martedì 9 maggio 2017

IL SISTEMA ELETTORALE DEL CAMERLENGO

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Tra i vari spunti di discussione suscitati dalle recenti elezioni francesi, inevitabilmente uno di questi è legato alla validità di un sistema elettorale, vigente da decenni ormai, in un lungo momento in cui da noi si dibatte su quale sistema darci, dopo averne bruciati tre in soli 20 anni, uno addirittura strozzato (per fortuna) in culla.
I fautori del sistema francese, maggioritario con ballottaggio, ne esaltano la chiarezza : alla fine un vincitore c'è, senza discussioni.
Vero. Basta essere coerenti e ricordare che anche negli USA accade, ma stavolta il vincitore non piace quasi a nessuno e gli stessi che lodano il sistema maggioritario francese, piangono per l'esito USA. Per non parlare della Brexit britannica.
La mia costante e vittoriosa (non certo per merito mio, ma la soddisfazione di aver detto da subito, e poi indefessamente, certe cose, poi ripetute da altri e confermate dalla Corte Costituzionale, resta !) battaglia contro l'Italicum renziano e d'alimontiano, fanno pensare ai miei amici che io sia un proporzionalista, amante degli inciuci, delle larghe intese...
Io provo a spiegare, ma sembra non riesca a farmi capire.
Personalmente, vorrei anche in Italia un sistema presidenziale, con il capo dello stato eletto dai cittadini e non dal Parlamento.  E parimenti, le camere legislative mi andrebbero bene elette con un sistema maggioritario, tipo quello britannico, per dire.
In questa mia preferenza - che non pare prevalente in Europa, dove solo DUE sono i sistemi maggioritari puri, Gran Bretagna e Francia - però mi rendo conto di vari, non piccoli problemi.
Un tempo, quando esistevano forti partiti tradizionali, questi erano fortemente rappresentativi delle aree di popolazione che facevano loro riferimento. In particolare, in Francia, GB, Germania, Spagna, la linea di demarcazione era netta : socialisti da una parte, liberal democratici dall'altra. 
Ora non è più così, e questo crea problemi di compatibilità tra criteri tutelanti la rappresentanza dei cittadini con quelli privilegianti la governabilità.
E' ovvio che si debba trovare un equilibrio.
Un sistema dove può governare qualcuno - persona, partito o lista che sia - che rappresenti, effettivamente, il consenso di meno di un terzo dei cittadini, è un sistema per me sbagliato.
Semplice.
Non è solo una questione di principi, che pure qualcosa varranno, ma eminentemente pratica.
L'ho ripetuto più volte. Se le cose vanno bene, l'economia tira, la gente ha lavoro e soldi sufficienti ad una vita dignitosa, il problema poco si pone, e un sistema vale l'altro, che tanto si tratta di amministrare più che di governare.
Ma se così non è, se si devono affrontare pesanti crisi economiche sociali, se si pongono problemi esiziali come la riforma dello stato sociale, il posto di lavoro (ormai strutturalmente precario, o "flessibile", che suona meglio) , e bisogna fare riforme  severe e sacrificanti, ebbé lì serve un piano serio, esposto con chiarezza e coraggio e sul quale ottenere un consenso vero.
Altrimenti ti ritrovi come renzino, che eredita una maggioranza figlia di una legge incostituzionale (il porcellum, maledetto di girono, rimpianto di notte), con un premio di maggioranza che promuove al governo forze rappresentanti un quarto dell'elettorato, si fa una riforma costituzionale a colpi di fiducia  e poi se la vede bocciare, sonoramente, al referendum dal 60% dei cittadini ...
