lunedì 16 febbraio 2015

GLI EUROPEI HANNO ELIMINATO LA GUERRA. PECCATO CHE GLI ALTRI NO.

 

Già ieri, con la usuale sapienza, Angelo Panebianco aveva affrontato il problema della pavidità europea di fronte alla gravità delle crisi internazionali sul tavolo ( http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2015/02/1945-2015-70-anni-di-pax-europea-ma.html  ).
Sul tema ritorna oggi  Ernesto Galli della Loggia che, possibilmente, ci va giù più duro. 
Parliamoci chiaro, la guerra è una tragedia, un orrore senza fine. Ma spesso nella Storia è stato un male necessario. Se ci fossero stati tutti soggetti simili a Sergio Romano, Roberto Toscano, oggi sagaci commentatori sui giornali e ieri diplomatici di carriera, nel mondo del 1939, l'Europa attuale marciava al passo dell'oca. 
Per non combattere, quando c'è un contendente dall'altra parte deciso a farlo, bisogna piegarsi.
E' una scelta, a cui noi europei moderni sembriamo piuttosto portati.
Gli ALTRI lo hanno ben capito, e ne approfittano. 
Sono sostanzialmente d'accordo sull'intera, severissima, analisi del bravo politologo, meno che nella chiusura.
Io non credo che sia un problema di cattiva coscienza degli europei, ma di codardia mascherata dietro nobili principi.  





