venerdì 9 gennaio 2015

OSTELLINO : TOCCA AGLI ISLAMICI CAMBIARE. E FORSE SARANNO LE DONNE IL MOTORE



La stampa continua ad essere dominata, e non può essere diversamente, dalle cronache e dai commenti successivi all'eccidio occorso ieri a Parigi, con l'attacco terrorista alla sede di Charlie Hebdo e la morte di 12 persone. Naturalmente i soliti demenziali cultori del "complotto" si sono già attivati, ma è salutare ignorarli.
Meglio leggere il pensiero di persone ragionanti.
Per esempio Piero Ostellino
Buona Lettura



Troppo deboli e tolleranti 
con l’integralismo islamico
di Piero Ostellino



L’assalto armato al settimanale satirico parigino, l’uccisione del suo direttore e di molti giornalisti è una dichiarazione di guerra alla quale non pare sia razionalmente e politicamente possibile trovare rapidamente una pacifica soluzione col dialogo e le buone intenzioni come paiono illudersi certi occidentali.
Le dichiarazioni di impegno per quanto è accaduto e la retorica riaffermazione di tolleranza e di libertà che caratterizzano la civilizzazione occidentale lasciano il tempo che trovano. L’Islam è una concezione teocratica della convivenza civile, un modo di concepire i rapporti sociali diverso dalla scelta di distinzione e separazione fra religione e politica che l’Occidente ha già operato, con l’uscita dal Medioevo, nel ‘600 e nel ‘700.
La convivenza tra queste due inconciliabili concezioni della vita non sembra praticabile — almeno non unilateralmente da parte dell’Occidente, perché non riguarda l’Occidente, ma l’Islam. L’Occidente è uscito dal Medioevo e dal primato della religione sulla politica con la separazione, ciascuna nel proprio ambito, della seconda dalla prima e la nascita dello Stato moderno; l’Islam, nel (suo) medioevo, è ancora profondamente immerso. Prima ancora che terroristica, la questione è dunque culturale: e non è risolvibile che culturalmente. Non è l’Occidente che deve riconoscere le ragioni dell’Islam, che gli sono del tutto estranee storicamente, culturalmente, socialmente e eticamente; è l’Islam che dovrebbe riconoscere e accettare le ragioni dell’Occidente. Il guaio, però, è che non le capisce. Pare che non solo non ne sia capace, ma non abbia neppure la volontà di capirle; così, risponde alla diversità e all’inconciliabilità tra le due concezioni in modo irrazionale, con l’intolleranza e le armi, uccidendo i portatori di una visione della convivenza radicalmente diversa dalla sua.
A eliminare le ragioni storiche del conflitto possono essere gli islamici stessi, producendo la propria uscita dal medioevo nel quale sono ancora profondamente immersi e l’ingresso nella modernità. Lo scontro fra le due civiltà è destinato a durare a lungo, perché non si risolvono i problemi culturali con le buone intenzioni, non con le leggi e, tanto meno, con le armi. L’Occidente, per ora, può fare solo alcune cose pratiche per difendersi: cercare, attraverso il monitoraggio delle cellule terroristiche, di prevenirne le violenze; rafforzare e sviluppare i propri servizi di sicurezza; perseguire e condannare i terroristi. Non tutti gli islamici sono terroristi — ed è su tale condizione di fatto che si può contare, in prospettiva, per pervenire a una qualche distensione tra le due concezioni della convivenza — ma è anche un fatto incontrovertibile che questi terroristi siano anche islamici e, in quanto tali, percepiscano l’eventualità della conciliazione tra le due idee di convivenza come un tradimento della propria.
Da noi, solo il Cattolicesimo aveva coltivato, nel corso della sua storia e come dottrina, la conversione, se necessario anche violenta, nei confronti di chi cattolico non era e non era disposto a diventarlo — macchiandosi, a volte, di forme di forte intolleranza. Il caso della religione musulmana è diverso: per l’Islam chiunque non ne pratichi le convinzioni è un «infedele» e, in quanto tale, è da convertire e integrare, o da combattere e uccidere. La soluzione del conflitto non è, dunque, riconducibile a un dialogo inter-religioso, che non approderebbe probabilmente ad alcun risultato in quanto presupporrebbe una certa rinuncia, da parte di entrambi, ai dogmi della propria fede. La soluzione sta — come bene aveva visto papa Giovanni Paolo II — nello studio, nella comprensione e nell’eliminazione delle conseguenze sociali delle religioni. L’Occidente lo ha già fatto, con la separazione fra etica religiosa ed etica civile, la fine delle guerre generate da fedi diverse, la nascita dello Stato moderno e una certa successiva secolarizzazione della religione.
L’Islam non pare ancora in grado di fare tale percorso, vuoi per ragioni storiche e sociali, vuoi per ragioni religiose e politiche. La teocrazia rimane — con la prevalenza dell’etica legata alla fede su quella politica — il suo modo di concepire la convivenza civile. Sperare che prevalga quella separazione che noi chiamiamo laicismo è illusorio.

L’Islam era stata una religione tollerante — ad esempio, quando l’Occidente cristiano non tollerava e perseguitava gli ebrei. Nel corso dei secoli successivi aveva però subito una regressione, radicandosi nella difesa dello status quo nei Paesi dove si era insediato, identificandosi con lo Stato e trasformandosi in teocrazia — una forma di totalitarismo che, attraverso l’immigrazione, cerca ora di imporci. Il ruolo che esso assegna alla donna ne è la testimonianza. Forse, sarà proprio il desiderio di emancipazione femminile a favorirne l’eventuale riforma. In parte, le donne islamiche che vivono in Occidente, immerse nella sua cultura e nei suoi costumi, hanno già promosso — ancorché assai timidamente — il cambiamento. Non resta che sperare nella loro determinazione e nella loro costanza. 

Nessun commento:

Posta un commento