E di fronte alle difficoltà che con tutta evidenza mostra il Governo Monti, che pure non ha vincoli elettorali , ha l'appoggio forte del Quirinale - che ha fatto capire, al PD specialmente, che di elezioni anticipate non se ne parla - e può continuare a dire "apres moi le deluge", hanno buon gioco gli ex governanti, Berlusconi e Monti, a rilasciare dichiarazioni e interviste il cui senso è "avete visto? in Italia non è possibile toccare la Spesa!!"
In effetti, se su una spesa di 800 e passa Miliardi, il Governo Monti spera di recuperarne dalla "razionalizzazione" della stessa solo 4, quelli che servirebbero per non aumentare l'IVA a ottobre e causare altra depressione economica, bé sembrerebbe veramente la barzelletta (in realtà è un fatto vero, ascoltato personalmente) del tizio, single che, pur guadagnando poco meno di 3.000 euro mensili, chiamato a indicare cosa avrebbe potuto eliminare delle sue spese correnti, dopo attenta analisi rispose: giornale e cappuccino al bar!!!!
In realtà non sono pochi gli analisti che da tempo ipotizzano che il debito pubblico, e la relativa gigantesca spesa statale e amministrativa, serva, in Europa ma soprattutto in paesi come l'Italia, a tenere aggregato socialmente un paese che veramente unito non lo è stato mai, per la sua storia e per il carattere prevalente dei suoi cosiddetti cittadini.
Un welfare irrazionale, a pioggia, che elargisce senza qualità (intendendo per qualità soprattutto la capacità di individuare veramente i soggetti deboli e bisognosi, dicendo agli altri di provvedere da sé!), uno Stato che quelli che non trovano lavoro (magari anche poco s'ingegnano a trovarlo, orientando la propria formazione laddove il lavoro è richiesto, invece, che so, di continuarsi a iscrivere a lettere , a legge o a scienza delle comunicazione!!) li impiega e nemmeno col disturbo di inviarli laddove forse almeno un po' servirebbero, servono a tenere a bada una società che si mostra incapace di affrontare il cambiamento imposto dalla nuova economia. "Gli europei, quelli del sud soprattutto, hanno realizzato un "sogno" irreale : massimizzare il reddito diminuendo il lavoro. Ora che devono concorrere con paesi che questo sogno nemmeno lo perseguono, non sanno che fare". Sono le sferzanti considerazioni di un osservatore cinese, che sconsiglia vivamente il proprio paese di investire in paesi come l'Italia.
Panebianco osservava che in genere un debito così grande sia la conseguenza di un evento eccezionale e disastroso come una guerra. Ma da noi, quando abbiamo iniziato a indebitarci senza sosta, parliamo degli anni 70, di guerra non ce n'era nessuna, né è venuta dopo, anzi, è finita pure quella fredda.
E dunque? La risposta dell'acuto analista è appunto il "tenere insieme un Paese che, senza la possibilità di consumare risorse che non era in grado di produrre, avrebbe forse rischiato di disgregarsi".
A me vengono da fare, a braccio, delle obiezioni semplici quali:
1) Il problema del debito è GENERALE. Per l' Italia è più grave perché ne abbiamo di più, ma TUTTI i paesi, Germania compresa, sono FUORI da quel 60% ritenuto il livello virtuoso e sopportabile di questa voce. Quindi i tagli li dovrebbero fare anche nel Nord Europa, e non va nemmeno a loro (guardate in Francia o in Olanda...).
2) Parimenti GENERALE è l'affermazione che il welfare generoso europeo non è più sostenibile, specialmente incompatibile con l' ampiamento della concorrenza con paesi che non hanno questo pietrone al piede .
