sabato 21 ottobre 2017

DOTTOR PIGNATONE, OCCHIO NON VEDE CUORE NON DUOLE, VALE PER LE CORNA, NON PER LA PROCEDURA PENALE

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Sembrerebbe una cosa buona, ma  in realtà non lo è. 
Mi riferisco alla notizia apparsa qualche giorno fa relativa alla circolare che il procuratore capo della procura di Roma ha inviato ai suoi uomini esortandoli ad usare prudenza nell'iscrizione dei denunciati nel libro degli indagati.
L'intento, secondo la spiegazione data, sarebbe lodevole : siccome ci vuole un attimo perché dall'iscrizione si finisca alla gogna mediatica, cerchiamo prima di capire se la denuncia abbia un minimo di fondatezza.
Davide Giacalone, spiega ottimamente, a mio avviso, perché, in realtà, non sia una gran pensata.

Di seguito prima la notizia, come pubblicata dal Corriere della Sera, e poi il commento del bravo opinionista. 
Buona Lettura 


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 Circolare di Pignatone ai pm: «Prudenza e niente fretta sull’iscrizione di un indagato»

Roma, il procuratore: è una condizione che nuoce alle persone

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ROMA L’iscrizione sul registro degli indagati nasce da esigenze di garanzia nei confronti delle persone coinvolte in un procedimento penale, ma «la condizione di indagato è connotata da aspetti innegabilmente negativi». Più danni che vantaggi. Non fosse altro perché «dall’iscrizione e dai fisiologici atti processuali che ne conseguono (per esempio un avviso di garanzia, ndr ), si dispiegano, per la persona indagata, effetti pregiudizievoli non indifferenti, sia sotto il profilo professionale sia in termini di reputazione».
Da queste e altre considerazioni, sollecitate dalla recente riforma che prevede novità anche in questa materia, il procuratore di Roma Giuseppe Pignatone ha preso le mosse per inviare ai colleghi nuove disposizioni sulle modalità di «iscrizione delle notizie di reato». Un invito alla prudenza, soprattutto di fronte a esposti contro soggetti indicati con nome e cognome; in quei casi, sostiene il procuratore, non si deve procedere alla immediata e meccanica trasformazione del denunciato in «indagato», ma solo in presenza di «specifici elementi indizianti».
Nella circolare del 2 ottobre, svelata dalla rivista telematica Questione giustizia , Pignatone ricorda che «frequentemente» un atto meramente burocratico «diventa strumentalmente utilizzabile, dai denuncianti o da altri, per fini diversi da quelli dell’accertamento processuale, specie in contesti di contrapposizione di carattere politico, economico, professionale, sindacale». Di qui «l’esigenza di non procedere a iscrizioni in modo affrettato», anche perché «procedere a iscrizioni non necessarie è tanto inappropriato quanto omettere le iscrizioni dovute». Nella logica della circolare, l’attenzione su come e quando procedere è tanto più necessaria in presenza di iniziative da parte di un privato cittadino o degli investigatori; se infatti da una denuncia o da una querela derivasse una meccanica iscrizione della persone chiamate in causa, si finirebbe per «attribuire impropriamente alla polizia giudiziaria, o addirittura al privato denunciante» la possibilità di attribuire la qualifica di indagato. Invece, scrive il procuratore, «quel potere non può essere che esclusivo del pubblico ministero, e al suo ponderato esercizio questo ufficio non intende sottrarsi».
Per fare degli esempi concreti, Pignatone evoca situazioni in cui sono tirate in ballo società o enti, nelle quali «risulta quasi sempre laboriosa l’individuazione della condotta umana che sta alla base dell’atto decisivo ai fini dell’addebito penale». Niente più avvisi di garanzia in automatico quindi, prima di qualsiasi verifica, per amministratori delegati o cariche di vertice di una struttura amministrativa. Altro esempio sono i casi di «responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario». Troppo spesso, avverte il procuratore, si procede ad iscrizioni a raffica di tutto il personale che ha avuto a che fare con una singola vicenda, anche solo per dare loro la possibilità di partecipare con un consulente all’autopsia della vittima. Sbagliato: «Sino a quando non vi siano indizi specifici sulla condotta di questo o quell’operatore sanitario, non vi sono i presupposti perché alcuno di essi sia avvertito del compimento di atti, e in seguito nessuno potrà validamente opporre di non essere stato iscritto o avvisato».
È prevedibile che non tutti gli avvocati siano d’accordo con questa impostazione. Se infatti è vero che diventare indagato ha un costo, soprattutto sociale, dovuto anche alle inevitabili strumentalizzazioni, l’iscrizione immediata (o quasi) serve a far scattare i termini delle indagini e impedire tempi indefiniti, oppure il compimento di attività in assenza dei difensori. Anche per evitare problemi di garanzie negate, la circolare di Pignatone prevede che quando si debbano compiere atti invasivi verso persone non direttamente coinvolte nelle indagini (per esempio intercettazioni o perquisizioni nei confronti di terzi) «si proceda ad uno scrutinio particolarmente attento, e in alcuni casi sia necessario dare adeguata e succinta motivazione della scelta di procedere all’atto di indagine pur nei confronti di un soggetto non indagato».

