sufficienti per un verdetto di condanna.  Se ora però esce fuori che sotto le unghie di Chiara effettivamente ci fossero frammenti di dna appartenenti ad un'altra persona, e che questa è individuabile (per i particolari tecnici vi rimando all'articolo del Corriere qui appresso) , ebbé si faranno degli approfondimenti di polizia, tenuto anche conto che ben due Corti d'Assise a quegli indizi "gravi e concordanti" NON avevano creduto ?
In questi casi mi viene da pensare che sarebbe bene che Stasi sia colpevole, perché il pensiero che un innocente abbia attraversato un inferno del genere, 8 anni sotto processo, da uno in carcere, e chissà quanti altri tormenti futuri, ebbé Gesù sì, fa che almeno sia stato lui, altrimenti come ci perdoni a noialtri umani questo modo di fare  "giustizia" ?

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la rivelazione choc
 

Delitto di Garlasco, nuove analisi:
«Il Dna sotto le unghie di Chiara
è di un giovane che la conosceva»

A nove anni dall’omicidio, per il quale Alberto Stasi è stato condannato a 16 anni,una perizia di parte della famiglia Stasi trova e isola un profilo di Dna:non corrisponde all’ex fidanzato, ma a un giovane che conosceva Chiara Poggi




Il profilo del Dna trovato e «isolato» sotto le unghie di Chiara Poggi non appartiene all’ex fidanzato Alberto Stasi, all’epoca studente universitario della Bocconi, ma a una persona di sesso maschile, probabilmente un giovane che potrebbe anche gravitare nel vecchio «giro» di amicizie oppure di conoscenze della 26enne uccisa la mattina del 13 agosto 2007 a Garlasco, un paese di diecimila abitanti in provincia di Pavia, nella villetta al civico 8 di via Pascoli. A nove anni dall’omicidio e a un anno dalla condanna definitiva, successiva a due assoluzioni, che aveva portato l’oggi 33enne Stasi a costituirsi nel carcere di Bollate, sua madre Elisabetta Ligabò condivide con il Corriere la rivelazione-choc. Una rivelazione che trova fondamento nei risultati di laboratorio, condotti da un noto genetista su incarico degli avvocati dello studio Giarda che si sono affidati a una società di investigazioni di Milano. Una rivelazione che, alla luce delle potentissime novità, dovrà ora ricevere conferma dalle indagini di polizia giudiziaria e dalla probabile riapertura del caso.
La mamma di Stasi presenterà un esposto per chiedere la revisione del processo sulla base di una prova che considera risolutiva per l’innocenza del figlio: «Non ho fatto che ripeterlo e finalmente ne ho la conferma. Mai e poi mai Alberto avrebbe potuto uccidere Chiara. Si amavano e avevano progetti in comune. La sera prima erano andati a cena insieme. Di lì a poco sarebbero partiti per le vacanze. Erano felici, uniti, erano spensierati, vivevano con la gioia e la fiducia nel futuro tipica dei giovani fidanzati. Alberto stava per laurearsi e se c’era una persona che più di ogni altra lo spronava e gli dava forza, che lo incoraggiava e lo appoggiava, quella era Chiara. Amo mio figlio, l’avrei amato anche da colpevole ma chi sa del delitto ha continuato a non parlare e a stare nascosto, scegliendo il silenzio, un silenzio terribile, asfissiante, un silenzio atroce che ha coperto e depistato. Così facendo non ha reso giustizia a una ragazza morta e, allo stesso tempo, sta uccidendo una seconda persona». Alberto, dice la mamma, «è stato privato della vita. Io ho combattuto a lungo, a volte anche in solitaria, specie da quando è venuto a mancare mio marito. Ho combattuto contro le convinzioni dei tanti che a cominciare da qui, da Garlasco, subito avevano decretato la colpevolezza di mio figlio senza alcuna esitazione. Alberto il killer dagli occhi di ghiaccio... Non ho creduto nemmeno per un istante a una sua responsabilità. Non ha ammazzato Chiara. E se finora era una convinzione, adesso è una certezza: quella persona deve spiegarmi la presenza del suo Dna sotto le unghie della ragazza. Lo deve a me, lo deve ai genitori di Chiara, lo deve a tutti».
I misteri del delitto
