PARLAMENTO EUROPEO |
Il primo pregio l'ho sempre ritrovato in un altro commentatore di cose economiche, Giuseppe Turani, il secondo , di questi tempi, ce l'ha solo questo autore...
Per questo lo leggo , e vi invito a leggere...
Fa bene all'animo......
La Slovacchia è un paese affascinante e straordinariamente ricco di storia e di cultura. E’ gestita molto bene, ha un’ economia sana, poco debito e poche tasse. Con tutto il bene che se ne può dire è però un paese piccolo. La contea di San Bernardino, in California, è più grande della Slovacchia, che del resto, in America, molti confondono con la Slovenia.
Dei 4 milioni scarsi di elettori slovacchi, il 12 per cento, poco più di 400mila persone, ha votato l’anno scorso per Libertà e Solidarietà, un partito che, oltre ad avere alcuni tratti comuni con i liberali tedeschi, è molto aperto verso la legalizzazione della cannabis ma molto meno verso l’integrazione fiscale e monetaria europea. Scettici sull’euro, i liberali slovacchi hanno boicottato l’iter parlamentare per l’approvazione del nuovo Efsf (cd. fondo salva stati ndc). Contavano di votare in dicembre, ma le pressioni europee e tedesche li hanno indotti a un ripensamento. Adesso pare che troveranno il tempo per approvare il fondo, non subito, per carità, ma tra il 14 e il 22 ottobre.
Si dice spesso, con qualche ragione, che l’Europa dei tecnocrati difetta di democrazia. Enzensberger, lo scrittore, ha pubblicato di recente un libro dal titolo significativo, Il Dolce Mostro di Bruxelles, ovvero l’Interdizione dell’Europa. L’antropologa Ida Magli, meno sfumata, ha scritto La Dittatura Europea. E così via.
Succede però che i 310 milioni di cittadini dell’eurozona, i cui parlamenti hanno già approvato l’Efsf, dovranno avere la delicatezza e la sensibilità democratica di attendere i comodi di un partito che ne rappresenta 400mila, lo 0.13 per cento, prima di potere conoscere come verranno sfruttati (al massimo, si spera) i fondi disponibili. Gli short di tutto il mondo, naturalmente, non avranno lo stesso riguardo e useranno questo eterno intervallo di tempo per continuare ad attaccare sovrani, banche e borse con grande entusiasmo.
Anche sulla Grecia i tempi saranno lunghi. Questa volta si vogliono fare le cose bene, si esigono impegni fino al 2014 compreso e in queste ore, ad esempio, si sta molto discutendo sul 2013. Il mercato, istericamente, conta i minuti che mancano al default, ma la troika, partendo dall’idea che la Grecia sarà ancora nell’euro anche fra 20 anni, cerca di crearle un futuro sostenibile per il medio e il lungo termine.
Ai mercati importa poco della salute della Grecia nel lungo periodo, anche perché, non appena saranno stati definiti i termini dell’accordo e (soprattutto) i tagli per gli obbligazionisti, la questione greca passerà dal primo all’ultimo posto per importanza. Nel giro di pochi minuti, infatti, la potenza di fuoco verrà dirottata sul Portogallo, sull’Italia o sulle banche.
E’ normale che le istituzioni si muovano più lentamente dei mercati. In compenso la lentezza è accompagnata dalla persistenza. Le istituzioni lavorano sui problemi (e talvolta li risolvono) quando i mercati hanno già smesso di porseli e sono passati a pensare ad altro.
Questa volta, però, la lentezza, che non va presa per una sottovalutazione del problema, ha un costo elevato. La questione del taglio di capelli, la perdita da infliggere alle banche creditrici della Grecia, sta avvelenando l’aria. Chiunque si sente autorizzato a ipotizzare tagli severi e ad attaccare questa o quella banca, sapendo che, ancora per qualche settimana, non si troverà di fronte un piano di ricapitalizzazione finanziato dall’Efsf che, come abbiamo visto, sta aspettando gli slovacchi per partire.
San Francesco riuscì a farsi amico il lupo, ma le istituzioni e i governi europei che chiedono ai mercati di avere pazienza hanno di fronte un interlocutore più feroce e impaurito. Per passare queste prossime settimane senza troppi danni occorrerà mostrarsi molto impegnati in vertici e riunioni, anticipando il contenuto di qualche programma ed evitando di polemizzare gli uni con gli altri. Occorrerà anche sorvegliare i mercati, garantire una certa stabilità all’euro e smussare il più possibile la volatilità.