Giovanni Bianconi

Indagato a sua insaputa

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Temo che il capo della procura romana, Giuseppe Pignatone, si accorgerà presto che tentare di raddrizzare una roba stortignaccola distorcendola ulteriormente non porta a nulla di diritto.
Accortosi della solare, arcinota e oramai antica evidenza, ovvero che un avviso di garanzia finisce con l’essere considerato un avviso di colpevolezza, danneggiando seriamente e troppo a lungo i destinatari, ha diramato un circolare, indicando ai procuratori alcuni sani principi: l’avviso di garanzia non può essere emesso in modo meccanico, senza pensarci, occorre che l’accusa abbia almeno un fondamento, quindi si proceda con prudenza, consapevoli dei danni alle vite altrui. Molto nobile, ma non porta da nessuna parte. Per due ragioni.
La prima: sapere di essere indagato, per un cittadino, non è una bella cosa, ma gli consente di dotarsi di un avvocato e di avere cognizione di quando le indagini sono iniziate, sicché del termine entro il quale devono concludersi; se lo si tiene all’oscuro, in via teorica, si può indagarlo a vita. Vero che occhio non vede cuore non duole, ma vale per le corna, non per la procedura penale. 
La seconda: dopo la circolare Pignatone, ove dovessi ricevere un avviso di garanzia, non potrei più dire: hanno sbagliato indirizzo, non c’entro nulla, hanno solo proceduto a un atto dovuto. Perché mi si risponderà: col piffero, caro mio, hanno già indagato e hanno trovato elementi che ti inchiodano, in ottemperanza a quanto disposto dal loro capo.
La pezza, insomma, non solo è più colorata, ma rischia d’essere più bucata del buco. E allora? 
Allora: a. si difende il diritto e s’impara, tutti, che “garanzia” vuol dire garanzia, non colpevolezza; b. si fa le persone serie e si colpisce veramente (perché si può e si deve) il procuratore dai cui uffici escono carte che finiscono ai giornali, perché la macchina dello sputtanamento funziona male, senza l’unità delle carriere di procuratori e giornalisti; c. si rispettano veramente i tempi previsti dalla procedura penale, sicché non è che nell’anno zero si aprono le indagini, a favore di telecamere, nell’anno tre si chiudono e nell’anno del mai si fa sapere se il Tizio è da rinviare o giudizio o meno; d. si celebrano i processi nei tempi previsti e civili, talché l’innocente possa rivalersi per le ingiustizie subite e il colpevole possa andare a scontare la pena; e. se il procuratore porta a processo troppa gente che si rivela innocente sarà pure sfortunato, ma è meglio che cambi mestiere; f. quello che derubrica il reato contestato nel corso del processo, in modo da incassare una prescrizione anziché un’assoluzione dell’accusato è anche peggio che sfortunato o incapace, essendo imbroglione.

Sono sicuro che il dottor Pignatone abbia agito con competenza e a fin di bene, ma una roba così conciata non la si aggiusta, ma neanche solo rende sostenibile, con qualche botta qua o la. 
Quello dell’avviso di garanzia è un segnalatore di civiltà.
E siccome il pubblico tende a essere colpevolista e giustizialista, perché lo spettacolo della colpevolezza è mille volte più avvincente (e autoassolvente) di quello dell’innocenza, se non si vuole cedere all’inciviltà si deve far funzionare la giustizia. Che fa pena.

Davide Giacalone 

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