martedì 2 maggio 2017

" IO, CHE HO CREDUTO IN RENZI, VOTERO' ORLANDO. ECCO PERCHE' "

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Riccardo Cattarini è, in ordine casuale : intelligente (molto), colto, amico squisito, educato, gentile, bravo avvocato (penalista, nel caso servisse...) , di sinistra e piddino.
 L'ho conosciuto che correvano le primarie per il candidato premier del centro sinistra alle elezioni politiche del 2012. Lui si schierò per il candidato più nuovo e brillante, Matteo Renzi, ancorché sfavorito rispetto all'allora segretario del PD, Pierluigi Bersani.
Sfida improba, chiusa infatti con una sconfitta per quanto dignitosissima : 40% di voti ottenuti.
Riccardo rimase a fianco di Renzino, e ha conosciuto le stagioni felici dell'elezione trionfale alla segreteria, nell'autunno 2013, e le "mitiche" elezioni europee del 2014, quelle del 41%..., poi le cose sono un tantino cambiate, sono venuti tempi meno sfolgoranti, e, di recente, legnate pesanti.
Io, che avevo apprezzato, come molti, il Renzi della prima Leopolda, quello del suo primo libro "Fuori", di cui scrissi anche sul blog, rimasi deluso dal renzino segretario che fa fuori il suo premier, Enrico Letta, con una coltellata alla schiena tra lo Iago e il Maramaldo, e dal premier tonitruante, saccente, arrogante, circondatosi di una platea di yesmen, stratega improbabile ancorché grande tattico dei vicoli sordidi della politica.  Peraltro di  questo stesso Renzi, dai cui toni e modi prepotenti ero sommamente irritato, non mi dispiaceva la distanza dai sindacati, e, anche se me ne sarebbe piaciuta una maggiore, dalla magistratura, finora omaggiata dal partitone del sinistra centro (molta più sinistra, nella ditta bersaniana) , che scontava anche un comprensibile (e vomitevole) senso di gratitudine per la guerra condotta dalle toghe al nemico comune.
Anche il Jobs Act, perfettibile, e il superamento storico dell'articolo 18 dello statuto dei lavoratori, sono ascrivibili tra i meriti del premier, e infine, last but not least, un diverso atteggiamento sulle tasse, non più "belle" (il povero Padoa Schioppa così le definì...), e non più da perseguire con un "pizzico di sana paura" (Monti, mai rimpianto, eppure abbaglio di tanti benpensanti, anche non di sinistra), anzi da diminuire.
Ma, diceva uno, "il modo ancor mi offende", e le continue entrate a gamba tesa in Parlamento, forte di una maggioranza regalata dal porcellum incostituzionale e dal tradimento degli sgherri alfaniani, veramente inducevano un tifo "contro" che la metà bastava.
Senza parlare della legge elettorale, l'italicum cucitogli addosso dal prof. D'Alimonte, per poi rivelarsi assai difettoso (e più utile ai grillini), e della riforma costituzionale, costruita a colpi di fiducia...
Insomma, renzino non mi piaceva, e non mi piace, come persona e anche come uomo politico, al netto di cose buone che pure ha fatto.
Su di lui con Riccardo quindi ci si scontrava, sempre con garbo e amicizia inscalfibili.
Immaginate quindi la mia sorpresa nel vedere il mio amico cambiare casacca e passare armi e bagagli con Orlando, oltretutto sicuro perdente !!
Ma che è un vizio ? Una sindrome donchisciottesca ??
Ho chiesto a Riccardo le ragioni e lui me le ha scritte, non solo a me.
Alla vigilia delle primarie, ha inviato ai colleghi una riflessione-endorsement che avrei voluto pubblicare ma problemi di wi fi me lo hanno impedito. Mi dispiace,  credo lui lo avrebbe apprezzato.
Oggi che il voto c'è stato, e le cose sono andate sostanzialmente come previsto (bis del putto toscano, che ha riportato più o meno le percentuali del 2013, attorno al 70%, sia pure con varie centinaia di migliaia di voti in meno, con Orlando a prendere le veci di Cuperlo, un po' meglio, ed Emiliano di Civati, un po' peggio), ritengo comunque interessante riportare, almeno per ampi stralci, le considerazioni di un renziano convinto e poi evidentemente deluso. Io credo e spero che nella scelta di Riccardo non ci sia solo idealità e uno strano senso di cupio dissolvi (ripeto, TUTTI sapevamo che Renzi avrebbe vinto, bisognava vedere come), che pure un po' alberga, temo, nel mio malinconico amico, vero figlio delle terre giuliane, ma anche un minimo calcolo politico. Vedrò presto se la mia speranza si rivelerà fondata.
Intanto, buona lettura.