A preoccupare di meno, in fondo, è proprio la Grecia. E’ lo 0.5 per cento dell’economia globale e verrà aiutata in tutti i modi. Avrà un decennio di grazia nel rimborso dei debiti, verranno effettuati dei buy back che diminuiranno il valore nominale del debito stesso e i tassi che la Grecia dovrà alla fine pagare saranno più vicini ai tassi tedeschi che a quelli italiani
Preoccupa un po’ di più, ma non così tanto, il taglio di capelli sui bond greci. Oggi è del 21 per cento, la Spd chiede il 50 e la Merkel ha detto che ci sta pensando. Se si adottasse il 35 non crollerebbe nessuna banca e non ci sarebbe la percezione di un default formale, grave e quindi contagioso. Se si andasse oltre verrebbe probabilmente lasciata la facoltà di non aderire a chi non può permettersi di prendere la perdita. E’ chiaro che la mancata adesione corrisponderebbe a un’autocertificazione di debolezza grave e dovrebbe essere accompagnata nel giro di poco tempo a una ricapitalizzazione.
Non preoccupa molto nemmeno l’Efsf. Verrà approvato e sarà dotato di robusta capacità finanziaria. Non bisogna mai sottovalutare l’abilità degli eurocrati nel trovare, se si dà loro il tempo, modi complicati ed eleganti per risolvere i problemi. Nemmeno a Bisanzio, ad esempio, sarebbero stati capaci di trovare una soluzione alla richiesta finlandese di garanzie da parte della Grecia come quella che è stata adottata.
A preoccupare di più è la questione della ricapitalizzazione delle banche europee. Il problema, in sè, non è immenso come lo si dipinge in questi giorni, ma va a toccare interessi nazionali e di parte che ne renderanno molto complessa la soluzione. Se non si avrà la forza di adottare misure forti egeneralizzate come quelle che abbiamo visto tre anni fa negli Stati Uniti, bisognerà almeno cominciare subito a trattare i casi più urgenti e disegnare un programma per i prossimi 18 mesi. Su questa questione non c’è da scherzare.
Due fattori potrebbero consentire una traversata non troppo tempestosa delle prossime settimane.
Il primo è l’economia, che resiste ancora in modo ammirevole e quasi commovente a tutti i colpi che le vengono inferti. Nel terzo trimestre appena terminato i mercati hanno continuato a pensare a disastri di ogni genere, ma alla fine verrà fuori che i tre mesi passati, almeno negli Stati Uniti, sono stati i migliori dell’anno. Da gennaio a marzo, quando tutti eravamo di ottimo umore, la crescita è stata quasi inesistente (0.4 per cento) e da aprile a giugno è stata dell’1.3. Da luglio a settembre, secondo Goldman Sachs, è stata del 2 per cento e forse, visti i dati degli ultimi giorni, anche di più.
Quanto alla Cina, l’atterraggio duro che molti osservatori attendono da anni con la trepidazione che i devoti dedicano alla liquefazione del sangue di San Gennaro, non si è realizzato nemmeno questa volta. Né, verosimilmente, si realizzerà nei prossimi mesi. La Cina ha i suoi problemi, intendiamoci, ma ha le spalle abbastanza grosse da riuscire a gestire qualche inevitabile insolvenza nell’immobiliare e la perdita di velocità nelle esportazioni se l’Occidente, come oggi sembrano tutti credere,sprofonderà per sempre negli abissi.
Il secondo fattore che potrebbe portare conforto è dato dagli utili trimestrali che le società comunicheranno nelle prossime tre settimane. Per l’ennesima volta, scommettiamo, saranno meglio delle attese. E’ però ancora più facile scommettere che le stime sui risultati futuri saranno da caute a negative. Tutti i manager del mondo hanno ormai imparato a essere prudenti sempre e comunque, figuriamoci in tempi come questi. Le borse, tra gli utili buoni e le previsioni negative privilegeranno naturalmente queste ultime, ma gli utili buoni faranno da pavimento, impedendo cadute rovinose.
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