Ieri il settimanale televisivo TERRA, su Canale 5, ha mandato in onda
un programma che trattava la delicatissima questione dei suicidi
provocati dalla crisi. E' stato intervistato un signore di cui purtroppo
non ricordo il nome, un docente universitario di sociologia comunque,
cattolico.
Una persona molto pacata, che , cifre alla mano, spiegava che in effetti non ci troviamo di fronte a chissà quale ondata di suicidi. La percezione è questa perché i media puntano il riflettore su questa cosa, ma i numeri e le statistiche non dicono questo.
Certo, la crisi economica è reale e deprime, ma, storicamente, solo all'epoca della GRANDE CRISI del 1929 si assistette veramente ad un "fenomeno" di questo tipo , tra l'altro registrato negli anni successivi, nel 1932 più esattamente, con una percentuale di suicidi che aumentò fino al 20% sui numeri "abituali". Ma questo riguardò gli USA, meno in Europa e ancora meno in Italia. E la struttura sociale di allora ebbe il suo ruolo positivo : un'Italia più povera, contadina, ma anche per questo forse più unita. Anche il condizionamento religioso pare che allora contasse.
Riflettevo su queste parole stamane quando ho letto l'articolo di Filippo Facci che appunto annotava come nella florida Germania si uccidano il doppio delle persone che in Italia, mentre in Grecia, quella citata da Monti, e che sicuramente ci preoccupa come possibile disastroso approdo , poco più della metà.(in Italia siamo a 3000 vittime, in Grecia meno di 1800 ). Proseguendo questa triste classifica, in Giappone si uccidono 4 volte di più, in Russia 6. E restando a noi, nel 1987, periodo della Milano da bere (ancora per poco...) si toglievano la vita più di 4000 persone, meno delle 3000 di oggi sopra ricordate.
Insomma, la crisi è un fatto REALE, il disagio e la preoccupazione anche, ma le persone che per questo sono arrivate a togliersi la vita sono per fortuna ancora poche per poter dire che ci troviamo di fronte ad una epidemia. Se ne uccidono molti di più in carcere, ma di quelli parlano solo i radicali.
Insomma, prestare attenzione si, valutarli come possibili estremizzazioni di un bruttissimo momento anche. Ma enfatizzarli no, col rischio semmai di far scattare in persone più deboli il senso di emulazione.
Quando penso al suicidio, mi viene in mente sempre una definizione che a mio avviso ben lo definisce : soluzione permanente di un problema provvisorio.
Piuttosto, meglio leggere le parole di sincera - mi piace crederlo - vicinanza ed empatia usate da uno scrittore ed ex imprenditore, Edoardo Nesi , che proprio al mondo degli imprenditori e del lavoro tutto si rivolge nel giorno del primo maggio per esortarli a resistere e ad andare avanti, considerandoli la vera spina dorsale del paese, anche se non sono certo trattati come tale.
Buona Lettura
Una persona molto pacata, che , cifre alla mano, spiegava che in effetti non ci troviamo di fronte a chissà quale ondata di suicidi. La percezione è questa perché i media puntano il riflettore su questa cosa, ma i numeri e le statistiche non dicono questo.
Certo, la crisi economica è reale e deprime, ma, storicamente, solo all'epoca della GRANDE CRISI del 1929 si assistette veramente ad un "fenomeno" di questo tipo , tra l'altro registrato negli anni successivi, nel 1932 più esattamente, con una percentuale di suicidi che aumentò fino al 20% sui numeri "abituali". Ma questo riguardò gli USA, meno in Europa e ancora meno in Italia. E la struttura sociale di allora ebbe il suo ruolo positivo : un'Italia più povera, contadina, ma anche per questo forse più unita. Anche il condizionamento religioso pare che allora contasse.
Riflettevo su queste parole stamane quando ho letto l'articolo di Filippo Facci che appunto annotava come nella florida Germania si uccidano il doppio delle persone che in Italia, mentre in Grecia, quella citata da Monti, e che sicuramente ci preoccupa come possibile disastroso approdo , poco più della metà.(in Italia siamo a 3000 vittime, in Grecia meno di 1800 ). Proseguendo questa triste classifica, in Giappone si uccidono 4 volte di più, in Russia 6. E restando a noi, nel 1987, periodo della Milano da bere (ancora per poco...) si toglievano la vita più di 4000 persone, meno delle 3000 di oggi sopra ricordate.
