domenica 10 febbraio 2013

LA RIVOLUZIONE LIBERALE CHE NON AVRA' PIU' VOCE


L'ho scritto più volte : le persone che veramente hanno ragione di lamentarsi di Berlusconi sono quelle che lo hanno votato, non gli ALTRI. Se il Cavaliere avesse mantenuto le promesse fatte, la famosa rivoluzione Liberale, io non credo affatto che gli anti berlusconiani avrebbero applaudito. Meno Stato, meno Tasse, più libertà...non sono cose che si conciliano con la LORO visione della società. Per chi è prevalentemente di Sinistra (io sono uno di quelli che, pur condividendo le obiezioni di Pierluigi Battista, ritiene che questa distinzione abbia ancora SENSO ) i principi sono altri : 1) la redistribuzione della ricchezza, e quindi la maggiora attenzione alla fiscalità che non alla produttività. Parliamo di "priorità" per fortuna, non più di "o - o " , almeno nella sinistra moderna. E quindi non quella della CGIL , di Vendola e Ingroia, dove l'unica politica economica è costituita dalla patrimoniale e dalla lotta all'evasione fiscale !!  2) la politica industriale diretta dallo Stato 3) la libertà individuale marginale rispetto alle esigenze collettive 4) Lo Stato Etico sullo Stato di Diritto.
"Vietato vietare", slogan rivoluzionario del ribellismo sessantottino e postumi, è diventato un progetto di "destra" : tutto ciò che non è espressamente vietato, è CONSENTITO. Sembrerebbe banale come concetto e invece nella nostra società dirigista e dove si è così dementi da valutare la capacità di un parlamentare dal numero di progetti di legge che ha presentato (da solo o con altri), come se in Italia il problema non fosse che di norme ce ne sono TROPPE (oltre che spesso mal congegnate), vale l'assunto opposto : tutto quello che non è esplicitamente permesso, s'intende proibito.
Insomma, ne sono più che certo : la sostanziale immobilità dei governi Berlusconi, che come quelli della Prima Repubblica, dagli anni 70 in poi, hanno più "amministrato il presente" che GOVERNATO, è qualcosa che dovrebbe rendere lieti quelli che avversano il capo del PDL. Certo, alla lunga il ristagno ha portato alla recessione ( è una legge di Natura, non solo economica : se non vai avanti, non si resta allo stesso punto, si va indietro. Fateci caso , che avviene anche nelle relazioni umane ). La Rivoluzione Liberale promessa avrebbe reso felici NOI, e fatto incaz...molto LORO.
Queste convinzioni le ritrovo magistralmente espresse nell'editoriale odierno di Luca Ricolfi sulla Stampa di oggi.

Ricolfi è un Liberal, io un Liberale. Siccome questo articolo lo condivido riga per riga, vorrà dire che l’idea LIB-LAB ha ancora un suo perché. Speriamo che qualcuno lo capisca e riprenda da dove Renzi sembra aver smesso
 Da non perdere !


“La rivoluzione tradita del cavaliere” 
di Luca Ricolfi da La Stampa del 10 febbraio 2013


