Quelli che si sono svolti, come tante altre volte è accaduto nella nostra storia, erano referendum contro il governo (e, nel caso specifico, contro Berlusconi) e la sconfitta del governo è stata netta e bruciante. Come tutti gli osservatori hanno concordemente rilevato. Con l'aggravante che il centro-destra, non pago della lezione delle amministrative, ha continuato, anche in questa campagna referendaria, ad accumulare errori. Mentre le opposizioni facevano propaganda per il «sì» e mobilitavano il Paese, il governo non è stato neppure capace di tentare una contro-mobilitazione a favore del «no», in difesa di quelle che erano comunque le «sue» leggi. E le estemporanee dichiarazioni di Berlusconi sul fatto che sarebbe stato meglio «non andare a votare» o le risibili parole d'ordine sulla «inutilità» dei referendum, hanno aggiunto, per la maggioranza e per il governo, danno al danno.
È meglio perdere in modo aperto, in uno scontro frontale, o cercare di nascondersi in qualche angolo buio nell'illusione di schivare le conseguenze della sconfitta? E politicamente più grave perdere un referendum salvando almeno la faccia o perdere entrambi? Il centro-destra ha confermato, con i suoi comportamenti opportunisti, di essere un esercito allo sbando. E vero, naturalmente, che in questa vicenda l'opportunismo non ha riguardato solo il centrodestra. Anche il Pd di Bersani, sposando il doppio «sì» sulla I questione dell'acqua, ha fatto il suo bravo salto della quaglia. Ma in politica contano i risultati: l'opportunismo di chi vince è oscurato dalla vittoria, quello di chi perde è messo in risalto dalla sconfitta. Se l'aspetto politico dei risultati della consultazione è chiaro, più complicato diventa valutare, nelle implicazioni e ramificazioni, le conseguenze per il Paese della vittoria dei «sì». Mi riferisco ai due soli quesiti che non avevano una valenza esclusivamente simbolica ma anche pratica: i quesiti sull'acqua. Non a quello sul legittimo impedimento, già svuotato dalla sentenza della Corte Costituzionale né a quello sul nucleare. A proposito del quale è meglio dirsi la verità: anche senza la tragedia giapponese l'Italia non sarebbe riuscita lo stesso ad entrare nel club nucleare. Quello era comunque un autobus definitivamente perduto tanto tempo fa: in un Paese dove non si riesce a fare la Tav o a mettere in funzione un termovalorizzatore, come sarebbe stato possibile lo- calizzare da qualche parte una centrale nucleare senza scatenare feroci e invincibili resistenze locali? Nei due referendum sull'acqua, invece, all'inevitabile aspetto simbolico, si uniscono gli effetti pratici. Gli effetti pratici riguardano sia il caso dell'acqua (che la legge abrogata non privatizzava affatto), rendendo molto più difficoltoso reperire le risorse necessarie per rimediare alle attuali, paurose, inefficienze del sistema, sia quello di molti altri servizi pubblici. Continueranno a farla da padrone le società controllate dagli enti pubblici, che in Italia poi significa i partiti e i loro clienti. Diventerà ancora più difficile ottemperare alle direttive europee che impongono di introdurre il principio di concorrenzialità nei servizi pubblici.
Qui si apre un grosso problema Per uno dei vincitori, innanzitutto, e cioè il Pd di Bersani. E, naturalmente, per il centrodestra. Comprensibilmente, quando si vince si è contenti e basta ma il problema di Bersani, nei prossimi mesi, passata l'euforia, sarà quello di trovare un equilibrio che gli consenta di smarcarsi dalla trappola massimalista in cui, proprio sulla questione dell'acqua, lo hanno spinto Vendola e Di Pietro. Il suo problema sarà quello di recuperare un profilo riformista che, oltre tutto, è più coerente con la sua storia personale. E certo che il Paese ha bisogno di privatizzazioni e anche di capitali privati nei servizi pubblici. E che l'alternativa, ossia un accrescimento della già altissima pressione fiscale, non è una soluzione gestibile. Se vorrà costruire una piattaforma di governo in grado di intercettare quella quota di elettori necessaria per vincere le elezioni politiche (che, ricordo, sono tutt'altra cosa rispetto alle amministrative o ai referendum) dovrà spegnere molti dei bollori statalisti che abbiamo visto esplodere incontrollati in questa campagna referendaria Dovrà dimostrare che Vendola si sbaglia quando dice che con questi referendum è stata sconfitta la «cultura delle privatizzazioni». Perché se avesse ragione Vendola, se quella fosse la conclusione da trarre dalla vittoria dei «si», allora vorrebbe dire che a sbagliarsi è stato Mario Draghi quando, nel suo recente discorso di commiato in Bankitalia, ha sostenuto che questo Paese non è necessariamente condannato al declino economico. A condannarlo al declino sarebbe la cultura politica prevalente. Nell'esito dei referendum sull'acqua c'è anche, oltre che una sconfitta, una lezione per il centrodestra. Come ha scritto Franco Debenedetti (Il Sole 24 ore, 14 giugno), logoramento personale di Berlusconi a carte, la delusione degli elettori del centrodestra e dipesa dal divario fra le parole e i fatti. Le parole a favore della drastica riduzione dell'invadenza dello Stato sono rimaste tali. I fatti sono andati, con poche eccezioni (la legge sull'acqua era appunto una di queste), in un'altra direzione. Non si sa chi, all'incombente tramonto dell'era berlusconiana, erediterà il centrodestra. Chiunque sia, è certo che se vorrà avere chance di vittoria dovrà dimostrare a quegli elettori delusi di avere imparato la lezione, di essere capace di ridurre la distanza fra il dire e il fare. E dovrà anche dimostrare, come non ha fatto il centrodestra in questa campagna referendaria, di essere pronto a difendere con risolutezza le cose in cui dice di credere.
Volevo sintetizzare l'editoriale di PANEBIANCO ma mi sono detto : "un'emozione non s'interrompe! " Battute a parte , bisogna lasciare umilmente spazio ai maestri del giornalismo che meglio di noi sanno commentare, e con autorevolezza, argomenti seri.
Una piccola vanità personale però mi sia concessa : forse a chi ha la pazienza di leggere il camerlengo non sfuggirà come certe riflessioni, come l'impossibilità del nucleare in Italia, dove già TAV e termovalorizzatori sono chimere, l'opportunismo di Bersani, la disaffezione del centrodestra determinata dalla forbice ormai imbarazzante tra il DIRE e il FARE, erano state accennate in post "autarchici" ("le cose finiscono" "Perché hai votato si" ) .
Piccole soddisfazioni.
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