domenica 23 marzo 2014

RENZI IGNORA IL SINDACATO ? SAREBBE TROPPO BELLO FOSSE VERO



C'è una cosa che Renzino sembra stia mantenendo, ed è il rifiuto di dare spazio a quelle brutte abitudini consociative che i protagonisti amavano chiamare concertazione. La Camusso scalpita ? Lui sembra fregarsene. Non so se sia vero, ma è bellissimo sentire finalmente qualcuno che, da sinistra e da posizioni che contano, ripeta cose che  uomini come Edmondo Berselli, Ilvo Diamanti, Luca Ricolfi hanno detto e scritto a più riprese : il sindacato da tempo, molto, troppo, è una consorteria che zavorra ogni possibilità di riforma, conservatore fino a diventare  reazionario, del tutto incapace di contributi utili a trovare risposte adeguate alle difficilissime sfide determinate dalla globalizzazione, la crisi sanitaria e previdenziale derivanti dal crescente invecchiamento della popolazione, l'impossibilità di mantenere il welfare a pioggia costruito (scelleratamente, in questo modo) negli anni 70 del secolo scorso e alimentato attraverso il debito pubblico.
Renzi dice, lodevolmente, che non si farà fermare da chi vuole semplicemente conservare l'inconservabile.
Impresa ardua, che nessuno in questi ultimi 3 decenni c'è riuscito.
Però già sentirlo parlare così, è musica per le nostre orecchie.

Riforme, altre scintille Renzi-Camusso
Epifani: “Il governo ascolti i sindacati”

Il premier sulla leader Cgil: «Con Squinzi una strana coppia di oppositori».
La replica: «Le critiche sono diverse». L’ex segretario: «Dialogo fondamentale»

ANSA
Il presidente del consiglio Matteo Renzi a messa a a Pontassieve (Firenze)
 

«Camusso? Con Squinzi una strana coppia anti-riforme». L’ultima frecciata di Renzi al segretario della Cgil arriva in un’intervista al Messaggero. Pronta la replica della sindacalista: «Renzi sbaglia, le nostre critiche sono diverse». 

