sabato 17 dicembre 2016

LA DIFFICILISSIMA GIORNATA DELLA SINDACA RAGGI, MENTRE L'OPPOSIZIONE MOSTRA CARTELLI CON LA SCRITTA "ONESTA'"

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Tra i romani che hanno votato la Raggi ho alcuni amici.
Le motivazioni avevano sfaccettature diverse ma di fondo il lait motiv era : proviamo pure questa.
Non mi appartiene.  Cambiare per cambiare, per provare, non mi convince.
La Raggi poi mi convinceva ancora meno. Votai la Meloni, e al ballottaggio, non allineandomi al "voto contro" proclamato dal centro destra avverso Giachetti, preferii l' ex radicale, oggi piddino vicino a Renzi.
Una certa fatica l'ho fatta, ma l'alternativa era astenersi, non certo votare la grillina.
Ho perso, e la Raggi, come tutti sappiamo, è stata eletta.
Sono passati pochi mesi, e almeno uno di quegli amici si è professato pentito.
Ah, era prima che Marra finisse in manette, era stato sufficiente il caos precedente, con la faticosissima formazione della giunta, le dimissioni a catena, i veleni tra Lombardi e Raggi, le inchieste sui vari personaggi scelti dalla sindaca.
Adesso aspetto fiducioso il ripensamento degli altri.
Saper cambiare idea è segno di intelligenza, oltre che di sana umiltà.
Divertente, come sempre, il sagace resoconto di Roncone sulla difficile giornata di ieri vissuta dalla sindaca.
Buona Lettura


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Roma, Virginia senza più fedelissimi
«Beppe qui viene giù tutto»

La telefonata di Grillo furioso che aumenta l’inflessione genovese, le intima di trovare un rimedio, fino ad evocare il ritiro del simbolo. Lei muta, poi inizia a tremare, tossisce. Ci penserà il movimento a scrivere due righe per la stampa:«Scusate»

  

Virginia Raggi riceve la telefonata di Beppe Grillo alle 10 del mattino (forse anche qualche minuto prima, sull’orario esatto la fonte non è riuscita ad essere più precisa).Il sindaco, nel suo ufficio con struggente vista Fori, dove i topi banchettano nell’immondizia tra i turisti sgomenti, vede comparire il nome del capo sul display del cellulare.
Sa cosa l’aspetta. Dimenticatevi il Grillo che provoca, irride, squassa, con lo stile del comico: certe volte, quando è furioso, diventa serio e durissimo. La voce gli diventa ancora più sottile, aumenta l’inflessione genovese, le parole sono lame. E adesso è proprio furioso. Parla solo lui (le rimprovera di essere circondata da personaggi ambigui, di aver coinvolto il Movimento in tragiche storie di tangenti, di assistere inerme all’agonia della città: le intima di trovare un rimedio, fino ad evocare il ritiro del simbolo).
Lei, muta. Lui si placa solo dopo un po’. A questo punto, Virginia Raggi balbetta qualcosa il cui senso è: ti chiedo scusa. Poi, in un sussurro: «Dio mio, Beppe... Qui adesso viene giù tutto».
Inizia a tremare, tossisce. Grillo, ancora in linea, la sente chiedere un po’ d’acqua. E intuisce. Le dice di non perdere la calma. In queste situazioni, l’ultima cosa da fare è perdere la calma. Ci penseranno loro, a buttare giù due righe da leggere ai giornalisti.
Virginia Raggi spegne il cellulare e resta sola. E non è un modo di dire. Raffaele Marra — il suo fidato braccio destro — gliel’hanno arrestato; Paola Muraro, assessore all’Ambiente, che avrebbe dovuto risolverle il drammatico problema dei rifiuti, indagata per reati ambientali si è dovuta dimettere; Salvatore Romeo, il capo della sua segreteria politica, è dentro i fascicoli della Procura che sta accertando eventuali abusi sulle nomine.
Questo Romeo è un tipo del genere funzionario-piacione, modi risoluti, cravatte colorate: la Raggi spesso lo incontra sul tetto del Campidoglio (i fotografi, avvertiti, si sono appostati e li hanno pizzicati); era già dipendente comunale con uno stipendio da 39 mila euro, ma con l’arrivo della Raggi si è messo in aspettativa per poi farsi assumere — da lei — con un contratto di consulenza che sfiorava i 120 mila euro (poi scesi a 93).
Romeo ora irrompe nella sua stanza: «Siamo assediati». Giù, sulla piazza, sono arrivati i primi manifestanti. Qualche fan dell’ex sindaco Ignazio Marino, militanti di Fratelli d’Italia, fascisti di Casa Pound. Agenti dietro alle transenne: e poi fotografi, cameraman, cronisti. Conferenza stampa convocata cinque minuti dopo l’arrivo del testo scritto dai vertici del M5S.
Raggi pallida, le occhiaie sotto il solito sguardo indecifrabile. Legge veloce. Ripete «mi dispiace» tre volte. «Per i romani, per il Movimento e per Grillo». Aggiunge: «Ci siamo fidati e probabilmente abbiamo sbagliato. Però Marra non è un politico, è solo uno dei 23 mila dipendenti del Comune». Poi butta lì la bugia: «E non è il mio braccio destro» (ma a Grillo disse: «Se la Lombardi vuol farlo fuori, io me ne vado»).
Comunque non è una conferenza stampa. Non sono previste domande. La Raggi china la testa e se ne va. Sparisce in un corridoio. Tutti contiamo di rivederla al suo posto, nel consiglio comunale che inizierà a breve.
E invece no. Nell’aula Giulio Cesare, lei non viene.
Appresa la notizia, i consiglieri di FdI esibiscono cartelli su cui hanno scritto: «Onestà».
Quelli del Pd, guidati dal capogruppo Michela Di Biase, vanno a sedersi per protesta sugli scranni della giunta e, per questo, vengono espulsi dal presidente dell’assemblea, il grillino Marcello De Vito. Fischi, spintarelle. Accenno di bolgia. Dal pubblico: «Raggi incapace!». In un angolo, Roberto Giachetti: «Li sente? Le urlano che è incapace. Mi sembra giusto: deve prevalere il bilancio politico».
La Raggi, intanto, è chiusa nel suo ufficio (ha appena saputo che anche l’assessore all’Urbanistica Paolo Berdini medita di dimettersi).Entra Romeo e cerca di guadagnarsi il grasso stipendio. «Virgì, non devi farti beccare dai giornalisti…». Poi chiama la scorta. «Il sindaco stasera va via da un’uscita secondaria, intesi?».

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