sabato 17 dicembre 2016

I RICATTI DI RENZINO A GENTILONI

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Renzino, si sa, non mi garba un granché.  Eppure, come tanti, avevo avuto per lui una certa simpatia ai tempi della prima Leopolda, e anche della seconda tiè. Insomma, fino al Renzi che sfida Bersani, perdendo le primarie con un dignitosissimo 40%.
Poi è stata una delusione dietro l'altra (Luca Ricolfi e Davide Giacalone sono, tra gli osservatori esperti migliori, quelli che hanno seguito più o meno lo stesso percorso...ma credo siano tanti).
Eppure, nonostante oggi sia decisamente un avversario del toscano - che comunque considero un male minore rispetto alla prospettiva di Grillo e i suoi - , rimango perplesso di fronte alle rivelazioni de La Stampa, dove veramente viene descritto un Renzi che nemmeno ai tempi dei peggiori democristiani...
Ma possibile mai che l'ex premier abbia alzato i muri pur di salvare comunque una sedia per la trombata referendaria numero 1, la Boschi ?? E perché mai lo avrebbe fatto ?
I rumors del capoluogo fiorentino malignano di un'antica liason tra i due, ma sarebbe roba antica. Allora perché ?
La Boschi non è un capo corrente, rappresenta si e no se stessa, quindi perché fare le pessime figure di questi giorni pur di conservarla al Governo, nonostante i pareri contrari di Mattarella e Gentiloni ?
E Lotti, promosso Ministro dello Sport, e che però non si accontenta e dovrebbe avere le deleghe di competenza su editoria e soprattutto CIPE. E perché mai ? verrebbe da pensare.
Perché le aveva prima... Ma adesso ha cambiato completamento campo e materia ! Non fa nulla, il Cipe soprattutto è strategico, occupandosi di infrastrutture, e quindi è bene che sia controllato da un fedele del capo, trombato pure lui ma con tanta voglia di rivincita...
E questi erano quelli che in caso di sconfitta dovevano ritirarsi a vita privata...
Andreotti era quello che era, ma almeno non fingeva di essere qualcos'altro...


LaStampa.it

Renzi e Gentiloni, prima lite sul ruolo di Boschi e Lotti

Il premier vorrebbe affidare la delega sul Cipe a De Vincenti per dare un senso al ministero per il Sud, ma il leader Pd: è di Luca





francesco bei
 

Non è ancora una crepa, ma certo nell’ingranaggio finora oliato dei rapporti fra Paolo Gentiloni e Matteo Renzi qualcosa non sta girando per il verso giusto. Stavolta non si tratta di sfumature lessicali, come quando il nuovo presidente del Consiglio, nel discorso sulla fiducia, ha messo in chiaro - senza tener conto delle impazienze di Renzi - che il suo governo non ha una scadenza, anzi andrà avanti «finché avrà la maggioranza».

No, stavolta si parla di una questione molto più delicata, il ruolo di Luca Lotti e Maria Elena Boschi a Palazzo Chigi.  

Che Gentiloni abbia dovuto pagare un forte prezzo politico e d’immagine per far contento il leader dem e mantenere Boschi nella squadra, nonostante le promesse di lasciare la politica in caso di sconfitta al referendum, è noto.
Quello che non è stato ancora raccontato è che fino all’ultimo il presidente incaricato ha provato a puntare i piedi, cercando di convincere il segretario del Pd dell’«errore politico» che stava commettendo. Una discussione che si è protratta a lungo nelle ore successive alle dimissioni di Renzi. A sentire gli habitué del Quirinale, anche sul Colle ha provocato un certo stupore e imbarazzo l’insistenza di Renzi, che avrebbe trattato per avere precise garanzie sul ruolo dell’ex ministra delle riforme, prima ancora di discutere il nome del nuovo presidente del Consiglio. 
  
Incassata la Boschi, si trattava di trovare la giusta collocazione anche per Lotti, l’altro dioscuro del renzismo. La sua presenza al governo, al contrario di Boschi, non destava alcun problema in Gentiloni e nemmeno l’upgrade da sottosegretario a ministro dello Sport.
Le complicazioni sono arrivate dopo e riguardano le deleghe da attribuire al neotitolare dello Sport. Perché Lotti, spalleggiato da Renzi, dà per scontato di mantenere almeno le competenze che aveva da sottosegretario su editoria e, soprattutto, sul Cipe, dopo che è sfumata la speranza di avere sotto di sé i Servizi segreti.
Mentre Gentiloni sarebbe di tutt’altro avviso e avrebbe ingaggiato un braccio di ferro con l’ex presidente del Consiglio, adottando la tattica del muro di gomma, senza andare allo scontro aperto. Sta di fatto che, a tre giorni dal voto di fiducia, le deleghe a Lotti sono ancora un mistero. Da Palazzo Chigi fanno sapere che il lavoro è in corso, i testi sono quasi pronti, ma di fatto è ancora stallo. Potrebbe sembrare una questione di lana caprina, un puntiglio.
Se non fosse che dal Cipe, il comitato per la programmazione economica, e soprattutto dal Dipartimento Cipe presso la presidenza del Consiglio, passano tutte le decisione strategiche sulle infrastrutture da fare. E’ quello il luogo della pianificazione di tutti i grandi appalti italiani, mentre la parte operativa viene poi delegata ai ministeri competenti. Un posto di grande potere, com’è evidente. A cui Lotti, sostenuto da Renzi, non vuole assolutamente rinunciare.  
 
L’idea di Palazzo Chigi  
Qual è invece l’idea di Gentiloni? «Come si può giustificare - è il ragionamento del premier - che il ministro dello Sport abbia la delega sul Cipe, che senso ha? Meglio affidarla al titolare del Mezzogiorno». Il ministro della coesione territoriale e del Mezzogiorno, dicastero nuovo di zecca e fiore all’occhiello di Gentiloni (che vuole dimostrare di aver sentito la rabbia che è salita dal Sud il 4 dicembre), al momento infatti è una scatola vuota. C’è la targa sulla porta, mancano i poteri veri. Tanto che il povero Claudio De Vincenti è stato definito dagli avversari “il ministro dei convegni”. Perché oltre a quelli per il Mezzogiorno potrà fare poco.  
 
Braccio armato  
La programmazione regionale è del ministro Enrico Costa, i fondi europei, che sarebbero di sua competenza, sono già tutti impegnati fino al 2020, della parte operativa dello sviluppo si occupa Invitalia, braccio armato del ministero di Carlo Calenda. L’unica strada per dare un senso al ministro del Meridione, per Gentiloni, è quindi metterlo a capo della cabina di regia del Cipe. Il precedente del ministro Fabrizio Barca, che cumulava le deleghe sul Cipe, sulle regioni e sui fondi europei, farebbe pendere la bilancia a favore di De Vincenti. Ma la resistenza di Lotti e Renzi è potente e Gentiloni rischia di finire stritolato tra due vasi di ferro.  
 
Il Giglio Magico  
Su una cosa tuttavia sono tutti d’accordo nel governo: le deleghe su Cipe ed Editoria, che di norma vanno al sottosegretario alla presidenza del Consiglio, non possono finire a Boschi. Il primo a dolersene sarebbe proprio Lotti, da sempre rivale di “Meb” nel Giglio Magico.

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