In buona sostanza, quello che si vuole è che chi svolge il ruolo della pubblica accusa sia estraneo al mondo del "giudice" che deve rimanere assoluto TERZO tra le parti. Viceversa, il fatto che entrambe le figure appartengano al mondo della Magistratura, con lo stesso organo di controllo, il CSM, le stesse istanze di carriera e professionali , gli stessi sindacati (che loro chiamano associazioni ), creano una COLLEGANZA assolutamente negativa, nella forma e nella sostanza.
Prima della riforma del 1989, che introdusse il processo cd. "accusatorio", all'"americana", questa contiguità era addirittura visibile in aula, e tuttora accade in Cassazione dove lo scranno della Procura è a LATO di quelli della Corte, mentre gli avvocati sono collocati dietro semplici scrivanie, di fronte, in basso.
Prima, come detto, era la REGOLA, e non di rado, nelle pause del processo, il PM si avvicinava con fare confidenziale al "collega" giudice o andavano a prendere il caffè insieme. Gli avvocati distanti e ossequiosi.
Oggi non è più così, ma la "colleganza" resta.
Vi è poi un problema di formazione. Sarebbe bello che il PM, come probabilmente voleva il principio di tenere UNITE le due figure, avesse nel proprio animus operandi il principio di giurisdizione, come invocato dal bravo giudice Coccioli i cui pacati commenti leggo su FB. Così scriveva oggi sul tema:
" ..... o il pm conserva una cultura giurisdizonale e si ricorda della norma del cpp che lo obbliga ad atteggiamenti da Giudice (compresa la giusta valutazione di elementi a favore dell'imputato o dell'indagato) oppure è meglio che esce dall'alveo della giurisdizione .......ne potrebbero trarre vantaggi altri soggetti del processo ..."
Così purtroppo più spesso non è. Dopo qualche tempo passato in procura, il magistrato prende più spesso il connotato del "super poliziotto", cerca istintivamente, inconsciamente sarei portato a dire, il fondamento della tesi accusatoria, finendo per trascurare gli elementi favorevoli all'indiziato, con un'ottica quantomeno strabica della vicenda sottoposta alla sua verifica. E fin qui, non è una bella cosa ma AMEN. Il problema si fa più grave quando poi, dopo anni di questa "scuola", passa a fare il Giudice, portandosi con sé quella cultura di "presunzione di colpevolezza" che stride in modo feroce con il nostro ordinamento costituzionale, lo stato di diritto e, direi, il senso di civiltà dell'uomo.
Ma sarà un caso che nessun ordinamento tra quelli con cui normalmente ci confrontiamo preveda questo "incesto"?
Un noto magistrato, già mente fine del pool Mani Pulite, il Dott. Piercamillo Davigo, spiega in un libro come la separazione delle carriere fosse già nel progetto eversivo di Licio Gelli e della P2. Solo questo fatto , di per sè, dimostrerebbe che l'idea è antidemocratica e da combattere.
Lascio volentieri la risposta a Pierluigi Battista, che ha commentato da par suo l'iniziativa letteraria e l'ardito teorema.
Buona Lettura
" C’ è da restare veramente mortificati, se l’intera Europa di tradizioni liberaldemocratiche, e aggiungiamoci pure per farci ancora del male una parte dell’America che consideriamo decisiva per l’Occidente avanzato, si è lasciata fuorviare, menare per il naso dalle oscure manovre del tenebroso Licio Gelli. Dobbiamo questa terribile scoperta alla lettura di un libro appena uscito di Piercamillo Davigo, «Processo all’italiana», edito da Laterza e scritto assieme a Leo Sisti. Il mondo ipnotizzato dal capo della P2? Terribile, sconcertante, allarmante. Scrive infatti Davigo che chi sostiene la separazione delle carriere tra pubblici ministeri e giudici, tra magistratura inquirente e magistratura giudicante, tra chi sostiene l’accusa e chi dovrebbe essere terzo e imparziale per definizione nel fisiologico conflitto tra le ragioni dell’accusa e quelle della difesa, insomma chi crede in buona fede in una misura che sembrerebbe di ovvia civiltà in uno Stato di diritto è in realtà uno sprovveduto etero-diretto da un’orrenda figura: «La separazione delle carriere ha un padre, che l’ha sempre rivendicata come personale copyright: Licio Gelli, fondatore della loggia massonica P2. È stato lui a lanciare questo disegno, codificandolo nel suo "Piano di rinascita democratica"». Un disegno davvero diabolico. Chissà se Giovanni Falcone, quando sosteneva la necessità delle separazione delle carriere, fosse al corrente di essere un ingenuo burattino nelle mani del fondatore della loggia P2. Ma la cosa più tremenda è che nella stragrande maggioranza dei Paesi europei il disegno di Licio Gelli è stato attuato pressoché integralmente e addirittura, per eccesso di zelo prepiduista, progettato ben prima della stesura del famigerato Piano di rinascita democratica. In quasi tutte le nazioni dove le ragioni e la prassi dello Stato di diritto sono tenute in debito conto vige infatti una qualche forma di separazione delle carriere tra chi accusa e chi giudica. Certo, con variazioni dovute alle diverse storie nazionali, ma sempre con lo stesso principio appreso evidentemente, in Inghilterra e in Germania, in Spagna e financo negli Stati Uniti d’America, dagli scritti di Licio Gelli. A loro e a nostra insaputa. Ora invece sappiamo, e lo scriviamo con un certo tremore, che i sistemi giuridici delle più avanzate democrazie riflettono disegni e volontà nate nel torbido ambiente di Castiglion Fibocchi. Del resto, se Davigo fosse uscito dal recinto giuridico di stretta sua competenza, avrebbe per esempio potuto notare una conturbante convergenza tra i progetti presidenzialisti coltivati da Gelli e i sistemi politici della Francia o degli Stati Uniti dove la pratica piduista dell’elezione diretta del presidente della Repubblica è una consuetudine consolidata nel tempo e addirittura anticipatrice del programma messo nero su bianco dal capo della loggia P2. Tutte le democrazie del mondo al servizio di Gelli e noi nemmeno ce ne eravamo accorti."
Applausi
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