In Francia, i partiti che hanno fatto della contestazione all'Euro e alla Unione Europea un, se non IL, cavallo di battaglia hanno preso il 30% dei voti (quasi il 20 la destra di Le Pen, l'11% la sinistra di Mouchelon). E Hollande ha avvertito chiaramente che, così com'è, il Fiscal Compact pur varato di recente a Bruxelles, l'accordo che stabilisce sanzioni automatiche allo sforamento dei bilanci comminate dalla Corte Europea, NON verrà ratificato così com'è allo stato. Anche Sarkozy, a suo tempo alleato di ferro della Merkel, tanto che quest'ultima ha espresso esplicitamente il suo favore alla rielezione dell' homo ridens (ricordate le risatine sarcastiche alle domande della stampa su Berlusconi, premier italiano?), parla di un' Europa da rivedere in senso nazionalistico, per carezzare le pance dei lepenisti. Insomma in Francia si vince all'insegna di più Patria e meno Unione, visto cosa questa ultimamente significa.
E poco importa che, come scrive il bravo Turani, osservatore esperto di cose economiche, metà delle cose che Hollande promette sono irrealizzabili.
In Gran Bretagna, è inutile anche parlarne, nemmeno fanno parte della zona ortodossa dell'Europa, conservando la loro moneta e muovendosi da sempre con grande autonomia.
Adesso anche l'Olanda "diserta", con la caduta del governo in carica a causa della sfiducia della formazione facente capo a tale Wilders, il capo di una formazione che viene definita "populista" (il termine in genere viene usato in senso spregiativo, ma i voti piacevano quando servivano a formare la maggioranza...) e che addirittura parla di ritorno al fiorino, contestando anche lui la severità teutonica, che fino a ieri era anche olandese.
Insomma un bel casino, e probabilmente è questo che rende nervosi i mercati che appaiono anche loro contraddittori. Forse però meno di quando non appaia a prima vista. In fondo gli operatori di mercato NON fanno politica bensì affari. A loro alla fine una ricetta va bene come un'altra, basta che serva a far soldi.
Quando hanno visto che i debiti sovrani erano a rischio, si sono mossi, e contro questa loro azione la ricetta fu il rigore di bilancio (ancorché contestata, da subito, da molti osservatori e anche Istituzioni, come la FED, la banca federale USA, e il FMI, il Fondo Monetario Internazionale) anziché un muro compatto e solidale (della serie, i panni sporchi poi ce li laviamo in famiglia, intanto giù le mani dai paesi europei!).
Questo rigore, con le manovre dettate da Bruxelles, BCE e, sotto sotto, Bundesbank, non sta producendo i risultati sperati, anzi. Le nazioni si impoveriscono, i popoli entrano in fibrillazione, e aumenta la gente che dall'Europa matrigna chiede di uscire. E i mercati REAGISCONO, con la Borsa instabile e lo spread che torna a salire. Anche perché, con le economie in recessione, i CONTI CONTINUANO A NON TORNARE. La famosa curva di Laffer, studioso economista che osservò come, oltre un certo livello di pressione fiscale, le entrate paradossalmente DIMINUIVANO a causa dell'impoverimento della comunità, mostra la sua veridicità!
Quindi si torna a parlare di crescita, ma senza tornare al lassismo della facile spesa.
Ma SOLO quello i governanti di mezza europa sanno fare!! Indebitarsi per pagare i propri e gli altrui vizi (quelli del popolo elettore...), e poi salassare con le tasse per provare a rientrare, senza riuscirci.
Insomma, una confusione niente male, al quale dedica la sua nota il solito chiarissimo Antonio Polito, alla cui lettura vi lascio
L'isolamento dei più forti
Sarà di nuovo maggio il mese fatale dell'Europa? Diremo
anche dell'euro che «ei fu, siccome immobile/ dato il mortal sospiro»? La sera
del sei maggio le urne potrebbero sancire che la maggioranza dei greci non
vuole più restare nella moneta unica, premiando la galassia di partiti che
sperano di liberarsi dei sacrifici mandando a quel paese la troika, la Bce e la
Merkel. E nella stessa sera dovremo prendere atto che anche la maggioranza dei
francesi non vuole più stare nell'Europa così come è oggi. Se vincerà Hollande,
la sfida è chiara: rinegoziare il patto fiscale appena sottoscritto con la
Germania. Ma anche se vincesse Sarkozy, ad ascoltare i suoi ultimi comizi a
caccia di voti lepenisti, il futuro non sembra meno tempestoso: «Ora basta,
cambiamo o non ci sarà più l'Europa».