3) Oltrettutto, è' indubbio, a giudicare dai servizi di Germania, Francia e GB, che noi i nostri soldi li spendiamo MALE. Perché questi paesi forniscono poi ai loro cittadini servizi la cui qualità è imparagonabile alla nostra - al di là delle rare oasi di eccellenza che pure il nostro paese qua e là dimostra - senza contare che ne forniscono anche di più
4) Infine, la Francia, più spesso citata dal giornalista come paese che spende più di noi, non è affatto un esempio virtuoso, anzi. E c'è il piccolo particolare che .è anche più ricco di noi.
Come detto peraltro, l'articolo offre spunti interessanti al dibattito e per questo lo riportiamo integralmente
La manovra bis? Dopo le cifre ufficiali del Documento
economico e finanziario, lo spettro prende corpo. Quando è stato varato il decreto
Salva Italia, il 22 dicembre scorso, sembrava che il prodotto lordo
dovesse scendere quest’anno dello 0,4%. Previsione ottimistica che cozzava
già allora con quelle dei principali osservatori italiani e stranieri: si pensi
che il Fondo monetario internazionale spara un -2,2%.
Il governo adesso riconosce che, anche grazie all’impatto
della stangata invernale, l’economia si contrarrà dell’1,4-1,5%. Sperando di
tornare nel 2013 a… crescita zero. Sono a rischio, quindi, gli
equilibri finanziari faticosamente costruiti.
Se le cose peggiorano ancora (e nessuno a questo punto può
escluderlo), per centrare il pareggio del bilancio e tenere a freno Lady Spread
ci sarà bisogno di un nuovo giro di vite. Nel cassetto è pronto l’aumento
dell’Iva al 23%, ma la stangata sulle buste paga e sulle pensioni è già
pesante, mentre l’Imu, una volta pagate le tre tranche, assumerà il
volto di una consistente patrimoniale sugli immobili. Dunque, dal lato delle
entrate sono state sparate quasi tutte le cartucce. Non resta che la via
maestra, ridurre le uscite.
Un grande esperto come Piero Giarda, ministro
per i Rapporti con il Parlamento, sta lavorando all’impresa della sua vita:
la revisione della spesa voce per voce. Si tratta di un
percorso accidentato in una giungla che assorbe la metà del prodotto lordo; in
sostanza, una meritoria opera di pulizia che dovrebbe fermare una crescita
pluridecennale. Eppure non sarà sufficiente.
Non si tratta più di alzare la paletta dello stop, ci vuole
un vero colpo d’accetta, sostiene l’agguerrita pattuglia di profeti liberisti
guidata daAlberto Alesina e Francesco Giavazzi. Facile
a dirsi costruendo modelli astratti, molto più arduo quando si scende nel
concreto. Perché la verità è che l’Italia spende male, ma non più degli
altri Paesi europei.
Il ministero dell’Economia e delle Finanze ha pubblicato uno
studio dettagliato. Il confronto più recente e omogeneo (i criteri di calcolo
non sono gli stessi per tutti) risale al 2010, quindi prende in considerazione
i bilanci del 2009 secondo i parametri Ocse, nei quali sono compresi i primi
pesanti effetti della crisi. Ebbene, emerge uno scenario che sfida molti luoghi
comuni.
Escludendo gli interessi sul debito, la spesa primaria in
rapporto al prodotto lordo in Italia era arrivata al 47,4%, un livello
intermedio tra Danimarca (56,4) e Spagna (44). La Francia è molto più in alto
(54,3), la Germania al 45,4, la Gran Bretagna, che ha inventato la spending
review, sfiora il 50%.
La posizione non cambia molto prendendo i singoli capitoli:
la protezione sociale (20,4% l’Italia, 21,8 la Germania, 23,7 la Francia), la
sanità (7,5%, 6,9 e 8,4); l’istruzione dove, nonostante pianti e polemiche, con
il 4,8% del Pil, investiamo meno della Francia (6,2), ma più della Germania (4,4).
Anche sulla difesa, con l’1,6%, superiamo i tedeschi, ma non i francesi che,
grazie alla force de frappe, s’avvicinano ai due punti percentuali.
