Arriva il terremoto e Monti cosa fa? Aumenta la benzina. Io credo che il premier potrebbe scrivere un libro intitolato "Aveva ragione Nenni". Perché questo titolo? Perché il vecchio leader socialista, nell'andare al governo nel primo centrosinistra repubblicano, rivelò di aver vanamente cercato la famosa "stanza dei bottoni". Il posto da quale tutto si DIRIGEVA. In realtà, spiegò Nenni, NON c'era.
Ecco, al Presidente della Bocconi deve essere successo qualcosa di simile, perché da quando è a Palazzo Chigi non ha fatto altro che copiare il peggio dei suoi predecessori: tassare tutto quello che si muove, per fare cassa, e paralizzarsi ai nodi veramente cruciali. In più ci ha messo pure su una bella grancassa propagandistica contro l'evasione fiscale, dei "ricchi" che se ne fregano dei poveri. Poi, qualche "ricco" ha cominciato a uccidersi, perché non ce la faceva a pagare i debiti, spesso soprattutto fiscali, mentre magari non gli venivano pagati i crediti, anche quelli verso soggetti pubblici., e l'offensiva mediatica si è un po' spenta.
Insomma , anche Super MArio sti bottoni , per cambiare in meglio le cose e l'Italia, NON li ha trovati.
Eppure c'è chi continua a sostenere e suggerire che qualcosa di diverso si potrebbe fare.
E anche in questi giorni di lutto per la tragedia del terremoto in Emilia, c'è chi parla "diverso".
Davide Giacalone suggerisce di trasformare la necessità della ricostruzione in un'occasione per un cambio di marcia.
Da leggere e commentare.
Terremotiamo la recessione
Dal terremoto si può ripartire, trasformando la disgrazia in
un nuovo inizio. Il dolore è profondo, ma deve prevalere la lucidità e la
volontà. Al governo e all’Italia si offre un’occasione preziosa, che deve
essere colta a favore dei terremotati, ma anche degli altri. Non solo non si
deve tassare (la benzina o qualunque altra cosa) per ricostruire, ma si deve costruire
in modo da tassare sempre meno. Non s’invochi la solidarietà per propiziare la
tassazione, si punti alla spesa necessaria per propiziare lo sviluppo. Si può.
Quel pezzo d’Italia è un’articolazione fondamentale del
nostro tessuto produttivo. Qui si trova parte rilevante della nostra ricchezza,
che è fatta di cittadini responsabili, lavoratori capaci, imprenditori che non
si arrendono e imprese che contengono non contabilizzate quote di ricerca e
innovazione. Piangiamo le vittime (non a caso molti lavoratori e imprenditori),
ma non possiamo e non dobbiamo permettere che fra queste ci sia una così
rilevante fetta del “made in Italy”. Quindi non si tratta di trovare le risorse
per rimettere in piedi quel che è caduto, ma d’impostare subito un diverso modo
di concepire l’urbanistica dello sviluppo: non solo costruzioni antisismiche,
ovviamente, ma capaci di raggiungere la massima autonomia energetica, connesse
fra loro, e con il resto del mondo, grazie alle comunicazioni materiali e a
quelle immateriali, edifici, aree e città intelligenti, che agguantino la
modernità sostanziale e non solo strizzino l’occhio a quella d’immagine.
L’Emilia sfregiata deve essere un pezzo forte del laboratorio Italia,
dimostrando che dal dolore si esce superando l’arretratezza che c’era, facendo
un salto in avanti, facendo sorgere l’Italia che per ogni dove dovrebbe
risorgere. Da recuperare ci sono le testimonianze del passato rinascimentale,
che sono ricchezza da valorizzare, non solo memoria da conservare. Per fare
questo servono investimenti pubblici ingenti, che l’Unione europea non può e
non deve permettersi di ostacolare.
Il governo ci metta la faccia. Mario Monti vada fra i
terremotati. Non si tratta di essere caloroso anziché algido, che queste sono
futilità ridicole, in un tale momento, si tratta di andare a dire: qui si rifà
l’Italia. Spenderemo in deficit, perché i nostri cittadini non devono restare
senza casa ma, cosa ancora più importante, perché l’Italia che compete nel
mondo non può restare senza un pezzo del proprio motore. Chi volesse fermarci
dovrà fare i conti con il nostro orgoglio, ma anche con la determinazione nel
difendere i nostri interessi. Non solo i tedeschi o i francesi ne hanno.
All’Europa parametrale e ragionieristica dica: sia il patto
di stabilità che la costituzionalizzazione del pareggio di bilancio (un
regresso culturale, prima ancora che economico) prevedono delle eccezioni, e
noi la stiamo vivendo. Ci consideriamo esonerati da un vincolo che avrebbe
costi umani intollerabili, ma anche costituirebbe un indebito vantaggio per i
nostri concorrenti. Chiediamo che siano rimodulati, vale a dire destinati
diversamente, i contributi europei all’Italia (alimentati da finanziamenti
anche italiani, mica regali della Befana), in modo che siano utilizzati non
solo e non tanto per ricostruire, ma per riconcepire quest’area produttiva,
divenendo un esempio per l’Ue e per il mondo. La ricchezza che creeremo
rimettendoci in piedi non alimenterà solo il prodotto interno italiano, ma sarà
un modello di crescita riproducibile ed esportabile.
Già prima della crisi, prima della terribile estate 2011, il
nostro bilancio pubblico era in avanzo primario. L’anno prossimo contiamo, al
netto di quel che qui si sostiene, di agguantare l’avanzo strutturale. Eppure
il dio spread continua a frustarci, sicché noi abbiamo deciso di comunicargli
che non solo non faremo sacrifici umani sui suoi altari, ma intendiamo
terremotarli. Ciò non significa che la spesa pubblica crescerà
indiscriminatamente, anzi, il contrario: ne riconvertiremo una parte,
lavoratori pubblici compresi, nella costruzione del nuovo modello, potremo
tagliare più in profondità, perché investiremo con più produttività, e
intendiamo mettere in vendita patrimonio pubblico, con il quale abbattere il
debito. Il terremoto ci ha colpiti in recessione, da quello usciremo in
crescita. Saremo attentissimi sul debito vecchio (con le privatizzazioni), ma
allenteremo le briglie al deficit. Lo faremo perché è nostro dovere e perché è
conveniente. L’Europa che non volesse capire non sarebbe la nostra, e senza di
noi non esiste Europa. Era vero anche ieri, ma oggi non si può non dirlo.
Il governo ha l’occasione d’essere il protagonista di questa
ripartenza, pur con le difficoltà lasciategli in eredità e le disgrazie
sopraggiunte. In caso contrario sarà una comparsa, nella sceneggiata del
declino.
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