Forse Berlusconi e le sue bugie ce le meritiamo. Non come cittadini, magari, visto che il cittadino è largamente impotente. Ma come mass media, e soprattutto come servizio pubblico televisivo, direi proprio di sì.
Breve spiegazione. E’ da almeno tre settimane che, ogni volta che accendo il televisore e mi becco Berlusconi, immancabilmente gli sento dire che lui, in realtà, le promesse le ha sempre mantenute. Le ha mantenute tutte. Legge le clausole del «Contratto con gli italiani» del 2001, e sciorina una raffica di «fatto». Legge il programma elettorale del 2008, e di nuovo si auto-loda per averli rispettati, gli impegni che ha preso.
La cosa non mi stupisce, perché siamo abituati all’uomo. Ma i conduttori delle trasmissioni televisive, dove stanno con la testa quando gli sentono fare affermazioni del genere? Davvero sono convinti che siamo di fronte alla libera espressione di opinioni e valutazioni? Non hanno mai visto un dibattito o un talk show di una tv estera? Non sanno che in un normale Paese europeo, come la Germania, il Regno Unito o la Francia, mai e poi mai un politico potrebbe mentire spudoratamente sui dati di fatto, perché il conduttore tv lo incalzerebbe senza pietà, e la stampa del giorno dopo ne farebbe a pezzi l’immagine?
Sia ben chiaro, qui non mi riferisco a impegni secondari, o alle promesse più vaghe e generiche dei politici, tipo riformeremo questo, cambieremo quello, metteremo al centro la tal cosa, tuteleremo la tale categoria. No, qui mi riferisco a cose precise e importanti, a impegni che Berlusconi ha preso ripetutamente e solennemente, e che sono il nucleo – il piatto forte – del programma politico del centro-destra: abolire l’Irap, far scendere al 33% l’aliquota Irpef massima. Era ed è fondamentale per ridare ossigeno alle imprese e alle famiglie, è stato promesso decine di volte, non è stato fatto. Possibile che nessuno di quelli che lo intervista, quando gli sente dire che ha mantenuto tutte le promesse, non scoppi in una fragorosa risata? Possibile che non senta il dovere di ricordargli (almeno) questi due dati di fatto, assolutamente incontrovertibili? Come si fa ad andare avanti con le domande se l’intervistato può negare l’evidenza? Ma soprattutto: come non vedere che passato e futuro sono intimamente connessi, che non si può essere credibili su quel che verrà se non si ammette la verità su quel che è stato? I grandi leader politici che chiedono all’elettorato di essere confermati, spesso ottengono la conferma proprio perché ammettono i limiti di quel che hanno fatto, proprio perché sanno trasmettere l’idea di un’opera largamente incompiuta. E’ quel che ha saputo fare Barack Obama l’anno scorso, è quel che a suo tempo fece Tony Blair per ottenere il secondo mandato.
Fine dello sfogo. Che, vorrei fosse chiaro, non riguarda il merito delle proposte del centro-destra, alcune delle quali anzi io trovo sensate ed apprezzabili (ad esempio l’idea di azzerare per 3-5 anni tutte le tasse sui giovani neoassunti). La mia stanchezza per le chiacchiere berlusconiane, la mia insofferenza per la rassegnazione dei media di fronte ad esse, derivano anzi proprio dalla convinzione che la «rivoluzione liberale» più volte promessa e mai realizzata dal centro-destra sia tuttora una delle poche idee buone in circolazione ma che, sfortunatamente, non vi sia oggi alcuna grande forza politica che la incarni credibilmente. Insomma, secondo me la vera critica che si deve fare a Berlusconi non è quella di avere determinate idee, ma di averle tradite, o meglio ancora di avere tradito il nucleo migliore del proprio programma.
Ecco perché, con l’approssimarsi del voto, sono sempre più perplesso, per non dire depresso. Sono fra quanti pensano sia giunto il momento di archiviare Berlusconi e il berlusconiano, se non altro perché la sensazione di essere presi continuamente in giro è estremamente sgradevole, e poi perché la mera presenza di Berlusconi sulla scena politica basta ad avvelenare il clima, rendendo la sinistra stessa più irragionevole di quel che sarebbe altrimenti. Nel medesimo momento, tuttavia, penso che l’uscita di scena di Berlusconi, ammesso che si realizzi, stia avvenendo sulla base di una serie di false credenze. La credenza, ad esempio, che rimosso il «tappo» del Cavaliere, l’Italia rimuova con ciò stesso molti dei suoi problemi, una credenza che un anno di governo dei tecnici avrebbe già dovuto spazzar via da un pezzo. Ma soprattutto mi preoccupa la credenza che i mali dell’Italia vengano tutti dalla medesima parte politica, e che l’enorme espansione della spesa pubblica e del debito non siano anche il prodotto delle politiche progressiste. Una credenza cui se ne lega un’altra, e cioè che il ritorno della sinistra al potere potrà risolvere i nostri problemi. No, non credo che andrà così, e non andrà così proprio perché – con Berlusconi – esce di scena anche l’idea migliore che, sia pure timidamente, la cultura di destra aveva fatto propria in questi anni, quella di una rivoluzione liberale che riducesse l’invadenza dello Stato e trasformasse gli italiani, finalmente, da sudditi a cittadini.
C’è stato un momento, negli ultimi tempi, in cui è sembrato che quella idea potesse avere qualche chance, e che la crisi dei partiti potesse preludere alla nascita, se non di un partito liberaldemocratico, almeno di una cultura politica con quella ispirazione. Le forze e le persone c’erano, ma è mancato il cemento. Sul filo di lana ognuno è andato per la sua strada. Così oggi la cultura liberale sopravvive minoritaria come i cristiani nelle catacombe e, a parte la generosa scommessa della lista Giannino, non ha alcuna chance di rappresentanza in Parlamento. C’è solo da augurarsi che abbiano torto quanti, come me, pensano che di quelle idee non si possa assolutamente far a meno se si vuole ridare una speranza a un Paese che non spera più. 


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