Siccome lo Stato non lo pagava, lui non aveva soldi per pagare i suoi di creditori. E le banche avevano smesso di sostenerlo. Persona per bene, si vergognava e si è uccise.
Oggi, sul Gazzettino erano riportate due notizie parimenti brutte. Da un lato appunto questo crescente numero di persone che, sole, non ritengono più di potercela fare e si tolgono la vita. Poi le percentuali pure in crescita delle aziende che chiudono. Infine, e ci ha fatto venire la nausea, quella di una lettera ricevuta da FLAVIA SCHIAVON, figlia dell'imprenditore, dove la stessa veniva crudelmente insultata per le iniziative prese al fine di sensibilizzare gli organi politici perché le piccole imprese ricevano sostegno e lo Stato si decida a pagare i propri debiti. Il testo della vergognosa missiva non viene pubblicato, ma la Schiavon rivela che, tra le tante nefandezze scritte, ci sarebbe anche l'invito a fare la fine del padre. Turbata, ha deciso di rinunciare alla co-presidenza dell'associazione dei familiari delle vittime dell'indifferenza verso il lavoro.
Di quanta invidia e cattiveria può essere dotato un sedicente essere umano?
Ecco le notizie:
Un suicidio ogni 4 giorni: 23 da gennaio
E a Nordest già 9 le vittime della crisi
E a Nordest già 9 le vittime della crisi
Imprenditori che decidono di uccidersi di fronte alle difficoltà,
Un suicidio ogni quattro giorni da inizio anno: è il tributo di sangue che imprenditori e manager pagano alla crisi. Una mattanza che, secondo la Cgia di Mestre, conta dal primo gennaio ad oggi 23 vittime. Al Veneto, regione che nell'immagine collettiva per anni è stata esempio "motore" dello sviluppo, il triste primato di nove piccoli imprenditori che hanno deciso di togliersi la vita davanti alle crescenti difficoltà anche a ottenere il pagamento di crediti.
Lunedì a Vigonza (Padova) nascerà l'associzione familiari imprenditori suicidi, ma intanto la crisi non guarda in faccia né il Nord né il Sud e la lista stilata dagli artigiani dice che Puglia, Sicilia e Toscana hanno finora pagato un conto di tre suicidi, l'ultimo ieri con un manager di 42 anni che si è buttato sotto un treno a Sesto Fiorentino. Poi c'è il Lazio con due vittime; Lombardia, Abruzzo e Liguria con uno.
«Il meccanismo si sta spezzando - dice Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia mestrina - questi suicidi sono un vero grido di allarme lanciato da chi non ce la fa più. Le tasse, la burocrazia, la stretta creditizia e i ritardi nei pagamenti hanno creato un clima ostile che penalizza chi fa impresa. Per molti, il suicidio è visto come un gesto di ribellione contro un sistema sordo ed insensibile che non riesce a cogliere la gravità della situazione».
Un gesto estremo che nel 2010 per motivi economici, secondo gli ultimi dati Istat disponibili, ha segnato il destino di oltre 190 persone, senza però distinzioni di ruoli sociali. I numeri sui suicidi forniti oggi dagli artigiani mostrano con evidenza, invece, il tarlo mortale che ha intaccato la fiducia di chi fa impresa. A offrire un segnale preoccupante sul piano strutturale, la difficoltà a sopravvivere che sembrano avere le neo imprese. A dirlo è sempre la Cgia, che presenta impietosa un raffronto tra il 2004 e il 2009. Se nel 2004 le aziende che non superavano i 5 anni di apertura erano il 45,4% del totale (Lazio 51,1%, Campania 49,8%, Calabria 49,1%, Sicilia 48,3%); cinque anni dopo la percentuale sale a 49,6% (Lazio 54,6%, Sicilia 51,9%, Calabria 50,4%, Liguria 50,1%).
«Tasse, burocrazia, ma soprattutto la mancanza di liquidità - sottolinea Bortolussi - sono i principali ostacoli che costringono molti neoimprenditori a gettare la spugna anzitempo. È vero che molte persone, soprattutto giovani, tentano la via dell'autoimpresa senza avere il know how necessario, tuttavia è un segnale preoccupante anche alla luce delle tragedie che si stanno consumando in questi ultimi mesi».
Lettera alla figlia di un imprenditore
suicida: «Ti fai bella con lui, ucciditi»
La donna simbolo della crisi che uccide gli imprenditori, e che doveva essere la presidente dell'associazione dei familiari delle vittime dell'indifferenza verso il lavoro, ha deciso di tirarsi indietro.
Il motivo? Una lettera ricevuta proprio ieri da Flavia Schiavon, 32 anni, figlia di Giovanni, il titolare dell'impresa edile Eurostrade 90 di Vigonza (Padova) morto suicida lo scorso 12 dicembre. «Avevo dato tutta la mia disponibilità per avviare l'associazione perchè credo nell'importanza di condividere con altri il nostro dolore e le difficoltà, ma quello che mi è accaduto mi ha raggelato - racconta Flavia -. Ho ricevuto una lettera dove, tra le montagne di crudeltà scritte, mi si accusa di fare bella mostra di me sfruttando la tragedia di mio padre. No, questo proprio non lo posso tollerare. Addirittura mi viene fatta una colpa perchè sono figlia di un imprenditore. Alla fine, poi, l'autore della lettera mi consiglia di fare la fine di mio padre. Questo è troppo: io voglio vivere serena soprattutto per il bene di mio figlio. Oltre al dolore che mi porto dentro indelebile, non posso sopportare anche le accuse e giudizi di questo tipo. Se fossi da sola andrei avanti, ma non posso sostenere il peso di essere accusata di sfruttare la tragedia per scopi e vantaggi personali. Magari facendo illazioni su presunte speculazioni economiche? Ma stiamo scherzando? No, io voglio vivere serena e tranquilla. Per questo rinuncerò alla presidenza dell'associazione e a qualsiasi incarico. Mi dispiace davvero ma non me la sento».
Il motivo? Una lettera ricevuta proprio ieri da Flavia Schiavon, 32 anni, figlia di Giovanni, il titolare dell'impresa edile Eurostrade 90 di Vigonza (Padova) morto suicida lo scorso 12 dicembre. «Avevo dato tutta la mia disponibilità per avviare l'associazione perchè credo nell'importanza di condividere con altri il nostro dolore e le difficoltà, ma quello che mi è accaduto mi ha raggelato - racconta Flavia -. Ho ricevuto una lettera dove, tra le montagne di crudeltà scritte, mi si accusa di fare bella mostra di me sfruttando la tragedia di mio padre. No, questo proprio non lo posso tollerare. Addirittura mi viene fatta una colpa perchè sono figlia di un imprenditore. Alla fine, poi, l'autore della lettera mi consiglia di fare la fine di mio padre. Questo è troppo: io voglio vivere serena soprattutto per il bene di mio figlio. Oltre al dolore che mi porto dentro indelebile, non posso sopportare anche le accuse e giudizi di questo tipo. Se fossi da sola andrei avanti, ma non posso sostenere il peso di essere accusata di sfruttare la tragedia per scopi e vantaggi personali. Magari facendo illazioni su presunte speculazioni economiche? Ma stiamo scherzando? No, io voglio vivere serena e tranquilla. Per questo rinuncerò alla presidenza dell'associazione e a qualsiasi incarico. Mi dispiace davvero ma non me la sento».
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