Abbiamo già sottolineato più volte come Enrico Letta, che parlò di 100 punti in meno come "immediata" conseguenza di un Berlusconi che si dimetteva, sia stata una delle fellonie propagandistiche peggiori che abbia sentito a Porta a Porta dove pure se ne sentono. Buttiglione, per non essere da meno, alzò la cifra a 200 (chi offre di più??), e comunque tanti economisti straparlarono di come il cambio di guida al governo di per sé sarebbe stato immediatamente recepito positivamente dai mercati.
Ora, se ho capito una cosa, è che noi italiani ci SOPRAVVALUTIAMO e non abbiamo ancora capito che quello che si fa a Roma conta fino ad un certo punto. Del resto non si spiegherebbe perché quando le borse salgono e scendono, lo facciano tutte insieme!! Ma se il problema è l'Italia dovrebbe scendere solo quella italiana e invece così non accade mai (magari noi scendiamo peggio degli altri, ma a volte saliamo di più....la "comunità del segno" resta). Arrivato Monti, nessun miracolo...un miglioramento leggero nell'arco di più di un mese (altro che "domani" onorevole - poco - Letta) ci fu, ma poca roba. Ci volle Draghi, col suo trilione di euro semi regalati alle banche europee, per far scendere veramente lo Spread e a far sorridere un po' i mercati (insieme a qualche decente notizia di oltre oceano).
Ecco, queste cose, lo Spread, la crisi dei debiti sovrani dovuta all'anomalia dell'Euro, la critica alla miopia tedesca nell'aver temporeggiato con la situazione greca col risultato che dopo due anni ancora leggiamo Atene dentro Atene fuori, Giacalone le aveva scritte tutte a ottobre - novembre 2011.
Oggi, che a distanza di sei mesi dall'insediamento di Super Mario, lo spread è tornato a quota 440 e oltre, mi piacerebbe che a Letta fosse interdetto l'ingresso negli studi televisivi, e invece ieri stava a Ballarò....
Comunque sul tema e su quello che andrebbe fatto per provare a uscire da questa palude, l'opinionista repubblicano è tornato e vi lascio alla lettura del suo intervento
Barbari dello spread
Mentre le forze politiche invocano lo sviluppo e implorano di non limitarsi al rigore, salvo non dire nulla di sensato su come si possa ottenere un simile risultato e, per giunta, continuando ad appoggiare un governo che fa l’opposto, il nuovo dittatore, lo spread, fa sentire la sua prorompente vitalità, scorrazzando indisturbato e comprensibilmente incurante del chiacchiericcio. Da destra a sinistra, da sopra a sotto il dimenarsi è inconcludente perché tutto interno ad un modello culturale sbagliato, quello secondo cui per rilanciare il mercato ci vuole più Stato. Sicché, incapaci di pensare il futuro diverso dal passato, si beccano le scudisciate di uno spread che prima fu invocato come causa più che sufficiente per cambiare governo, poi si pretende di trascurarlo laddove indica quel che sarebbe opportuno: far dimagrire lo Stato, diminuire la spesa pubblica e abbattere il debito collettivo.
Il governo, auspicabilmente politico e regolare, ma va bene
anche quello tecnico e commissariale, dovrebbe piantarla di pensare alla
tassazione del patrimonio privato e dedicarsi alla dismissione di quello
pubblico. Da lì verrebbero risorse aggiuntive, con le quali abbattere il debito
(abbattendone il costo) e rilanciare gli investimenti pubblici nelle
infrastrutture. Quei soldi non dovranno in nessun caso essere l’alibi per
mantenere inalterata la spesa pubblica corrente, che non solo va tagliata in
modo significativo, ma che, in molti casi, più la si taglia più migliora la
qualità del servizio (abbiamo già fatto tanti esempi, su scuola, giustizia e
sanità). Questa è l’unica strada che vedo per conciliare rigore e crescita,
perché porta a minore spesa e minore prelievo fiscale. Sarebbe bello sapere
cosa ne pensano i tanti che, oramai, ripetono a pappagallo formulette senza
senso.
Assisto con fastidio allo stagnare intellettuale di chi se
la prende con lo spread al pari del prendersela con gli dei capricciosi, i
quali avevano la fenomenale caratteristica di non esistere, in un trionfo della
superstizione. Sono i barbari dello spread. E vedo con timore il lievitare di
una falsa soluzione, che vorrebbe chiudere con l’era del “liberismo selvaggio”
(ma quando mai c’è stata?), per chiedere allo Stato di rimediare ai fallimenti
del mercato. Strada suicida, perché quello cui assistiamo è l’opposto: il
fallimento dello Stato che tassa e spende e il fallimento di quello che non
c’è, vale a dire quello europeo.
La signora Merkel è stata prima ossequiata e adorata
(ricordate il vanto: “sono il più tedesco degli economisti italiani”?), poi
adottata quale causa di tutti i mali. In realtà ella si trova nella condizione
di forza negoziale che le deriva dal come sono strutturati i trattati europei,
e nella condizione di debolezza culturale di chi governa in Europa senza aver
vissuto la storia, anche dolorosa, della sua nascita e sviluppo. Questo duplice
volto rappresenta un problema politico collettivo, non risolvibile certo con le
elezioni locali tedesche, ma che rimane al di sopra di una classe dirigente
nana, in Italia come in altre parti d’Europa, che assiste senza fiatare alle
dimissioni di Jean-Claude Juncker, rinunciando a farne l’inizio di un diverso
corso federale.
Come capita a molti giochetti d’enigmistica, la soluzione
non è difficile, quando poi è svelata a tutti pare ovvia, ma non ci si arriva
perché si adotta un modello culturale, un modo di pensare sbagliato. Supporre
di conservare il welfare state disfunzionale, scambiandolo per spesa
indirizzata al bene dei cittadini, salvo poi volere dominare i mercati del
mondo, esportando prodotti e importando risparmio altrui, è da dementi. Oppure
da colonialisti, che, però, hanno perso la voglia e la forza d’essere tali.
Quindi: non ci serve più crescita indotta da ulteriore
dilagare della mano pubblica, ma più libertà portata da minore invasività
statale; al tempo stesso ci servono più investimenti pubblici, ma non
alimentati dal gettito fiscale, bensì dalla vendita di un immenso e
improduttivo patrimonio pubblico. L’unico modo per far la fine dei greci
consiste nel ripercorrerne tutti gli errori (consentendo all’Unione Europea di
perseverare nella più sbagliata delle politiche). Chi crede che sia un fatto
tecnico, chi non vede la natura politica di questa scelta, è naturale si
dedichi al sacrificar selvaggina sugli altari mendaci, nella speranza che gli
dei si plachino e consentano la fine della carestia.
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