CATTIVA COSCIENZA EUROPEA
di Ernesto Galli della Loggia



Mentre scriveva nel suo editoriale per il Corriere di ieri che «gli europei sembrano ormai incapaci di pensare seriamente alla sicurezza», Angelo Panebianco non poteva immaginare quanta ragione gli avrebbero dato dopo solo poche ore le notizie giunte da Copenaghen sull’ultima impresa del terrorismo jihadista. E sempre sperando che non facciano lo stesso le notizie provenienti in futuro dall’Ucraina. Alla sua analisi manca tuttavia una premessa importante: gli europei sono incapaci di pensare alla loro sicurezza innanzi tutto perché sono ormai incapaci di pensare alla guerra. Di pensare concettualmente la guerra. Di convincersi cioè che quando in una situazione di crisi una delle due parti appare decisa per segni indubitabili a usare la violenza, c’è un solo modo di fermarla: minacciare di usare una violenza contraria. E quando è inevitabile, usarla. Da settant’anni questa elementare verità all’Europa di Bruxelles ripugna. Non a caso tutto il suo establishment politico-culturale ha appena potuto permettersi di ricordare il centesimo anniversario della Grande guerra solo a patto di farne propria l’antica qualifica papale di «inutile strage». Inutile dunque l’indipendenza della Polonia, dell’Ungheria o dei Paesi baltici che scaturì da quel conflitto. E perché? In che senso, da quale punto di vista? Inutile pure il risveglio politico di tutto il mondo islamico in seguito al crollo dell’impero ottomano: ma chi può dirlo? Così come inutile, naturalmente, nel suo piccolo, anche il ritorno all’Italia di Trento e Trieste, non si capisce in base a quale criterio.
In base al criterio, si risponde, che tutto questo è costato un enorme numero di morti. È vero. Ma un enorme numero di morti, per fare solo qualche esempio, sono costate anche le invasioni barbariche, le guerre di religione del Seicento, la battaglia di Stalingrado, per non parlare, che so, della colonizzazione dell’America in seguito alla scoperta del Nuovo mondo: si è trattato perciò di avvenimenti «inutili»? Ma via, che modo è mai questo di fare storia, assumendo come criterio chiave il numero dei morti?
È peraltro in questo modo, a forza di suscitare emozioni e di consolidare giudizi del genere, che la storia — quella vera, quella che secondo una famosa immagine di Hegel assomiglia inevitabilmente a un banco di macelleria dal momento che gli uomini sono sempre quelli del peccato originale — è in questo modo, dicevo, che la storia si è progressivamente dileguata dall’orizzonte concettuale dell’opinione pubblica europea. E insieme dalla cultura delle sue élite politiche, dopo il ‘45 orientate massicciamente in senso cristiano-socialdemocratico. Il vuoto lasciato dalla storia è stato riempito dai principi. Unicamente i principi devono guidarci nell’arena del mondo: la giustizia, la libertà, l’eguaglianza, il diritto. Ma soprattutto la pace. Peccato che in quell’arena i principi, se non sono sostenuti dalle armi, possono voler dire una sola cosa: il compromesso a tutti i costi, il compromesso sempre e comunque. E alla fine — nella sostanza, anche se ogni sostanza può sempre essere mascherata — quasi sempre la resa.
E infatti a cos’altro si prepara se non alla resa un’Unione Europea la quale — c’informava sempre ieri sul Corriere Danilo Taino, immagino con intima soddisfazione di Federica Mogherini, ormai avviata a farci rimpiangere lady Ashton — negli ultimi vent’anni, mentre ai suoi confini crollava il mondo, ha visto dimezzare la propria aviazione tattica, l’artiglieria passare da circa 40 mila pezzi a poco più di 20 mila, e i suoi tre Paesi più popolosi (Germania, Francia e Italia) attualmente in grado di schierare insieme solo 770 (dicesi 770) carri armati? E le altre cifre relative agli armamenti declinare più o meno nella stessa clamorosa misura? Forse, per risultare credibile, un presunto ministro degli Esteri dovrebbe occuparsi anche di queste minutaglie.
Niente guerra, invece, niente inutili stragi. L’Italia in specie poi, si sa, è votata alla pace. Se domani andremo in Libia, se mai ci andremo, anche lì, c’è da giurarci, non andremo per fermare con le armi le orde dello «Stato islamico», cioè con la guerra. No. Dimentichi che non c‘è ipocrisia maggiore di quella delle parole, ma decisi a non dismettere la nostra sciocca ideologia, andremo «per mantenere la pace».
La guerra, gli europei dell’Ue hanno deciso di lasciarla agli americani. Credendo così, tra l’altro, di poterli comodamente giudicare dei «guerrafondai» schiavi della «cultura delle armi» e di potersi sentire quindi moralmente superiori ad essi: in una parola più democratici.
E invece è vero proprio il contrario. Se anche dopo il terribile Novecento gli Usa hanno potuto lasciare posto nel proprio arsenale ideale e politico alla guerra — e continuare a fare delle guerre — è stato anche perché consapevoli del forte legame della loro società con i valori democratici. Un legame che si è dimostrato capace di rimetterli sulla strada giusta dopo ogni guerra sbagliata, di suscitare gli anticorpi in grado di immunizzarli dai pericoli politici e dalle cadute etiche che sempre si accompagnano alla guerra. È per l’appunto questa consapevolezza (degli americani ma anche dei britannici) che gli europei invece, i quali pure si credono tanto più democratici, non possono avere. Oscuramente essi avvertono che il loro rifiuto della guerra, apparentemente così virtuoso, in realtà copre la paura che in qualche modo la guerra possa resuscitare come d’incanto i démoni che affollano il loro passato così poco democratico. È solo un caso se il Paese non da oggi più pacifista di tutti è la Germania? Il nostro amore per la pace, insomma, assomiglia molto a un antico rimorso divenuto cattiva coscienza . 

2 commenti:

  1. ANDREA POLESELLO

    Gli europei ne hanno fatte fin troppe di guerre: bosnia, kosovo, Afghanistan, iraq, libia, Somalia

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    1. Nei paesi che citi Andrea siamo andati, magari (in alcuni casi sicuramente) sbagliando o fallendo l'obiettivo, per provare a migliorare le cose , Non era bello quello che accadeva da quelle parti, e rompere l'assedio di Sarajevo io la reputo tuttora una cosa buona, per dire. In Afghanistan torneranno i talebani. Abbiamo fallito, ma non era, a mio avviso, sbagliato provare ad aiutare la popolazione di quel paese a liberarsi di quei fanatici. Non credo che la gente "normale", i cd. masulmani pacifici saranno contenti di tornare sotto il tallone dello sceriffo Omar. Personalmente non ero nemmeno contrario all'intervento in Iraq, contro un dittatore sanguinario come Saddam. Poi, visto il caos successivo, mi sono ricreduto e infatti quando è stato il turno di Gheddafi ero molto più incerto, e a quanto pare con qualche ragione. Detto questo, penso che le considerazioni generali di Galli della Loggia sull'Europa restino valide.

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