Cento anni fa una casa di via appia nuova, in Roma.
Un bambino di sei anni da poco compiuti, vive da poco tempo con la mamma ospite dei genitori dai quali è tornata mentre sono in corso le pratiche di separazione dal marito.
Ha una sorellina, di un anno più grande, che non vede da un pochino di tempo.
E' un bambino che non fa domande, buono, dicono. Obbediente, sicuramente.
Sicuramente adora la madre, un classico mammone, e ha un grande timore del padre, che sente severo, che si arrabbia di frequente, specie con la mamma.
Un giorno, di sera (fuori è già buio) il padre viene nella casa dei nonni.
Gli dice "mettiti il cappotto Stefano (nome ovviamente di fantasia)".
Stefano obbedisce, come sempre, senza una parola. I nonni sono pallidi e tesi, ma non dicono nulla nemmeno loro. La mamma non la vede, è in un'altra stanza, non viene a salutarlo.
Ad un certo punto la sente gridare, sente che piange disperata, che urla qualcosa all'indirizzo del padre.
Con calma, lui che è così spesso arrabbiato, gli dice "andiamo Stefano", e il bambino esce da quella casa dove è stato per poco tempo, ma bene, anche senza vedere la sorella ma stando con la sua mamma.
Stefano oggi è un uomo grande, e non ha MAI dimenticato quella sera e i singhiozzi accorati di sua madre.
Si arriverà a degli accordi per la separazione, Stefano e la sorella restano affidati al padre, la madre li potrà vedere tutti i giorni, nel pomeriggio, e tenerli con sé dalla mattina alla sera un giorno a settimana.
Stefano non dormirà più con la madre, non si sveglierà più con lei. Però la vedrà tutti i giorni...
Pare che non sia la stessa cosa, ma lui tace sempre. E' obbediente.
Passa qualche anno.
A questa vita strana, dove si mangia e si dorme a casa dei nonni paterni, si gioca e si studia in quella di papà, e dove mamma viene quasi tutti i pomeriggi dalle 17 alle 20,30, Stefano e la sorella si sono abituati.
Si abituano i bambini a vivere nelle favelas, nel disagio, nella povertà. figuriamoci se non si può sopravvivere a questo.
C'è una cosa che però è INSOPPORTABILE per Stefano.
Vedere, respirare il DOLORE della madre.
Lei quando arriva è più spesso sorridente, un po' gioca, un po' ascolta, segue i compiti, soprattutto con la sorellina, più richiedente. Stefano è più "autonomo", gli piace giocare da solo, coi suoi soldatini, o coi calciatori. Per lui l'importante è che la mamma "ci sia", stia lì da loro, sentirne la voce, potere, quando vuole, andare di là ed abbracciarla.
La mamma è affettuosa, è dolce, fa le "vocine".
Però Stefano si accorge che la mamma è TRISTE.
E' preoccupata per il suo futuro...dopo la separazione ha ripreso gli studi, e fa fatica tra università, gli esami e il suo impegno parziale ma quotidiano di mamma....
A volte ha gli occhi cerchiati dalla stanchezza e dalla tensione. A volte le viene anche da piangere.
Stefano sente una morsa dentro. Farebbe QUALSIASI cosa per non vedere la mamma triste.
E invece è piccolo, impotente, e anche pauroso, le volte che il padre alza la voce con la mamma e lui non leva la sua per difenderla. Se ne vergogna, ma NON ce la fa. Troppo timore per quel padre severo. Sarà un rimorso mai cancellato.
Dopo la laurea, c'è la ricerca del lavoro, le supplenze, la cattedra che non arriva (la mamma era diventata professoressa).
E sempre quel senso d'IMPOTENZA, nel vedere la madre preoccupata, e siccome Stefano è diventato adolescente, meno attenta a non manifestare frustrazione e dolore.
Io Stefano l'ho conosciuto.
Sentendo la sua storia, se gli chiedete cosa vorrebbe cambiare della sua infanzia, non risponderà "vorrei aver vissuto con mia madre (che pure....)" bensì "vorrei aver visto mia madre serena".
Io credo lui abbia ragione.
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