sabato 28 ottobre 2017

QUELLI CHE SI SIEDONO DALLA PARTE DEL TORTO

Risultati immagini per ci sedemmo dalla parte del torto visto che tutti gli altri posti erano occupati

L'amico Mauro Anetrini, ormai noto ai lettori del Camerlengo, interviene in un complesso dibattito apertosi sulla relazione del Professore Massimo Donini al congresso dell'Associazione degli accademici penalisti, e scrive un suo post che, lusingandomi, mi sottopone, chiedendomi un commento. 
Io l'ho letto, più volte, non riuscendo a superare le due sensazioni provate fin dalla prima lettura : suggestione, grande, e incerta comprensione.
Oddio, con Mauro non mi è del tutto infrequente, specie quando il "nostro" si dedica alla sua materia, il diritto ed il processo penale.
Sicuramente è colpa mia, ché quando i discorsi contengono  più elementi tecnici e meno "politici" mi perdo, non essendo quella la mia materia. Alcuni lettori equivocano e pensano, a causa dei tanti post scritti sul blog in questo campo, che io sia un avvocato penalista. Non è così, semplicemente ho fatto mie le battaglie sacrosante, ancorché spesso non vincenti, per il giusto processo e la difesa delle garanzie, cercando di dare voce e spazio a quanto apprendevo frequentando gli amici delle Camere Penali.
Ma quando il discorso si fa più "iniziatico" ( a volte, almeno a me sembra, più per un certo tipo di eloquio che per gli argomenti trattati), ecco che alzo le mani.
Vergognandomi un pochino, ho chiesto l'aiuto "da casa" e ho chiamato i miei "padrini" : Domenico Battista e Cataldo Intrieri.
"Scusate, ma mi aiutate a capire come si lega esattamente l'intervento di Donini con la chiosa di Mauro? ". In realtà, mi è parso di capire dai suggerimenti dei due, necessitava una conoscenza migliore dell'intervento generale e del problema di fondo affrontato :  la pretesa di obiettività scientifica del mondo accademico, il rischio di eccessiva astrazione e distacco dalla fangosa realtà della giustizia praticata rispetto a quella immaginata, la necessità di un minor distacco per accorciare la forbice.  A quel punto è ampio il mare che si apre all'osservatore : la trasformazione in atto nel processo e nel diritto sostanziale a causa dell'aumento delle fonti normative, con gli ordinamenti sovranazionali che si sovrappongono, con la produzione legislativa di fatto attuata dalla Cassazione a sezioni unite, fino all'ibrida commistione tra common law e rigoroso principio di legalità.
Roba complessa, sulla quale si affrontano - termine più aderente alla realtà del politicaly correct "confrontano" - magistrati ed avvocati, con gli accademici sullo sfondo, neutrali e abbastanza ignorati. 
Questi ultimi, ricorda appunto Donini, tengono molto alla loro neutralità, "scientifica", ma anche i magistrati, con una certa faccia di tolla, va detto, asseriscono che loro sono imparziali.
Gli avvocati questa sorta di purezza non possono rivendicarla, loro da sempre sono "parte". In realtà la rivoluzione dell'art. 111 della Costituzione svela la verità, e che quindi anche l'Accusa è una parte. Realtà mal digerita dalle toghe nobili, che comunque sottolineano come, ancorché possa essere vero, si tratta di una parte ben più autorevole, rappresentando lo "Stato" !!
E me cocomeri, verrebbe da rispondere, in modo anche più colorito.
Ad ogni modo ecco che si alza vigorosa e ferma la voce di Mauro Anetrini che questa parzialità non solo non la nega, ma la rivendica orgoglioso, elevando un "inno alla faziosità" che va letto per la sua onestà e carica di suggestione.
Leggendolo, e approvandolo, mi è tornata in mente la magnifica applicazione agli avvocati di una bellissima frase di Brecht, fatta da Cataldo Intrieri : "visto che tutti i posti erano occupati, ci sedemmo dalla parte del torto". 
Ecco, questi sono gli avvocati difensori, secondo l'immaginario comune : quelli che difendono "il torto". 
Ed è indispensabile che ci sia chi lo fa, visto che quelli che dovrebbero avere "ragione", non poche volte si sbagliano, e quelli che avevano torto erano innocenti. 

La lettura è difficile (per me lo è stata) ma preziosa.



L'inno alla faziosità.
Risultati immagini per ci sedemmo dalla parte del torto visto che tutti gli altri posti erano occupati

Uno degli studiosi più autorevoli di diritto penale, in limine del congresso dell'Associazione degli accademici penalisti, anticipa, da par suo, i temi dei quali vorrebbe – vorremmo – sentire parlare in quella solenne occasione.
Domenico Battista e Cataldo Intrieri hanno pubblicato in extenso l'intervento di Massimo Donini, alla cui lettura non posso che rinviare.
Di quello scritto – qui, tra noi – vorrei ricordare soltanto un passo, che definisce l'area di interesse degli studiosi, ma indica, anche, il terreno sul quale dovremmo da sempre muoverci noi.
Dopo avere effettuato una tanto rapida quanto efficace ricognizione sullo stato delle cose e sull'evoluzione degli istituti che regolano la materia, il Professore Donini dice:
“Nello stesso tempo, una associazione di studiosi non è il Csm, non è l’Anm, non è una corrente della magistratura, né riflette le posizioni e le “parti” rappresentate da organismi come le Camere penali o il Cnf. Il suo punto di vista non è declinato attraverso la tutela di interessi di qualche attore del processo. La sua visibilità peraltro – forse anche proprio per questo – è attualmente modestissima.”
Qualcuno potrebbe obiettare che, a conti fatti, la proposizione appena riportata enuncia una ovvietà. E' chiaro a tutti, del resto, che l'ambito di interesse del ricercatore scientifico si distingue dall'intervento giudiziario e dalle istanze difensive. E' così chiaro, anzi, da apparire addirittura scontato.
E, come tutte le cose scontate, è caduta nell'oblio.
I giuristi rivendicano neutralità; i magistrati perseguono efficienza e coerenza sistematica e, così facendo, surrogano il legislatore; noi, invece, siamo, anche scientificamente, faziosi. Noi dobbiamo essere faziosi, come si conviene a chi si colloca su una sponda del fiume e non assume il peso della decisione, ma la stimola.

Noi siamo faziosi, e lo siamo orgogliosamente, perchè difendiamo una posizione: quella che abbiamo scelto e dietro la quale c'è la persona i cui diritti sono a rischio.
Donini, nei passi finali del suo scritto, dice un'altra cosa, alla quale, da tempo, abbiamo cessato di prestare attenzione: il diritto penale si fa solo nelle aule di giustizia; fuori, si commettono i reati.
Noi non siamo come i colleghi civilisti che applicano il loro sapere nelle negoziazioni o nei contratti; noi abbiamo sempre un punto di riferimento, un destinatario, al quale sottoponiamo la nostra tesi e non possiamo che farlo all'interno di un giudizio.
Da anni – chi mi conosce lo sa bene – mi batto contro il feticcio della cultura della giurisdizione e sostengo la necessità dell'affermazione di una cultura della difesa.
Una cultura che ci proietta sulla scena politica, non come interlocutori, ma come guardiani che si oppongono a ciò che non piace, a ciò che non conviene e che chiedono più di quanto non possano ottenere.
Non c'è altro modo in cui concepisco me stesso: in un'aula di giustizia a proteggere i diritti di qualcuno.

La nostra nobiltà non sta nelle belle frasi di circostanza, ma è tutta qui.
Basta saperlo.

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