Al riguardo, la mia la trovate lì.
Qui vi auguro Buona Lettura
il giudice e il militare
Dall’inizio dell’anno duemila professionisti hanno ricevuto
la visita della Guardia di Finanza, per un controllo fiscale. Fra questi ci
sono pure io e non me ne lamento affatto (benché l’impiego di cinque militari
mi sia sembrato un filino eccessivo). Va benissimo così: le tasse si pagano ed
è giusto che siano fatti dei controlli, tanto più che i dati aggregati ci
dicono quanto l’evasione sia alta. Quel che non va bene sono i comunicati
stampa, quasi dei bollettini di guerra. Non va bene che s’annunci la scoperta
di 200 milioni evasi, fra Irpef e Iva. Non va bene che i giornali rilancino la
notizia senza la benché minima attenzione alla fonte e alla fondatezza. Anzi,
va malissimo, perché come è giusto si facciano i controlli è parimenti
essenziale che la parola dell’ispettore non sopprima le ragioni del
contribuente, e la quantificazione dell’evasione effettiva non spetta ai
militari, ma alla giustizia.
In uno stato di diritto la regola dovrebbe essere: male non
fare paura non avere. Purtroppo da noi è un sogno, perché ogni volta che il
cittadino ha a che fare con lo Stato si ritrova schiacciato da una macchina
inefficiente, lentissima e arrogante. Una macchina che ha imparato, però, ad
essere velocissima nell’annunciare d’avere trovato furfanti e imbroglioni. Ma
chi lo ha detto? Quei controlli devono essere rigorosi, il loro frutto, però,
non è mica necessariamente la verità. Tanto è vero che il contribuente ha il
diritto di ricorrere. Il guaio è che avendo la legge concesso la possibilità al
fisco (e di questa colpa il governo Berlusconi non riuscirà mai a mondarsi) di
prendere i soldi del cittadino prima che questo possa parlare con un giudice,
se ne deduce, per estensione, che la tesi dell’accusa sia identificabile con
quella dello Stato. Il che è folle. I controlli devono anche essere razionali,
ed in tal senso rispettosi. Quando vengono da me tre militari e due vanno a
presidiare l’ufficio del commercialista che tiene i conti, e poi mi chiedono
d’esibire la carta con la quale dimostro che colà si trovano le mie carte, il
cittadino si sente vagamente preso in giro: ma se ci siate già andati è segno
che lo sapete bene e conoscete l’indirizzo? Quella carta l’avevo, non ho
(avrei, per la precisione) nulla da temere, ma il timore è insito nel valutare
questo genere di richieste. Come se si fosse alla caccia non dell’evasione, ma
dell’errore con cui fregarti.
A me non piace che un funzionario come Attilio Befera, al
tempo stesso ai vertici dell’Agenzia delle Entrate e di Equitalia, venga preso
a bersaglio della rabbia contro il fisco. Non è giusto, e per il suo dover
girare scortato gli manifesto la mia solidarietà. Ma è anche vero che un
funzionario non si erge a interprete di una guerra, non si fa ritrarre in tutte
le possibili pose, non rilascia interviste come fosse un governante e non
avalla comunicati stampa nei quali si fa marameo al diritto per potere mostrare
al popolo le prede dell’ultima cacciata. Il governo non lasci solo Befera, ne
quanti altri agiscono nel nome e in coerenza con le leggi, ma Befera lasci noi
tutti un po’ più soli, nel senso che lasci al ministro competente (Mario Monti)
il compito d’illustrare la politica fiscale.
Il tutto senza mai dimenticare l’unica cosa essenziale: le
tasse si pagano, ma la pressione fiscale è inaccettabile sulle persone oneste,
assolutamente oltre il limite di sopportabilità. Mentre soffiare sul fuoco (non
dominabile) della rabbia e dell’invidia sociale non aiuta a rendere il fisco
più deglutibile, ma finisce con il provocare conati di rigetto. Che non sono
solo disgustosi, sono anche assai pericolosi.
Nessun commento:
Posta un commento