Insomma, la crisi è un fatto REALE, il disagio e la preoccupazione anche, ma le persone che per questo sono arrivate a togliersi la vita sono per fortuna ancora poche per poter dire che ci troviamo di fronte ad una epidemia. Se ne uccidono molti di più in carcere, ma di quelli parlano solo i radicali.
Insomma, prestare attenzione si, valutarli come possibili estremizzazioni di un bruttissimo momento anche. Ma enfatizzarli no, col rischio semmai di far scattare in persone più deboli il senso di emulazione.
Quando penso al suicidio, mi viene in mente sempre una definizione che a mio avviso ben lo definisce : soluzione permanente di un problema provvisorio.
Piuttosto, meglio leggere le parole di sincera - mi piace crederlo - vicinanza ed empatia usate da uno scrittore ed ex imprenditore, Edoardo Nesi , che proprio al mondo degli imprenditori e del lavoro tutto si rivolge nel giorno del primo maggio per esortarli a resistere e ad andare avanti, considerandoli la vera spina dorsale del paese, anche se non sono certo trattati come tale.
Buona Lettura
EDOARDO NESI |
Hanno paura. Sono arrabbiati. Mi confidano gli stessi problemi, mi rivolgono le solite domande. Molti vogliono solo sfogarsi, qualcuno mi chiede consiglio. Quando li incoraggio a non mollare, a trovare dentro di loro la forza e il coraggio che hanno sempre avuto, mi chiedono perché non dovrebbero mollare, oggi.
Edoardo
Nesi
Perché non dovrebbero chiudere le loro aziende, o aprire
concordati a quelle percentuali risibili che la legge consentirebbe
loro, o persino fallire? Perché dovrebbero continuare a cercare di resistere
all'onda di marea di una globalizzazione indiscutibile e irresistibile, alla
scomparsa del credito bancario, al rarefarsi e all'affievolirsi dei loro
clienti e dei loro mercati, all'annerirsi quotidiano del sudario di sconforto e
pessimismo che copre oggi il nostro Paese? Negli ultimi mesi i loro messaggi
sono cambiati. Si sono incattiviti. Hanno sviluppato per i politici un vero e
proprio odio, e quest'odio spalmano uniformemente e forse - forse -
ingiustamente su tutti i partiti e su tutti i leader. Sono furibondi, offesi
dalla leggerezza, dalla spudoratezza di chi hanno mandato in Parlamento. Ogni
segno di ingiusto privilegio, ogni furto che viene alla luce è accolto da un
furore che mai avevo sentito prima. Come se, per la prima volta nelle loro
vite, gli imprenditori sentissero come loro i soldi dello Stato. È un buon
segno, forse, questo furore.
Si chiedono, gli imprenditori, cosa vorrà fare il governo
della seconda economia manifatturiera d'Europa. Vorrebbero sapere se
esiste o no un piano industriale per l'Italia, perché temono che non ce ne sia
nessuno; che istituire una strategia per le imprese e per i milioni di loro dipendenti
non faccia parte, cioè, delle intenzioni e delle capacità del governo.
Sono stanchi d'essere additati come evasori da chi ogni
giorno evade dalla decenza; a loro che sono rimasti sorpresi dalla durezza
della battaglia tutta politica sull'articolo 18; a loro che si chiedono perché
sia così importante lastricare d'oro la strada alle multinazionali affinché
investano in Italia e non per le imprese italiane che ancora esistono e
resistono o per quelle che potrebbero nascere. Ecco, alle loro domande io
riesco solo a rispondere commosso che, se mollano loro, molla il Paese. Che
hanno nelle mani il futuro dell'Italia e dei nostri figli. Che senza di loro
non ce la faremo mai. E mi pare di vederli mentre leggono la mia risposta e
sorridono e mi danno del figlio di buona donna perché io la mia azienda l'ho
venduta otto anni fa. Sì, sorridono e forse un po' si rincuorano, e alla fine
fanno quel che faceva il sommo maestro Samuel Beckett, quando scriveva: Non
posso continuare. Continuerò.
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