Il problema si vede anche nei paesi a sistema maggioritario. Cinque anni fa Hollande vinse contro Sarkozy, e poi i socialisti vinsero le elezioni legislative successive. Esecutivo e Assemblea quindi omogenei, e il tutto con nemmeno il 25% dei voti.
 E' riuscito a fare le riforme che da lustri in Francia sono indispensabili ? No.
In compenso ha cambiato non so quanti ministri, tra cui tre premier.
Questo perché ? Perché anche Hollande, e il suo partito, di fatto non arrivavano al consenso effettivo di nemmeno un terzo dei francesi.
Sono consapevole che è difficile, se non impossibile, avere consensi ampi dovendo effettuare riforme che ridisegnano e restringono i benefit pubblici cui le popolazioni occidentali sono state abituate, ma in quel caso la responsabilità di governo andrà allargata, trovando programmi di compromesso accettabili, come in Germania avviene da due legislature, come accadde in Gran Bretagna quando si allearono Conservatori e Liberali (ma poteva anche accadere che questi ultimi si alleassero coi laburisti, ne parlarono, poi il programma più omogeneo apparve quello con i tories di Cameron ), come avviene in Spagna, in Olanda, forse domani nella stessa Francia !
Il Professor Panebianco stesso, politologo sopraffino, dal quale ultimamente mi divide il suo furore anti proporzionale, prevede come , con ogni probabilità, il movimento del neo eletto presidente, En Marche, non otterrà la maggioranza dell'Assemblea Nazionale alle prossime legislative di giugno, e dovrà allearsi con socialisti e/o Repubblicani. Una larga intesa bella grossa !!
Quindi si può ? Penso proprio di sì.
Infine, spendendo un'ultima parola sul sistema del ballottaggio al secondo turno, continuo a ripetere che NON mi piace, perché favorisce sempre non il voto PER ma piuttosto il voto CONTRO.
Adesso è contro Le Pen, e siamo tutti contenti. 
Ma se fosse stato il contrario ? Già quelli della sinistra radicale, pur di non votare Macron, un centrista moderato, hanno preferito astenersi, ci fosse stato un "nemico" a tutto tondo, come Fillon ?, che avrebbero fatto, avrebbero considerato il "male minore" l'oppositrice del sistema ?
Da noi non c'è la Le Pen ma Grillo, che non richiama gli stessi fantasmi da "fine della repubblica", sbandierati dagli anti lepenisti.  Il voto "contro", nelle elezioni più recenti, ha premiato gli ortotteri molto più spesso che il viceversa.  La destra leghista e sociale voterebbe Grillo, senza se e senza ma, portando in dote quasi un 20% di voti, cui aggiungerei quella sinistra che proprio ODIA Renzi.
Il risultato è facile, e non fausto.
Uno dirà...non si crea una legge elettorale in funzione delle proprie preferenze, ed è giusto.
E infatti io accetterei, con grande afflizione, che a vincere fosse Grillo, ma con una maggioranza VERA, con voti a favore e non "contro". 
La mia legge elettorale è nota da tempo :  premio di maggioranza (55% dei seggi) alla lista o anche coalizione che raggiunge il 45% dei voti (ma anche il 40% me lo faccio andar bene) , con un'affluenza non inferiore al 70% degli aventi diritto. Sbarramento al 5%. Se nessuno conquista il premio, ripartizione proporzionale, e il governo scaturirà dalle alleanze.
Più chiaro di così...