Ha una straziante tenacia, Elisabetta Ligabò, consumata negli anni da questa infinita, estenuante battaglia. E hanno tenacia gli avvocati e la società di investigazioni incaricata di rileggere gli atti dell’indagine preliminare ed, eventualmente, di individuare nuove «piste». Il cadavere di Chiara fu scoperto alle 13.50 da Alberto il quale, nelle ore precedenti, l’aveva spesso chiamata. Invano, in quanto secondo la sentenza di condanna definitiva il decesso era da collocare tra le 9.12 e le 9.35; eppure, ha sostenuto la difesa, se davvero l’ex fidanzato è l’assassino, non si capisce per quale motivo avrebbe insistito a telefonare anziché cercarsi un alibi. Non è l’unico mistero, in questo che rimane il fatto più controverso e mediatico di cronaca nera italiana dell’ultimo decennio. Dell’arma, per esempio, non ci fu traccia. Per i giudici, Stasi colpì Chiara con un martello, che forse non era presente nella villetta e che, se davvero esistente, fu l’unico oggetto sparito dall’abitazione insieme a due teli da mare. All’esterno della villetta di Garlasco una testimone, Franca Bermani, vide intorno alle 9.10 una bicicletta nera da donna, notata anche da una seconda testimone (Manuela Travain) tra le 9.23 e le 9.31: quella bicicletta alle 10.20 non c’era più. Alle 9.35 Alberto era ancora a casa sua, al computer. Chiara era in pigiama. Fu aggredita all’ingresso, vicino alle scale che conducono al piano superiore. Stasi aveva lasciato sì impronte digitali sul dispenser del bagno ma la «traccia», ha ribadito la difesa, non era un’anomalia poiché, per la relazione con la ragazza, era un assiduo frequentatore della villetta. Secondo la Cassazione, che il 12 dicembre 2015 ha confermato la sentenza-bis d’Appello e la condanna a 16 anni, tra le prove decisive contro Stasi ci sono le «famose» scarpe che avrebbero dovuto macchiarsi di sangue e sulle quali non è stata trovata sostanza ematica, e c’è una evidente «incongruenza»: la camminata in casa (senza calpestare il sangue) nel momento del rinvenimento del corpo.
Le verità del laboratorio
In questo omicidio esiste una prova-regina per anni ignorata: il Dna trovato in piccoli frammenti sotto le unghie di Chiara che in un primo momento gli investigatori non erano riusciti ad analizzare nella sua completezza. È stata successivamente la Corte d’appello di Milano nel processo-bis a disporre una nuova perizia, eseguita dal professore Francesco De Stefano, e a identificare Dna maschile in quelle tracce. Forse addirittura appartenenti a due persone. Campioni confrontati nel settembre 2014 con quello di Stasi e risultati compatibili solo per 5 «marcatori» contro la necessità di almeno nove «corrispondenze».
Ed è partendo dalla perizia del Tribunale che sono cominciate le nuove indagini difensive. I consulenti hanno individuato il profilo del giovane grazie a un cucchiaino e una bottiglietta d’acqua. I legali si sono rivolti al perito che ha estratto i campioni di Dna, analizzati rigorosamente in forma anonima dal genetista (che mai aveva avuto incarichi nella vicenda) e confrontati con la perizia di De Stefano e i risultati di Stasi. I campioni sono quelli del quinto dito della mano destra e del pollice della mano sinistra di Chiara, giudicati «sovrapponibili tra loro». Dal confronto emerge «una perfetta compatibilità genetica (profili identici) tra il profilo del cromosoma Y estrapolato dal professor De Stefano sul quinto dito della mano destra e sul primo dito della sinistra, con il profilo genetico aploide del cromosoma Y ottenuto dal cucchiaino e dalla bottiglietta d’acqua». Tuttavia «il cromosoma Y identifica tutti i soggetti maschi appartenenti al medesimo nucleo familiare (padre, fratelli, zii, nipoti) ed esso non è utilizzabile per identificare un singolo soggetto ma, piuttosto, una famiglia». La famiglia dove vive una persona che deve dar conto delle ragioni del contatto diretto con Chiara, assassinata la mattina del 13 agosto 2007. Elisabetta Ligabò, la madre di Stasi, confida una speranza non nascondendo di ritenerlo un atto dovuto: «Credo sia giusto e sacrosanto che mio figlio esca dal carcere. Al più presto. Alberto e io abbiamo già atteso e sofferto troppo. Troppo».

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