martedì 21 febbraio 2017

IL PARTITO DEMOCRATICO ? LA FINE DI UN'UTOPIA

Risultati immagini per renzi contro tutti

Mentre continuano a volare gli stracci dalle parti del PD, con molte ammuine al limite della farsa (su Emiliano dico solo che è un bene che resti in politica...uno così che fa il pubblico ministero...meglio di no !! procura decisamente meno danni a fare l'istrione bugiardo a "casa sua", come ora definisce il Nazareno ), ho trovato interessante e condivisibile l'analisi "storica" di Antonio Polito sul Corsera di oggi, nella quale ripercorre le origini del partito democratico, osservando come si sia trattato, fin dall'inizio, di un'utopia segnata però da una vena positiva, ottimista.
Il superamento di vecchie ricette e steccati, per formare un partito progressista nuovo, diverso, non novecentesco.
In questa operazione qualcuno era sincero, e penso a Veltroni, tra i DS, che fu anche il primo segretario dei Dem, e a Rutelli, presidente della Margherita, altri no, come D'Alema, e penso la maggior parte degli ex comunisti, che in realtà avevano in animo di impadronirsi, fagocitandola, della nuova creatura. Ad un certo punto, con la segreteria Bersani, sembravano esserci riusciti - e infatti diversi della Margherita, tra cui proprio Rutelli, se ne andarono, senza tutti questi psicodrammi - ma poi è arrivato Renzi, che di Rutelli era una sorta di delfino in pectore (in fondo una bella rivincita per il piacione ex radicale pupillo di Pannella), e loro si sono sentiti usurpati, laddove erano stati usurpatori, o meglio traditori dell'utopia iniziale.
Sono curioso di vedere cosa accadrà nelle prossime settimane.
Quel pupazzo di Emiliano ha fatto l'ennesima giravolta della sua vita, ma alla fine quanto pesa (oddio, tanto, se ci si riferisce alla stazza dell'individuo, ma qui si parla di peso politico) ?
Viceversa, D'Alema e Bersani riusciranno veramente a ricostituire la sinistra diessina ?
Rossi e Speranza nemmeno li calcolo, che a mio avviso hanno l'appeal e il carisma che poteva avere Rosy Bindi, che pure, ai tempi delle primarie che elessero il primo segretario PD, ebbe la faccia di presentarsi , prendendo il 12% dei voti (Veltroni il 75%..., tanto per capirci).
I sondaggisti sono oscillanti - ma va ?? - nel prevedere il "danno" al partito da questa diaspora.
Per alcuni non più del 3/4% dei voti attuali, per altri il doppio.
Se avessero ragione i primi, vorrebbe dire che il PD era ormai diventato già il partito di renzino, e che il popolo "veramente" di sinistra aveva già trasmigrato, votando Sel, Grillo (molti) oppure astenendosi. La Nuova Cosa potrebbe crescere recuperando parte di quei voti (tenendo conto della possibile concorrenza di Sinistra Italiana, più "dura e pura", e della tenuta dei pentastellati) , ma non togliendone tanti a quelli che hanno sposato la via "Liberal" del putto toscano.
Buona Lettura


Il danno del vuoto che si apre

Quello che è accaduto domenica non è una scissione ma una fine: un’utopia non sin può dividere in due

 
 
