Ho visto Emilia Rossi la prima - e unica volta - lo scorso anno all'inaugurazione dell'anno giudiziario da parte dell'Unione Camere Penali, tenutosi a Firenze, allora presidente Valerio Spigarelli, nel ruolo di presentatrice-stimolatrice di uno dei tanti illustri ospiti presenti all'evento.
Fino a quel momento l'avevo letta solo su FB, nel gruppo dei penalisti fondato dai colleghi Chiezzi, Serci e Battista, che oggi vanta quasi 1000 aderenti, apprezzandone l'estrema chiarezza sia di idee che espositiva.
Al convegno mi colpì ancora di più e iniziai a "seguirla" con maggiore attenzione.
La sera che - era il 18 giugno - Sansonetti presentò a Roma il lancio del suo Garantista, con Cataldo mi ritrovai poi a cena con la brava e simpatica Sonia Lucantoni e Spigarelli. Si parlò, tra l'altro, delle future elezioni per il nuovo presidente dell'UCPI, che si sarebbero tenute a Venezia in settembre, e nel parlare dei candidati io dissi che mi sarebbe piaciuto un membro femminile a capo della giunta, ed Emilia Rossi mi sembrava un'ottima presidente.
Tutti si mostrarono assolutamente concordi sul valore della collega citata, ma proprio Spigarelli, che l'aveva voluta nella sua di giunta, osservò che Emilia forse era "troppo poco politica", riferendosi con questo, credo, ma posso ovviamente sbagliare, ad una persona troppo diretta e schietta.
Oddio, se così fosse, non è che lui sia mai stato un maestro di diplomazia...meglio altre doti.
Nei mesi successivi è capitata qualche occasione in più per scambiare i propri punti di vista e la mia ammirazione per Emilia è cresciuta.
Con estremo piacere quindi, dopo aver dato spazio (post http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2015/06/il-cittadino-sofri-per-molti-innocente.html ) alle considerazioni di Adriano Sofri circa l'invito, garbatamente rifiutato, di partecipare a dei lavori di approfondimento sulla possibile riforma dello stato delle carceri, fattogli dal ministero della Giustizia, pubblico oggi l'articolo comparso sul Garantista relativo all'episodio e scritto proprio dalla bravissima collega, di cui condivido ogni riga.
Buona Lettura
OPPORTUNITA' E STATO DI DIRITTO
C'è una parola
che nel nostro Paese fa a pugni da sempre con lo stato di diritto e i suoi
principi: opportunità.
L'opportunità se
ne fa un baffo del rispetto delle regole, del loro valore e anche, talvolta,
della loro sacralità: sta in piedi più in alto, le prende a sberle e, manco a
dirlo, vince sempre, pur nella sua mutevolezza, s'intende. Chè quello che è
opportuno oggi non è detto sia lo stesso domani.
Così è accaduto con
il caso Sofri, con la puntata più recente del suo caso, ovviamente: l'invito a
partecipare come esperto della situazione delle carceri italiane ad uno dei
tavoli di discussione degli Stati Generali sull'esecuzione della pena, istituiti
dal Ministro Orlando con lo specifico obiettivo di studiare il mondo carcerario
e provare, chissà, a renderlo meno indecente di quello che è.
Non si trattava di
un incarico di consulenza e tantomeno di una nomina in un organismo di potere:
non importa, tanto è bastato perché si sollevasse una polemica virulenta in nome,
appunto, dell'Opportunità.
Le competenze e
l'esperienza di Adriano Sofri che, oltre al resto, il carcere l'ha conosciuto e
'studiato' da detenuto e anche da libero, sono state travolte dal coro, aperto
dal Sappe e prontamente intonato da mezzo mondo, con generosa trasversalità di ambienti
culturali, professionali e politici, che ha bollato la scelta con il marchio dell'inaccettabilità
(che è la sorella, in chiave sanzionatoria, dell'opportunità).
Nelle ore
(minuti?) trascorsi prima che lo sventurato rispondesse e motivasse il suo
rifiuto, l'Opportunità ha giocato la sua partita con tutto l'armamentario di dietrologia
politica, insinuazioni di favoritismo per il personaggio noto a discapito di
mille altri che come lui e, anzi, per carità, mille volte più di lui avrebbero potuto
essere scelti. Quasi che invece che di un invito a partecipare a un tavolo di
discussione si trattasse di un concorso ad un posto pubblico per titoli ed esami.
In realtà
l'Opportunità voleva chiunque tranne lui, Adriano Sofri.
Perché fare il
suo nome significa riaprire ferite ancora aperte in un Paese che proprio non è
in grado di chiudersele, le ferite, e magari di curarle e superarle.
Significa
riaprire un dibattito tra innocentisti e colpevolisti che non si è mai risolto,
significa ricordare una vicenda storica e processuale tormentata e contrastata
che si preferisce non ricordare, significa, poi, scuotere di nuovo quelle
coscienze che con il processo Sofri si sono lavate i peccati di simpatia verso
i compagni che sbagliavano e vogliono rimanere in pace.
L'Opportunità
vince facile, va poi detto, in un Paese che ancora non concepisce il principio
che il patto sociale va reintegrato quando chi l'ha violato ha pagato il suo
debito.
E non concepisce
che su questo principio si regge tutto il sistema della pretesa punitiva dello
Stato: perchè il valore della pena e della sua esecuzione esistono soltanto se
il loro effetto è la riabilitazione del condannato, la sua restituzione al
circuito civile e sociale, in tutti i termini che la legge prevede e consente.
Altrimenti alla
pena legale scontata segue un'espiazione imperitura che fa del condannato un
ladro, un assassino, un corruttore, un evasore a vita.
E l'ergastolo
civile e sociale non è proprio compatibile con uno stato di diritto e con il
rispetto della garanzia che governa anche l'esecuzione della pena, mettendole
termini di durata e obiettivi di risocializzazione.
La strada dello
stato di diritto è lastricata di inopportunità, evidentemente: lo tenga
presente il Ministro Orlando, come ha già fatto. E
continui così.
Emilia Rossi
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