Il bilancio del governo dei tecnici è assolutamente mediocre. Ma non per loro colpa, alla fine, ma semmai di chi aveva pensato che loro potessero essere la soluzione.
Ecco il commento odierno di Davide Giacalone, non a caso titolato:
Punto morto
Siamo a un punto morto, bloccati nel nulla e senza idee per
uscirne. L’Italia è un Paese ricco e forte, al netto delle tante deficienze,
che quotidianamente denunciamo, dispone di un tessuto imprenditoriale e di
lavoratori di prim’ordine. Purtroppo lo conoscono solo quelli che lavorano,
mentre un pezzo del Paese, e la quasi totalità della classe dirigente, vive
fuori dal mondo.
Noi non siamo fra i devoti dello spread, semmai fra quanti
s’affannarono a spiegare che quell’indice segnalava la cattiva salute
dell’euro. Ci dissero che volevamo coprire l’inettitudine del governo
Berlusconi (noi, che alla metà del 2009 lo davamo già in stallo) e che si
doveva fare in fretta, correre a mettersi nelle mani di chi sa e fa. S’è visto:
lo spread è alle stelle, e con quello la disoccupazione. Sarebbe bene
aggiungere qualche disoccupato agli altri, se non altro per alzarne l’età
media. Non rimprovero il punto cui quel numero è tornato, perché non frequento
il club dei doppiopesisti, ma è necessario prendere atto che la ricetta imposta
all’Italia ha fallito lo scopo. Più perdiamo tempo a farlo e più saranno
dolorose le conseguenze.
Il governatore della Banca d’Italia sostiene che per uscire
da quella crisi occorre maggiore integrazione europea. Ha perfettamente
ragione, ma qui lo scriviamo da tanto. Ci sentiamo monotoni. Il fatto è che
l’Italia non ha iniziativa politica europea, perché non ha un governo politico.
Lo stesso governatore avverte sui pericoli che corre il sistema bancario
europeo. Idem come sopra: descrivemmo il meccanismo che porta i risparmiatori a
preferire il materasso (meglio la fuga) alle banche dell’eurozona, spiegando
che i soldi messi in circolazione dalla Bce erano un rimedio passeggero, un
farmaco sintomatico. Ma parlavamo al muro. Nessuno pensa che il governo tecnico
possa fare miracoli, ma non riuscire a far valere i punti di forza dell’Italia,
mettere sul tavolo il peso di un positivo rapporto fra debito e patrimonio,
senza lasciarsi impiccare a quello fra debito pubblico e prodotto interno, è
una colpa politica. Aumentare la tassazione e soffiare sul pericolosissimo
fuoco del moralismo fiscale non solo non sono soluzioni, non solo sono insulti
alle presunte competenze tecniche di chi governa, ma fa perdere tempo.
I giornali restituiscono la foto felice del ministro del
lavoro, complimentata dal presidente del Consiglio dopo l’approvazione, al
Senato, con voto di fiducia, della riforma del lavoro. Sono contenti perché non
sanno quel che fanno: la riforma aumenta di un 15% i costi dei contratti di
lavoro tipicamente offerti ai giovani, anche molto qualificati. Quale credere
che sia, la conseguenza? Visto che il mercato non consente crescita di quella
dimensione i contratti in essere saranno estinti alla loro scadenza. E poi
nulla. Possibile che si commettano di questi errori? Certo, perché la realtà
che si ha in mente è immaginifica. Ideologica: il padrone e l’operaio. Roba che
non esiste più.
A tal proposito: i capannoni venuti giù con il terremoto non
sono stati costruiti a risparmio, anzi. A farli cadere non è stata l’avarizia
del padrone, perché furono realizzati, in molti casi, senza lesinare in
abbellimenti e accoglienza. Chi lavora e li frequenta sa che spesso, fuori,
oltre al giardinetto e al parcheggio attrezzato c’è anche la fontana. Il fatto
è che sono stati tirati su sulla base del rischio sismico amministrativamente
accertato, con i criteri di sicurezza disposti. Se c’è qualcuno che deve
arrabbiarsi è proprio chi s’è indebitato, o comunque ha speso, per costruirli.
Invece si avvia la più grande industria nazionale, quella delle inchieste
giudiziarie inutili, e si sdottoreggia sulle colpe delle vittime.
Tutti questi non capiscono perché non sanno, perché la loro
vita, opulenta assai, s’è svolta lontano dal lavoro produttivo. E forti del
loro essere strapagati dipendenti dalla spesa pubblica vivono anche
nell’allucinazione che quanti strappano al mercato il loro benessere sono da
considerarsi, in blocco, evasori fiscali.
Nel novembre scorso s’è licenziato il governo, che aveva
fallito, non convocando le elezioni, ma chiamando al pronto soccorso uno stuolo
di camici bianchi. Quelli si sono insediati e hanno applicato le loro ricette,
pensando di sapere tutto e comportandosi come le beghine superstiziose: la
colpa della malattia è nell’immoralità del malato. Risultato: un quotato
cardiologo continua ad applicare bypass a quelli che arrivano con la diarrea,
affetti da tifo. Nel frattempo proliferano le sette che propongono rimedi
stregoneschi. Il modo in cui si sta affrontando il terremoto è una
dimostrazione del pericoloso fraintendimento. Pensate che non sia carino dirlo
in questo modo? Credo che sia colpevole non dirlo.
Nessun commento:
Posta un commento