IL PIANO DI RENZI  
«Tra un mese «prenderemo in mano la riforma della Pubblica amministrazione, per scardinarla completamente. Lì vedremo il derby palude contro corrente, conservazione contro innovazione. Sarà durissima, la vera battaglia» spiega il premier annunciando la prossima sfida del governo. 
L’AFFONDO  
La scommessa, spiega Renzi, è di «togliere per la prima volta alla politica e restituire ai cittadini e alle imprese». Ma Camusso e Squinzi «si oppongono». «Lo ritengo un ottimo segnale che siamo sulla strada giusta», punge il Presidente del Consiglio. «Culturalmente - aggiunge il premier - mi colpisce questa strana assonanza tra il capo dei sindacati e il capo degli industriali». Per Renzi è «uno scontro tra palude contro torrente impetuoso»: «chi in questi anni ha fatto parte dell’establishment, vive con preoccupazione i cambiamenti di merito e di metodo. Soffrono il fatto che si facciano le riforme senza concordarle con loro. Ma se queste riforme aiutano imprese e famiglie e colpiscono i politici, io vado avanti». Quanto al proposito di «scardinare» la Pubblica amministrazione, Renzi cita la riforma delle Province che «non si limita ai 160 milioni di euro di risparmi che facciamo sui consiglieri provinciali o ai 600 milioni di risparmi che facciamo con le spese collegate».  
LA REPLICA DELLA CAMUSSO  
«L’unico asse è che sono voci critiche rispetto a quello che fa il governo. Ma sono critiche opposte» si affretta a precisare la Camusso dai microfoni di RaiNews24. Il dl lavoro «è un modo del governo di rispondere positivamente a Confindustria, non ai lavoratori. Quindi questo asse non esiste». E non c’è neanche nessun asse - secondo Camusso - tra Renzi e il segretario Fiom Maurizio Landini. 
L’APPELLO DI EPIFANI  
«Per una forza di centrosinistra il dialogo con le parti sociali è una condizione fondamentale, bisogna mantenere un filo di dialogo». «Il governo non deve fare quello che dicono le parti sociali ma ascoltare quello che dicono sì» ha spiegato Guglielmo Epifani su Raitre ad una domanda dell’Annunziata sul fatto che “Renzi se ne frega del sindacato”. Parlando poi dello stato del Pd, l’ex segretario del Pd ha spiegato che con il passaggio di Renzi a palazzo Chigi «il partito si è trovato sguarnito della figura che avevamo indicato. Dobbiamo ripensare tutti assieme una funzione che il partito deve avere». E ancora «Serve un partito - ha sottolineato - che stia di nuovo in campo» e quindi «deve essere riorganizzato, organizzato meglio». «Abbiamo bisogno di rilanciare la funzione del partito», ha proseguito Epifani. E alla osservazione che forse per Renzi, invece il partito va bene così come è, Epifani ha ribattuto: «Ma il partito è fatto di tesseramento, di comunicazione, di iniziative sul territorio, di amministratori che ora si misureranno al voto di maggio: il partito è una grande comunità e va riorganizzato, organizzato meglio». 
LA PARTITA EUROPEA  
È sulle riforme che «si gioca la nostra credibilità»: in Europa «sono interessati alle riforme, non alle virgole», assicura il presidente del Consiglio, sottolineando che anche per i partner europei «la crescita è il nodo centrale». Per gli italiani, aggiunge, «è l’ultima chance» e, promette, «non la falliremo». Renzi ribadisce che «quello del 3% è un vincolo basato sul Trattato di Maastricht e quindi risalente a molti anni fa» ma questo non vuol dire che l’Italia non lo rispetterà. «Dopodiché - aggiunge -, l’Europa deve decidere che vuol fare del proprio futuro. Se vuole impostarlo su una maggiore attenzione alla crescita e all’occupazione. O se si limita a uno sguardo burocratico, tecnocratico sulla realtà». «La nostra battaglia - precisa - non è per ottenere una deroga al 3%» ma «nel semestre italiano vogliamo discutere, approfondire, capire cosa possiamo modificare per far sì che le regole del gioco aiutino l’Europa a crescere». I “sorrisi” di Barroso e Van Rompuy? Se «son contenti e sorridono mi fa piacere - dice Renzi -. Quello per cui lavoro io è perché sorridano di più le famiglie italiane: in quest’ultimo periodo quando pensano all’Europa non sorridono granché. Ma, insisto, non è colpa dell’Europa, bensì delle riforme mancate». 
IL NODO DEI TAGLI  
Il premier torna anche sul fronte spending review. «Non si tratta solo di tagliare una voce ma di riorganizzare la macchina dello Stato», dice. «Non può poggiare sul contributo dei pensionati per dare ai lavoratori». Il premier afferma che il Documento di economia e finanza sarà presentato «nel rispetto dei tempi»; il governo si è dato «un cronoprogramma» e a quello si atterrà. Quanto alla revisione della spesa messa a punto da Cottarelli, pensa che sia «un’analisi seria e intelligente della situazione dello Stato» ma non lo ha convinto «il modo con cui è uscita. Tirar fuori delle slide che fanno apparire la spending come un mero documento ragionieristico è un errore non tanto di comunicazione, quanto proprio concettuale», «l’obiettivo finale, certo, è reperire risorse. Ma ancor più, passare da uno Stato controparte del cittadino a uno Stato che è suo alleato». «Non credo che sia giusto - aggiunge - chiedere un contributo a chi prende duemila euro al mese di pensione». «Che poi chi ha delle super-pensioni d’oro, guadagnate con il sistema retributivo, possa essere in futuro chiamato a dare un contributo, non lo posso escludere. Ma parliamo dei prossimi anni, al momento, lo ripeto, non c’è assolutamente niente». «Il problema del pubblico impiego - aggiunge - è garantire maggiore efficienza, non dire: adesso licenziamo 100 mila impiegati»; «per i dirigenti, semmai, ritengo sia tempo di ragionare sulla loro licenziabilità. Il dirigente pubblico non sarà mai più a tempo indeterminato». 

2 commenti:

  1. CARLO ROSSELLI

    Peccato che il sindacato rappresenti milioni di lavoratori

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    1. A parte il fatto che la rappresentanza sindacale, anche numericamente, si è grandemente indebolita, e al momento il grosso sembra essere costituito da pensionati (quindi ex lavoratori) e dipendenti pubblici, cioè persone ipertutelate rispetto a TUTTI glialtri lavoratori, dipendenti compresi, ma poi, se una corporazione, segnatamente quella della CGIL, che le altre sembrano più ragionevoli, si arrocca, fa benissimo il Premier ad andare OLTRE. Già non mi piace la dittatura della maggioranza, figuriamoci quella della pur folta minoranza sindacale.

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