domenica 2 luglio 2017

ANCHE PER GALLI DELLA LOGGIA RENZI OSSESSIONATO DA PALAZZO CHIGI

Risultati immagini per brontolo dei sette nani

Ernesto Galli della Loggia è stato uno dei tanti, importanti opinionisti infatuati di Matteo Renzi e che  ora sono delusi
E' successo a molte persone, compreso chi scrive, che lesse con interesse e favore il primo libro del futuro premier . "FUORI".
Alcuni però si sono accorti prima che renzi non era il "nuovo" che avevano fatte sperare le prime due Leopolde, ed attenti e conosciuti osservatori, come Luca Ricolfi e Davide Giacalone, iniziarono a scrivere che anche questo "re" era "nudo". 
Galli della Loggia, e ci metterei anche il professor Panebianco, hanno perseverato nella fiducia, pur segnalando, qua e la, che in effetti si potesse far meglio, ma in fondo il migliorismo non è il nemico del bene ?? E così hanno continuato a tifare per il toscano, fino al fatidico 4 dicembre. La pessima reazione alla peraltro micidiale tranvata presa dal putto e dal suo giglio magico hanno profondamente deluso i due grandi politologi, che si sarebbero aspettati ben altra, più dignitosa reazione.
Galli della Loggia usa parole durissime per biasimare la sete di potere per il potere dimostrata da Renzi dopo la sconfitta, certo non camuffata dalle inevitabili dimissioni da Primo Ministro (il minimo, da chi aveva giurato che se avesse perso si sarebbe ritirato addirittura dalla politica !) o dalla segreteria del Pd.  In realtà  l'uomo non ha mai mollato la presa e si è dato da subito un gran da fare sia per recuperare la preminenza nel partito, che per tornare a Palazzo Chigi. La prima cosa gli è riuscita,  ma non sembra troppo bene, la seconda ancora no e in generale l’uomo sembra aver perso il suo abbrivio vincente.
Certo il quadro generale non è entusiasmante, come correttamente Galli della Loggia non manca di rimarcare. Ma se giustamente gli avversari sembrano nani, Renzi è Brontolo. 