Se si aggiunge che a maggio votano anche due Länder tedeschi
in un turno che potrebbe affondare la coalizione tra la Merkel e i liberali; e
che è in crisi di governo pure l'Olanda, fino a ieri il più arcigno guardiano
del rigore teutonico, si capisce l'allarme, ma anche l'ansia e il senso di
impotenza, che si sta impadronendo delle élite europee e italiane. Nessuna cura
sembra funzionare. I mercati hanno prima punito il poco rigore dei Paesi
debitori, poi hanno punito l'eccesso di rigore imposto ai Paesi debitori, e ora
sembrano temere che gli elettori fermino la politica del rigore. In Italia
stiamo facendo, più o meno bene, tutti i compiti a casa che ci sono stati
richiesti, eppure lo spread resta sotto la sufficienza. Lo stesso spirito di
salvezza nazionale che aveva spinto Monti al governo sembra smarrirsi: i
partiti pensano ai loro nomi e ai loro soldi, i giornali pensano di nuovo a
Ruby, e i sindacati pensano a far chiudere i supermercati il 25 Aprile.
Tutti si chiedono che fare. E tutti chiedono alla Merkel di
fare qualcosa. È un coro che va da Washington a Madrid, dal Manzanarre al Reno.
Il governo tedesco sente la pressione e cerca l'azione. Si spiega così
l'annuncio dato ieri dell'incontro svoltosi la settimana scorsa tra il consigliere
europeo della Cancelliera e il nostro ministro Moavero. La Germania propone di
scrivere un nuovo Patto, con vincoli e sanzioni, dopo quello sul rigore dei
bilanci: un altro «Compact», che stavolta dovrebbe riguardare le riforme
strutturali (non a caso rilanciate ieri da Draghi) e la competitività. Berlino
vorrebbe cioè legare tutti i Paesi dell'area a una maggiore convergenza non
solo delle finanze pubbliche ma anche delle economie, nella speranza che questo
favorisca la crescita. L'Italia di Monti è ovviamente d'accordo, ma ha ripetuto
a Berlino che non basta. Roma vuole due cose, e ora sa che le vuole anche
Hollande: bond europei per finanziare grandi progetti (da non confondere con
gli eurobond, cioè titoli comuni del debito, sui quali nessuno si illude di
convincere oggi Berlino) e nuovi capitali per la Banca europea degli
investimenti.
Anche se il governo italiano preferirebbe evitare scossoni
politici in Francia, e dunque sui mercati, è evidente che ha già un piano per
giocare la carta Hollande. Palazzo Chigi sa bene che non basterà cambiare
presidente a Parigi per cambiare politica a Berlino: oggi la Francia non è in
condizioni di dettare legge.
Perciò qualcuno dovrà per forza rimettere insieme le due
ruote dell'asse carolingio, e quel qualcuno non può che essere Monti. La
strategia è: aiutare la Merkel a tenere a freno le bizze di Hollande sul
rigore, in cambio di una seria apertura sulla crescita. Cominciando con il
chiedere a Berlino di non respingere al prossimo G8 un'interpretazione «dinamica»
del rigore. Ne abbiamo bisogno: il nostro pareggio di bilancio nel 2013 sarà
«strutturale», ma non «nominale»: verrà cioè corretto al rialzo in ragione del
ciclo economico negativo. D'altra parte la Germania, che pure lamenta gli
squilibri dell'euro-zona, è essa stessa protagonista di uno squilibrio
formidabile quando attrae ingenti capitali pagandoli con tassi di interesse
negativi, cioè inferiori all'inflazione. Userà almeno una parte di queste
risorse a basso costo per stimolare la sua domanda interna, e così anche le
nostre esportazioni?
Finora l'Italia di Monti si è mossa per rendere la vita facile alla
Merkel, nella convinzione che ciò la rendesse più facile anche a noi. Ma se
così non è, e se Sarkozy ne sarà la prima vittima, Roma dovrà chiedere qualcosa
in cambio di una nuova alleanza.
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