Un nuovo ruolo in Europa? Ma l’Italia è debole

Dopo la svolta delle elezioni francesi, l’Italia dovrebbe lavorare per ritagliarsi un ruolo nuovo e importante negli equilibri europei, ma le nostre condizioni economiche e istituzionali difficilmente ce lo permetteranno

disegno di Doriano Solinas disegno di Doriano Solinas
 
Subisce una decisa battuta d’arresto la «sequenza infernale» cominciata con Brexit, proseguita con la vittoria di Trump e con la conferma (esito del referendum costituzionale) che in un Paese-chiave dell’Europa e del mondo occidentale, l’Italia, non possono attecchire istituzioni in grado di dare un po’ di stabilità ai governi. Marine Le Pen prende tanti voti ma molti di meno di quelli che ci si poteva immaginare solo poco tempo fa, quando una sua vittoria non era data per probabile ma per possibile sì. La sua netta sconfitta, salvo sorprese, dovrebbe riverberarsi sulle elezioni parlamentari di giugno (con un effetto deprimente e respingente anziché di trascinamento dell’elettorato). È probabile che dopo quelle elezioni Macron dovrà accettare di formare un governo di coalizione con ciò che resta dei partiti storici francesi (socialisti e/o gollisti) annacquando un po’ il suo programma. Il rischio più grave che corre l’Europa adesso è quello di sedersi, congratularsi con la Francia e brindare per lo scampato pericolo, e non fare nulla, non riformare nulla.
Tutto questo come se i problemi che negli ultimi anni hanno permesso all’antieuropeismo di gonfiarsi nel Continente non fossero ancora lì. Sospiri di sollievo a parte, le attese che circondano il neopresidente francese appaiono piuttosto esagerate. Un presidente liberale ed europeista è una buona notizia. Come lo è il fatto che la sconfitta di Le Pen sia un colpo per tutti i protezionisti-sovranisti d’Europa. Ma non conviene immaginare chi sa quali radicali cambiamenti. Certamente la Francia, con il suo nuovo presidente, avrà l’ambizione di ricostituire quell’asse franco-tedesco che fu il motore dell’Europa per decenni. Comunque vadano le elezioni tedesche del prossimo settembre, la speranza francese è destinata a essere frustrata. Macron non riuscirà a ricostituire il «governo» franco-tedesco dell’Europa, come non ci sono riusciti alcuni presidenti (come Sarkozy) che lo hanno preceduto. La Germania è troppo forte, lo squilibrio di potenza fra Germania e Francia è troppo accentuato, perché i vecchi tempi possano ritornare. Resta il fatto che ci proverà. Il che solleva la domanda su quale ruolo dovrà cercare di ritagliarsi l’Italia nel nuovo gioco che sta per aprirsi in Europa. Sulla carta l’Italia dovrebbe essere avvantaggiata dall’uscita della Gran Bretagna. Potrebbe occupare stabilmente la posizione del «terzo», traendo beneficio dalla possibilità di manovrare fra Germania e Francia. In pratica, le sue tradizionali debolezze interne ne riducono le potenzialità.

C’è, innanzitutto, e come al solito, la palla al piede rappresentata dal debito pubblico. Ha sempre ridotto in Europa i nostri margini di libertà e la nostra autorevolezza. Continuerà a farlo. C’è poi, soprattutto, la nuova fase di instabilità e di ingovernabilità politica che si apre davanti a noi. Ormai è chiaro che ci terremo per chissà quante altre generazioni ancora la democrazia acefala a cui siamo da sempre abituati (fatta salva la parentesi di imperfetti esperimenti semimaggioritari durata circa un ventennio): un parlamentarismo congegnato in modo da assicurare governi instabili e precari, primi ministri deboli e ricattabili, una legge elettorale proporzionale senza neppure più i partiti forti di un tempo. Certo, quando, come in questo frangente, si vedono all’opera le istituzioni francesi, con la loro capacità di produrre stabilità politica e leadership solide, l’invidia è forte. E molti sognano di importare anche da noi qualcosa di simile. Ma è impossibile. Ricordo un tale, un uomo adulto e apparentemente raziocinante (il quale si limitava a ripetere argomenti della propaganda allora corrente), che, in mia presenza, prima del referendum costituzionale, paragonò la proposta di superamento del bicameralismo paritetico niente meno che alla marcia su Roma. Come pensate che potrebbero reagire simili lucidissimi cervelli di fronte a una proposta presidenzialista di tipo francese? Qui è già molto se riusciremo (sempre che la Corte costituzionale non abbia da ridire) a mettere nella legge elettorale proporzionale con cui presto voteremo un misero sbarramento elettorale del tre per cento: una foglia di fico che non frenerà in nessun modo l’instabilità politica ventura. Le istituzioni che abbiamo, generando ingovernabilità, ci tolgono la possibilità di svolgere un ruolo «pesante», ossia efficace e autorevole, in Europa. Ma il Parlamento non se ne preoccupa. Tanto meno se ne preoccupano quelle forze, amministrative e giudiziarie, che hanno interesse a che la politica in Italia sia sempre debole, sottomessa, ricattabile.

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