Il Partito democratico era un’utopia. E un’utopia non si può scindere in due. È un po’ come la libertà: indivisibile. Per questo ciò che è accaduto domenica non è propriamente una scissione, ma una fine.
Nessuno dei due tronconi che resteranno porterà mai più dentro di sé l’anima del progetto, e nemmeno la sua forza.
Si è sempre detto un gran male di quella fusione da cui nacque il Pd dieci anni fa: che era «fredda», un’«operazione a tavolino», un «amalgama mal riuscito». Tutte critiche giuste, soprattutto con il senno di poi. Tante sconfitte e tanti errori. Però è anche vero che quella nascita fu il frutto, seppure molto tardivo, di una stagione dell’ottimismo che si era aperta negli Anni 90. L’età in cui sembrava che un nuovo capitalismo, «turbo» nella rapidità di arricchimento e «democratico» nella capacità di distribuirne i dividendi, fosse sorto grazie alla rivoluzione tecnologica. L’età in cui la California era il nuovo Sol dell’Avvenire, Steve Jobs il Messia, iTunes, iPod, iPad e iPhone i suoi vangeli.
Un’utopia, certo, non fosse altro perché la Storia non finisce mai e le Grandi Crisi arrivano sempre a chiudere cicli di prosperità che sembravano destinati a durare per sempre. Ma era la stessa utopia da cui erano nati in America i New Democrat di Bill Clinton; o i neo-laburisti inglesi alla Blair; o il Nuovo Centro di Schroeder in Germania, tutti movimenti sepolti ben prima del Pd dagli eventi. 

In Italia l’utopia arrivò tardi: dieci anni dopo la prima vittoria di Blair, addirittura quattordici dopo Clinton. E male: perché per nascere uccise il genitore, l’Ulivo di Romano Prodi. Come sempre, da noi i leader giusti spuntano nei momenti sbagliati, e viceversa (oggi ci vorrebbe un Prodi, dieci anni fa ci sarebbe stato bene un Renzi). Però di cose buone nella politica e nel costume italiano quell’utopia ne ha prodotte. Per esempio l’idea che unire i diversi sia meglio che dividere i simili, una trovata così di successo che l’adottò di corsa perfino il centrodestra, dando frettolosamente vita al Popolo della Libertà. Per esempio l’enfasi sulla partecipazione democratica come modo di combattere il rifiuto crescente dei cittadini verso la politica, che trionfò con l’invenzione delle primarie e poi si esaurì perché capace di produrre solo primarie, via via sempre più caotiche e inquinate.
Soprattutto, il Partito democratico nacque perché si credeva possibile «coniugare», vero e proprio verbo dell’epoca, il radicalismo sociale della tradizione comunista con il solidarismo cattolico della tradizione democristiana, adottando l’economia di mercato come mezzo per la giustizia sociale. Un’utopia, certamente. Ma forse anche l’ultima speranza di organizzare in un progetto moderno e di stampo europeo masse educate per decenni dalla cultura comunista e da quella cattolica all’anatema del capitalismo. Diciamo che se la Dc e il Pci furono gli attempati nonni nel parto del Pd, la speranza era di farvi discendere sul capo lo spiritello santo del liberalismo.
Dopo questi dieci anni, dopo la Grande Crisi cominciata proprio nell’anno della tardiva fondazione del Pd, quest’utopia è morta.
Per questo si scinde il partito che la incarnò. Per questo è nobile ma inutile l’appello ai sentimenti e all’unità. Walter Veltroni ha detto domenica che il «futuro non è il passato». Purtroppo quello verso cui si incamminano gli orfani del Pd è invece proprio il futuro, e potrebbe essere peggio del passato. Un futuro in cui la scomparsa dell’utopia del Pd lascerà molti vuoti.
Nella Repubblica che ci aspetta (Terza? O Quarta, alla francese?) mancherà la convenienza all’aggregazione, con il ritorno al proporzionale. Mancherà la spinta alla partecipazione, a meno di non pensare che lo siano i «meet up». E mancherà infine una forza popolare e di massa saldamente europeista e fiduciosa nell’economia liberale; anzi, i due pezzi del Pd che fu faranno ora a gara nel dare gli uni la colpa all’Europa e gli altri ai mercati di quei mali profondi dell’Italia che non sono riusciti a risolvere quando erano uniti.
Perciò quando gli sciocchi guardano ai sondaggi, a quanto prendono e a quanto perdono, i saggi dovrebbero guardare al rischio che apre la crisi del Partito democratico. È un vuoto pericoloso. Se il Pd fu il frutto dell’età dell’ottimismo, quella in cui viviamo è l’età del pessimismo. Per questo è così cupa, incattivita, quasi disperata.

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