La politica e il non voto
lo spirito inquieto del Paese

di Ernesto Galli della Loggia 


Quale messaggio hanno ricevuto dopo il 4 dicembre gli Italiani da Matteo Renzi? Cioè da colui che nel 2013 si era affacciato sulla scena nazionale sconvolgendola con un’immagine e un messaggio in grande parte nuovi, da colui che per tre anni aveva governato il Paese con un’inedita sebbene scemante incisività, che infine aveva deciso di dare un esito culminante a questa sua parabola puntando tutto su una rilevantissima riforma costituzionale? Che cosa hanno saputo di lui, e da lui, fino a oggi, dopo la clamorosa sconfitta che quel 4 dicembre lo ha costretto a lasciare Palazzo Chigi? Essenzialmente una cosa sola: che in realtà Matteo Renzi non voleva rinunciare affatto al potere perduto e intendeva ritornare al più presto al governo. Non importava molto in quale modo, anzi in ogni modo: tenendo lui a battesimo, o meglio al guinzaglio, il ministero Gentiloni; ribadendo il suo pieno dominio sul Partito democratico, sulla Rai e su tutto; affrettando il più possibile le elezioni; essendo disponibile a leggi elettorali anche assai diverse; lasciandosi le mani libere per ogni eventuale alleanza presente o futura. Insomma il giovane leader che si era presentato al Paese dicendosi disponibile solo per fare certe cose, per una sola politica, ora non si sapeva più che cosa intendesse fare, quali programmi avesse in mente se non ritornare al potere. E a tutt’oggi non si sa. Dal 4 dicembre Renzi, infatti, non è stato più capace di dire nulla al Paese.
È come se il non aver avuto il coraggio di parlare in modo approfondito della propria sconfitta e dei suoi motivi, non aver avuto il coraggio di apparire un vinto alla platea che fin dall’inizio era stata davvero la sua — quella della più vasta opinione pubblica — gli abbia anche impedito di cercare la vera rivincita lì dove solo poteva ottenerla. Invece dopo il 4 dicembre i suoi unici interlocutori sono divenuti gli altri politici. Neanche durante la campagna per le primarie democratiche è riuscito a trovare qualcosa dell’empito antico, dell’antica capacità di convincere.
La kermesse del Lingotto è stata la stanca ripetizione del già visto. Gli stessi riti, lo stesso battutismo, le stesse formule, e quasi sempre le stesse facce. Nessuna idea o proposta nuova capace di produrre interesse, sorpresa, mobilitazione. Di far scorgere il segnale di un nuovo inizio. È questo remake che sta perdendo l’ex presidente del Consiglio, o che forse ormai lo ha già perduto. 
Ci sono sconfitte da cui alla fine si può uscire vincitori, altre che invece ridimensionano per sempre. È quest’ultimo caso ciò che sembra essere successo a Matteo Renzi: il 4 dicembre ha avviato la sua trasformazione da uno statista potenziale a una promessa mancata. Ma i suoi avversari e concorrenti non si illudano: se Renzi è stato ridimensionato loro sono restati i nani che erano.
Sicché oggi, mentre la crisi del renzismo riaccende la rissa generale, mentre perciò si rianimano le ambizioni di tutte le mosche cocchiere e di tutte le rancide vecchie glorie che a sinistra vaneggiano di coalizioni miracolose, al centro sognano di Grandi Centri e a destra di clamorosi ritorni, lo spirito del Paese, invece, si rinchiude sempre di più in una inquietudine senza speranza che colpisce le opinioni più diverse.
È l’inquietudine disperata di chi non riesce a vedere in nessuna parte politica la consapevolezza della gravità del declino italiano, né alcuna proposta credibile per farvi fronte, né alcuna serietà di propositi e soprattutto alcuna leadership all’altezza del compito che i tempi imporrebbero. 
È una disperazione muta che va oltre la tradizionale divisione tra Destra e Sinistra per lasciare spazio solo a un interrogativo comune: dove rivolgersi con un minimo di fiducia? In chi sperare? Nell’impossibilità di trovare una risposta l’unico esito è la crescita progressiva del numero di coloro che non vanno più a votare.
La verità è che dopo appena vent’anni dalla fine del sistema politico che aveva caratterizzato il primo mezzo secolo della Repubblica, oggi si sta virtualmente disarticolando pure il secondo che gli era succeduto nel 1994-96. Alla fine delle ideologie novecentesche non siamo stati capaci di sostituire alcuna nuova idea del Paese, alcuna nuova narrazione del suo passato così come alcun nuovo progetto circa il suo futuro. E così una crisi si somma all’altra: a quella delle idee quella dello strumento partito. Delle prime non c’è più alcun segno di vita, dei secondi rimangono solo i loro simulacri rappresentati dai cosiddetti partiti personali (quelli attuali lo sono tutti): in pratica una coorte di seguaci tenuti insieme dal vincolo della convenienza/fedeltà destinato a durare finché dura la fortuna del capo. Ciò che ne risulta è sotto gli occhi di tutti: una vera e propria desertificazione politica dove esiste unicamente il giorno per giorno, che rende impossibile qualsiasi leadership autentica.

Forse non è un destino solamente dell’Italia. Ma da noi come sempre le conseguenze sono più gravi. Al vuoto delle idee e all’assenza dei partiti noi non abbiamo, infatti, la possibilità di supplire con l’iniziativa di solide istituzioni e di élite prestigiose e riconosciute, in grado come in Francia di fare blocco e di «inventarsi» dal nulla una leadership tipo quella di Macron, autentico Manchurian candidate arrivato al successo grazie ad uno straordinario colpo di fortuna. Da noi la desertificazione politica significa solo da un lato ancora maggior potere alle lobby e alle corporazioni di ogni genere, sempre più autorizzate a fare quello che vogliono, dall’altro il via libera alle genuine pulsioni di una società «civile» che non ha fatto mai gran conto né dello Stato né dell’interesse collettivo. In entrambi i casi non proprio un gran bel viatico per il futuro.

1 commento:

  1. Da quando ho sentito il suo modo di affrontare i temi e i problemi del nostro paese,ho sempre espresso, che lo sbandierato nuovo è il nulla. L'Io che ripete, può essere l'approdo per risolvere i nodi strutturali che segnano il declino del nostro paese? L'analisi dei politologi,( tutti prof.) che hanno dipinto i partiti, come il cancro delle istituzioni, senza riscontrare che sono, senza la presenza umana, entità astratte, vuote, e la visone,i progetti, per lo sviluppo del paese possono essere raggiunti da una classe di rappresentanti nelle istituzioni in grado di indicarne gli obbiettivi. Devo ripetermi e al riguardo, leggete il discorso di SARAGAT alla assemblea Costituente e nli troveretye il nuovo.

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