martedì 1 maggio 2012

SPENDING REVIEW. SAREMO PIU' POVERI, MA QUANTE PAROLE NUOVE CHE IMPARIAMO!!

Gli italiani diventano sempre più poveri. In compenso imparano un sacco di parole nuove.
Spread ormai è termine che usa anche la portiera di mia mamma, in genere più adusa a condannare per omicidio tutti i mariti adulteri senza bisogno di processo.
Adesso stiamo imparando Spending Review , che in italiano significherebbe "revisione della spesa".
In concreto,   si tratta dell’analisi dei capitoli di spesa nell’ambito dei programmi delle attività da attuare da parte dei singoli dicasteri ministeriali al fine di individuare le voci passibili di taglio, per evitare inefficienze e sprechi di denaro.
Solo a scriverlo mi viene da ridere, o da piangere, a seconda dell'umore.
Alla questione dedica il suo pezzo odierno a Davide Giacalone, e vi lascio senz'altro alla sua lettura


 Ghost review

Un fantasma si aggira per le stanze governative: la spending review. Fra ululati di terrore e mugolii d’attesa non si sa più neanche cosa sia, al punto che ne viene annunciata l’apparizione per propiziare il taglio di quattro miliardi dalla spesa pubblica. Come aspettarsi da una fotografia che sappia ristrutturare la casa cadente o far ricrescere i capelli a chi li ha persi. Quegli strumenti, se non truccati, servono per conoscere e capire, per raffigurare fedelmente, non per modificare la realtà o cambiarne i connotati. Luigi Einaudi usava dire: “conoscere per deliberare”, sapere prima di decidere. La spending review appartiene al “conoscere”, poi serve “deliberare”.
Alcuni componenti dell’esecutivo hanno sulle spalle lunga esperienza, relativamente alla spesa pubblica. Vale per il presidente del consiglio, Mario Monti, per Piero Giarda, per Vittorio Grilli ed altri ancora. Insomma la spending review è importante, ma non è che si tratta di persone altrimenti sprovviste di strumenti culturali atti a comprendere quel che è bene fare. E come farlo. Che il fantasma strascichi le sue catene per il palazzo è suggestivo, quel cui si deve fare attenzione è non inciampare in quelle catene. Hanno un potere magico: chiunque le tocchi ne resta ammaliato, al punto di credere, subito dopo, che nulla può essere cambiato, al più leggermente limato. Appartiene a questo maleficio l’idea che il governi s’appresti a tagliuzzare senza radicalmente cambiare.
L’obiettivo, a quel che si legge, è trovare le risorse con cui evitare l’ulteriore aumento dell’iva, dal 21 al 23 per cento, nel prossimo autunno. Intento lodevole, perché quell’incremento penalizzerebbe ancora i consumi e avrebbe il solo effetto di intensificare la recessione, ma non sufficiente. La spesa pubblica italiana non va ridotta, va rivoluzionata e dimezzata. La via c’è.
Una consiste nell’accorpare le provincie, sostengono alla banca centrale europea. Capisco da dove viene l’errore: a forza di sentir ripetere, dagli italiani stessi, che le provincie sono inutili, e a forza di vedere che non cambia un accidente, quelli provano una via intermedia: accorpatele. Ricetta sbagliata. E’ l’intero capitolo della governance locale a dovere essere riscritto. L’unico ente territoriale che appartiene alla nostra storia sono i comuni. I piccoli non costano, quindi il problema degli accorpamenti, in quel settore dell’amministrazione territoriale, riguarda le municipalizzate, capitolo che porta direttamente a quello delle liberalizzazioni (clamorosamente mancate). Dal comune in su siamo nel campo della sovrapposizione, dell’inutilità, della dissipazione e della burocrazia che, per mantenere in vita se stessa ammazza il cittadino e l’impresa. Tutti a dire che le province vanno chiuse (e sarebbe ora), perché, le regioni vi sembrano da proteggere? Sono piccole, inutili, dispersive nella spesa, fuori controllo e senza alcun rapporto diretto con il cittadino. Un fallimento.
La spending review non serve a stabilire che si deve tagliare nella spesa per la scuola o per le carceri, perché per un simile rozzo concetto è sufficiente un mestierante nasometrico. Serve a conoscere per disboscare. Se il machete non lo impugnano i tecnici, che non dovrebbero avere consanguinei al governo degli enti territoriali, che ci stanno a fare? Se anche loro, che hanno scienza e libertà, finiscono prigionieri dei fantasmi, in cosa propizieranno un risultato diverso? Non vorrei tornare all’esorcista, anche per ragioni culturali.
Quando vai a disaggregare e conoscere la spesa sanitaria ti rendi conto che si può risparmiare migliorando il servizio, senza nulla togliere ai malati. Quando studi la digitalizzazione della scuola ti rendi conto che diminuendo la spesa complessiva, quella dello Stato più quella delle famiglie, puoi realizzare una scuola interamente computerizzata. Quando esamini la spesa per la giustizia ti rendi conto che il problema non è trovare i soldi per finanziarla, ma la lucidità per tagliarla di brutto, in modo da far riemergere la giustizia stessa dalla fanga di un’amministrazione che ha sminuzzato e spappolato tutto, nel nome dell’autonomia e a eterna gloria dello spreco (e della ruberia).
Più sento parlare di spending review più cresce la paura che il fantasma abbia già sottratto l’anima e incatenato i nuovi inquilini del palazzo, come già fece con i predecessori. Ha anche mollato una catenata sulla testa di quelli della Bce, che pure sono lontani. Un suggerimento: aprite le finestre e buttatelo di sotto.

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