giovedì 3 maggio 2012

L'AZIONE PENALE, OBBLIGATORIA, MA NON PROPRIO SEMPRE..



Brutta storia quella che Davide Giacalone racconta in un suo articolo pubblicato il 29 aprile scorso.
DAVIDE GIACALONE
Uomo di fede repubblicana, uno di quelli che ebbe ruoli dirigenziali nel PRI di Spadolini , della cui segreteria fu capo ai tempi della presidenza del Consiglio, assistette da molto vicino alla decapitazione della Prima Repubblica. Si può capire che non abbia un buon ricordo di "Mani Pulite" e dei metodi manettari allora di gran voga ( e mai completamente superati anche se per fortuna non si è più tornati a quei "fasti" ).
Alla barzelletta dell'azione penale obbligatoria non crede e infatti coerentemente ne chiede l'abrogazione, come sostenuto da molti che con realismo pensano di affrontare i tanti problemi del nostro sistema giudiziario.
E a testimonianza di come più spesso si traduca veramente il principio processuale suddetto racconta la vicenda del Procuratore di Torino, Marcello Maddalena, ai tempi di Tangentopoli



Maddalena dava a Cesare


Concetti come “notizia di reato” e “obbligatorietà dell’azione penale” valgono solo quando sconfinferano ai signori della procura, altrimenti possono tranquillamente essere considerati al pari della spazzatura. Quella che segue non è la solita (mia) tiritera garantista, ma la denuncia di un reato. Grave. Sebbene resti da stabilire se a commetterlo sia stato Marcello Maddalena o Cesare Romiti.
Leggendo il libro-intervista di Romiti, incalzato da Paolo Madron, Filippo Facci aveva trovato una perla: l’ex capo della Fiat ricorda che quando pubblicò un articolo, sul Corriere della Sera, destinato a sollecitare gli imprenditori a recarsi presso la procura di Milano e confessare, non lo fece spontaneamente, ma su richiesta di Antonio Di Pietro, Gherardo Colombo e Piercamillo Davigo. Escluso che fra i compiti d’ufficio dei procuratori ci sia quello d’indurre i cittadini a scrivere quale che sia cosa, posto che Romiti ha il pudore di non dirlo esplicitamente, ma fu in quel senso costretto, resta il fatto che quel ricordo è rivelatore, benché non sorprendente.
Ho trovato un’altra perla. Questa volta è nera. Secondo quanto racconta Romiti il procuratore di Torino, Marcello Maddalena, in quei giorni caldi in cui le inchieste producevano arresti di massa e qualche suicidio, chiamò il responsabile dell’ufficio legale della Fiat, Ezio Gandini, e gli disse (virgolettato nel libro, quindi frase testuale): “Basta, non si può più andare avanti così, bisogna che le lotte interne finiscano, perché qui ogni giorno arrivano soffiate anonime da parte di alcuni manager interni alla Fiat”. Strane queste soffiate anonime, che vengono da manager. Perché non impiegati, debitori, mitomani? Come faceva Maddalena a sapere che erano manager? Ecco la risposta: Gandini gli chiese da che ambiente arrivavano e lui, serafico, lo informò che i mittenti erano riconducibili all’entourage di Umberto Agnelli. Il che vuol dire, in buona sostanza, che non erano anonime manco per niente.
In tutti questi anni, quando ci lamentavamo d’indagini nate dalle chiacchiere e alimentate con anni d’intercettazioni e spese inutili, ci rispondevano: la procura deve cercare ovunque le notizie di reato, è la legge che impone di non trascurare alcun dettaglio. Bene. Quando rilevavamo o l’accanimento su certi soggetti, o la insensatezza di certe accuse ci rispondevano: la legge impone l’obbligatorietà dell’azione penale, il procuratore non sceglie quali indagini fare, non è lui a decidere chi indagare e chi no, ma si limita ad attenersi alla legge. E va bene. Difatti sono favorevole alla cancellazione dell’obbligatorietà dell’azione penale, che è una gran presa in giro. Come anche questi ricordi confermano, perché, di grazia, in quale articolo del codice è previsto che il procuratore chiami il capo dell’ufficio legale dell’azienda sulla quale dovrebbe indagare, chiedendogli di mettere il bavaglio e legare le mani a quei quattro sciamannati di suoi dipendenti che continuano a spedirgli denunce, mettendolo nel grave imbarazzo di dovere dare loro corso? Non c’è, nel codice. Non c’è da nessuna parte.
Se così stanno le cose, però, ci sono due conseguenze: a. Maddalena commise un reato, violando i doveri d’ufficio e informando la parte indagata, addirittura suggerendo un preventivo inquinamento delle prove (che è una delle sole tre ragioni per cui si può mettere in galera un cittadino ancora innocente, vale anche per la procura?); b. la notizia di tale reato è contenuta nel libro e nelle parole di Romiti e, per maggiore sicurezza, qui messa in evidenza. Prego, si proceda.
Naturalmente è possibilissimo che il reato lo abbia commesso Romiti, distorcendo le parole di Maddalena e diffamandolo. Il signor procuratore sa cosa deve fare, in questo caso. Confesso, però, di essere un po’ prevenuto, e avendo letto un meraviglioso libro di Maddalena, nel quale si descriveva con estasi mistica l’arresto degli innocenti e si strologava di processi fatti fuori dai tribunali, so che ha una visione molto personale della legge. Raramente collimante con il diritto. Sicché, fra i due, tendo a credere a Romiti. Ma è solo un problema di gusti e d’estetica, sebbene sia pronto a risponderne ovunque me ne sia chiesto conto.

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