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Sostengo, con convinzione, Andrea Orlando, e ne voglio spiegare le ragioni.

Ho creduto sin dall’inizio in Matteo Renzi, che sembrava essere l’antidoto a un Partito ormai arroccato su posizioni politiche dimostratesi perdenti.

Nelle liste di Renzi sono stato eletto, ed è stato un grande onore, nell’Assemblea Nazionale del mio partito e ho condiviso sino in fondo lo sforzo riformista suo e, nel nostro territorio, di Debora Serracchiani.

La stessa alleanza con i berlusconiani e le loro frange, dovendo in qualche modo governare questo infelice, anche se sempre meraviglioso, Paese, mi era sembrata dolorosa ma obbligatoria,

Poi ho percepito cambiamenti profondi, resisi ancora più evidenti dopo il referendum istituzionale del dicembre 2016, che si è dimostrato un errore sconcertante. Abbiamo dato agli italiani la possibilità di dirci quello che pensavano della politica di Matteo Renzi, se la sono presa e ce l’hanno assai chiaramente spiegato. In certi quartieri disagiati i no hanno raggiunto e superato il 90%, e non credo che fosse gente che tifasse per il bicameralismo perfetto, e nemmeno desiderasse la sopravvivenza del Cnel.

Di tutto questo il Partito Democratico, se vuole restare dentro le ragioni per cui è nato e rendere il suo servizio al Paese, deve tenere conto, e dobbiamo anche cercare di vincere le prossime elezioni: ultimamente su questo punto ci siamo abituati piuttosto male.

Dobbiamo riproporre il Partito Democratico come grande forza di governo del Paese e dei territori. Dobbiamo essere noi, a prenderci questa responsabilità: le alternative fanno preoccupare, e le prove che gli altri stanno dando (a Roma, ma anche qui vicino) stanno confermando quello che dico.

Andrea Orlando ha colto tutto questo, e tante altre cose ancora. Ha riprogettato il Partito Democratico, ha reindividuato la sua collocazione nel panorama politico italiano, messo i perimetri alle possibili alleanze, e si propone con grandissima credibilità alla segreteria nazionale. Ha detto che fare il segretario di un grande partito è un lavoro complesso, e che, quindi, chi lo fa non ha proprio molto tempo per fare altro, per esempio un “lavoretto” come il Presidente del Consiglio dei Ministri.

Ho conosciuto Andrea Orlando nel 2010, quando è diventato responsabile nazionale delle politiche della Giustizia del partito. Ho lavorato con lui da allora, la mia stima per lui è incondizionata, ed ho persino qualche segnale che mi fa pensare che la stima sia reciproca. Mi considero suo amico, e anche qui qualcosa mi fa pensare che l’amicizia un pochino reciproca lo sia.

E’ un politico vero, che è bravissimo soprattutto a fare quello che dovrebbero fare tutti i politici veri: ascoltare. Dovremo tanto ascoltare, d’ora in poi. Ascoltare per capire tanti perché: perché si sono allontanati da noi proprio quelli che ci eravamo impegnati a rappresentare e difendere, i più deboli, i più in difficoltà, i giovani, i lavoratori, quelli che di noi avevano più bisogno.

Se non riusciamo a riavvicinare tutte queste categorie sociali, non solo perderemo, e pure male, le prossime elezioni politiche, regionali e amministrative, ma il Partito Democratico avrà cessato la sua ragione di esistere.

 

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