venerdì 31 luglio 2015

UN'IDEA SULLE INTERCETTAZIONI : STRUMENTO D'INDAGINE MA NON DI PROVA E QUINDI MAI PUBBLICABILI

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La vicenda Crocetta, con il casino mediatico inevitabilmente seguito, lo scoop al contrario, con oggi i giornalisti dell'Espresso indagati per aver diffuso false notizie, ripropone il diuturno problema delle intercettazioni.
Sappiamo che in Italia, a differenza del resto del mondo libero, polizia e magistratura non saprebbero più come fare la benché minima indagine senza questo prezioso strumento. Nulla. Da domandarsi non solo come facciano altrove (negli USA, continente, si fanno meno intercettazioni che in Italia, singolo paese...) , ma come si sia mai fatti prima da noi !!??
Da un po' a questa parte si è un po' fermata - ma mai scomparsa ! - la marea demente di quelli dei facili slogan "intercettateci tutti !", sull'assunto che chi non ha nulla da nascondere... Mi piacerebbe, solo per una settimana...sai le risate, tra tante miserie e vizi privati ? 
Anche tra i radical chic si è iniziato a porre il problema che sì, in effetti, sta storia che sui giornali finiscano poi fatti personali, delicati, che nulla, ma proprio nulla, c'entrano con le ipotesi di reato perseguite, tanto bene non va. E quindi adesso politici ed esperti sono lì ad ingegnarsi per trovare il modo di salvare la volpe e le galline... Impresa ardua, se ci si ostina a voler far stare insieme i due soggetti...
Da tempo Davide Giacalone suggerisce, inascoltato, una soluzione : che le intercettazioni servano come strumento di ricerca delle prove, ma non siano MAI prova di per sé. In tal modo non ci sarebbe mai la necessità-possibilità di stabilire quali siano pubblicabili e quali no : NESSUNA va pubblicata. 
E la Stampa ? Cerca di trovare le notizie senza le scorciatoie a cui si è abituata, negli ultimi lustri, tra l'altro prendendo toppe colossali come pare sia stata questa dell'Espresso. 
Buona Lettura 




Intercettazioni e burle


Risultati immagini per fuga di notizieMentre dalle carte giudiziarie continuano e continueranno a fuoriuscire registrazioni e trascrizioni, talché le intercettazioni e le vite private finiscono e finiranno in pasto all’opinione pubblica, sembra proprio che avrebbero volentieri arrestato Nanni Loy, se non al riparo di ben altra giurisdizione. Mentre mai punimmo e mai puniremo la toga spacciatrice di conversazioni succose, più facilmente potremo punire l’obiettivo che colse il rifiuto di taluno di lasciare inzuppare il cornetto nel proprio cappuccino. Ma no, dicono gli avvocati difensori del governo, e i complici in tale misfatto, che cavolo avete capito? Con l’emendamento che passò, ma che si vuole sorpassare, non si punisce la telecamera nascosta dei giornalisti o dei cineasti, ma la registrazione di frodo, capace di catturare le parole degli ignari. Lo preciseremo, promettono. Accettino un consiglio: più lo precisano e più precipitano. Perché ci vuole poca faccia e tanta fantasia a occuparsi di tali cose nel mentre si finge di volere riformare il processo penale.
Le intercettazioni che non riuscite a regolare, cari governanti e legislatori, sono quelle che vengono effettuate lecitamente, salvo poi essere utilizzate vergognosamente. Supporre d’infilarci una norma, animando colorito dibattito, relativa a questione del tutto diversa, ovvero all’ipotesi d’intercettazioni illecite, vuol dire che pur di non giocare la partita calciate il pallone verso la tribuna. A meno che non abbiate l’estro d’introdurre il concetto secondo cui il reato è un crimine, l’illecito un non lecito, converrete che la procedura ha a che vedere con le conversazioni carpite a seguito di una regolare indagine, non quelle rubate da Gennarino ‘o spione, e nemmeno quelle burlone. Ove mai di queste seconde ci si voglia occupare, riaffermando due principi davvero originali: a. i privati che spiano sono dei fetentoni; b. lo scherzo è bello quando dura poco; ecco, ove mai di ciò ci si voglia occupare, lo si faccia in ben altro contesto, non quando si discute la riforma del procedimento penale. Perché non c’entra un fico secco.
Cincischiate su quella roba perché da quella compresa nel titolo non riuscite a tirar fuori le gambe. Non fate che inventarvi, da anni, udienze segrete, stanze chiuse, cuffie ermetiche, pretendendo che si possa stabilire nel buio cosa è opportuno portare alla luce, lasciando il resto alle tenebre. Ma non avete capito che non funziona? Potete mettere tutti i filtri che volete, ma se intercettate le mie conversazioni e con quelle pretendente di processarmi, il mio avvocato ha tutto il diritto di ascoltare quello che secondo voi è meglio cancellare. Perché il processo penale non è Galbani e non vuol dire fiducia, ma uno scontro, regolato ma durissimo, fra parti contrapposte. Innanzi a un giudice che dovrebbe essere terzo, se non fosse collega del primo ed estraneo solo al secondo (l’avvocato). E capita sempre, fin da quando tale principio fu fatto valere presso la procura di Milano, nell’era in cui la sostanza si mangiò la forma, rendendo la giustizia indigeribile, capita sempre che quando una carta è indirizzata varso la conoscenza della difesa le toghe che la prepararono si sentono automaticamente in diritto di diffonderla per ogni dove, sostenendo che, oramai nelle mani di quei portatori d’interessi privati, naturalmente e consustanzialmente avversi alla suprema verità che solo essi, per conto dello Stato, amministrano, allora la carta suddetta è pubblica. L’avete capito che non esiste alcuna soluzione, partendo da quel presupposto?
Per questo proponemmo una strada del tutto diversa: le intercettazioni siano strumento d’indagine e di prevenzione, ma mai elemento di prova. Qualsiasi cosa io dica non prova un accidente, essendo solo utile a trovare una prova o a prevenire un crimine. In questo modo mai l’intercettazione si deposita e mai scatta la barbarie appena descritta. 
Non garba? Ma a chi? Capisco che non piaccia a chi i processi preferisce farli sulla stampa e chiuderli prima che si aprano. Gli esempi possibili sono centinaia. Ma se a questo non si pone limite e fine, neanche ha alcun senso supporre di riformare la procedura penale, si resti nel regime attuale, in cui la pena consiste nella procedura.

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