Per la polizia e l’ordine pubblico, con il 2% siamo in linea
con la Spagna, e i due Paesi latini nell’insieme fanno meglio dell’asse renano.
Le spese generali, dove si annidano i peggiori pasticci, in Italia raggiungono
la cospicua percentuale di 4,2 punti del Pil, peggio che in Germania (3,5) e in
Spagna, ma la Francia arriva a 5 punti.
Naturalmente, si può ridimensionare in modo significativo il
perimetro dello Stato e la mano pubblica può lasciare il campo alla mano
invisibile del mercato, privatizzando tutto tranne difesa, polizia e un livello
minimo di servizi. Però il liberismo in un solo Paese è costoso socialmente e
non dura, come dimostra la stessa Inghilterra, seconda solo ai Paesi scandinavi
per livello di spesa, e prima in Europa per debiti mettendo insieme Stato,
famiglie, imprese.
Ma perché trent’anni e passa di manovre correttive non sono
serviti a nulla? L’arcano è presto spiegato: i governi hanno fatto
finta, riducendo soltanto gli aumenti scritti sulla carta e non le uscite in
valore assoluto. Anche negli altri Paesi, però, è successo lo stesso, tanto
che, con l’eccezione della Svezia, sono tutti in deficit: stanno peggio Grecia,
Irlanda, Portogallo e Spagna, ma il Regno Unito arriva all’11,5%. L’Italia fa
registrare un modesto 5,4, a cavallo, come sempre, tra Francia (7,4) e Germania
(3,2).
Allora, dobbiamo arrenderci o si può fare qualcosa in concreto? Pierluigi
Ciocca, storico ed economista, già numero tre della Banca d’Italia, stima
che per raggiungere il pareggio senza sconquassi sociali bisogna
concentrarsi su tre comparti: gli acquisti di beni e servizi, riducibili
dal 9 al 6% del Pil attraverso severe economie e soprattutto rivedendo i prezzi
dei fornitori; i trasferimenti alle imprese, concessi spesso in
modo discrezionale e fonte di abusi, si possono ridimensionare di due punti
senza colpo ferire; infine, la spesa per il personale (senza tagli
brutali) potrebbe scendere dall’11 al 10%.
Mario Baldassarri, economista, ex ministro, senatore
finiano, calcola che «sul 2011 la spesa ammonta a 820 miliardi di euro e va
divisa per funzioni economiche. Le voci più importanti sono gli stipendi della pubblica
amministrazione (181 miliardi), le pensioni (250 miliardi) e gli interessi sul
debito (87 miliardi). Un quarto capitolo riguarda gli investimenti, ma è
l’unico sul quale sono stati fatti tagli veri e oggi vale 36 miliardi. Poi ci
sono gli acquisti (dalle penne biro alle auto blu), 137 miliardi ai quali si
aggiungono i contributi alla produzione, 42 miliardi che nel 2011 scendono a
39. Un cospicuo patrimonio che si può ridurre con significativi risultati».
L’equazione di Mario Monti prevede che, una
volta raggiunto il pareggio del bilancio, può cominciare la lenta riduzione del
debito. Ma il risultato non è garantito. La prima volta che si arrivò
all’equilibrio nel 1875, il debito salì al 100% del Pil per colpa degli
interessi e della speculazione internazionale, ricorda Antonio Pedone,
docente di politica fiscale alla Sapienza, il quale ha condotto un
accurato studio per l’Accademia dei Lincei.
Ciò vuol dire che tagli e tasse sono necessari, ma
non sufficienti.Raschiato il fondo del barile, bisogna picconare la
montagna anche con operazioni di carattere straordinario. Dalla vendita
dei beni pubblici alla patrimoniale, il dibattito sulla fase due è già
aperto, perché la tassa che il passato trasferisce al futuro, come la chiamava
David Ricardo, va pagata una volta per tutte.
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