Una sorta di coitus interruptus la lettura dell'articolo di Ernesto Galli della Loggia dedicata, come ormai sempre gli editoriali del Corsera, alla crisi europea.
Man mano che leggevo infatti mi saliva l'emozione piacevole che si prova verificando che l'analisi di un opinionista famoso e autorevole coincida in così gran parte con il tuo pensiero, oltretutto anche spesse volte espresso qui sul Camerlengo.
E quindi il problema di un' Europa che fare unita, federata, si rivela drammaticamente impervio all'atto pratico, perché i paesi che ne fanno parte hanno alla fine più differenze che motivi di unione. Questa cosa, meno avvertita quando l'Unione più che europea era OCCIDENTALE, sotto la bandiera a stelle e strisce in virtù della guerra fredda, in periodi poi di economia prospera, di welfare (stolidamente, in questa misura) crescente, è riesplosa drammaticamente alla prima crisi VERA.
Ed eccoci qui, ognuno a operare i propri distinguo, i paesi del Nord Europa ben diversi da quelli del Mediterraneo e ancora non cantano nel coro, di cui pure fanno parte, le voci dei balcani.
I tedeschi sono tornati i crucchi che vogliono egemonizzare l'Europa, quelli del sud gli scansa fatiche, la Francia che pensa a come far finta di contare come la Germania....
Non c'è NULLA in politica estera nella quale l'Unione si muova unita. NULLA.
L'India trattiene i nostri marò ? LUnione dice che la cosa non è di sua competenza... Gheddafi, per punirci del "tradimento" riapre le sue coste agli sbarchi dei disperati dell'Africa? L'Unione ci dice che ce la dobbiamo sbrigare da soli. Cito questi due esempi, convinto che altri paesi ne potrebbero ricordare altrettanti in cui si sono sentiti rispondere in modo simile.
Gli Stati Uniti d'Europa.....Roba che ieri, appena gli spagnoli hanno provato a dire che a Bruxelles, il 29 giugno, erano stati presi degli accordi sullo scudo anti spread che andavano rispettati ORA, e su questa istanza hanno pure "creato" un documento comune con Francia e Italia , ecco che i due paesi si sono sbrigati a dire che era un'invenzione. In effetti la lettera comune non c'era, però quello che dicevano gli spagnoli era VERO ! O almeno così la stampa mondiale l'aveva venduto : la grande sconfitta della Merkel, messa all'angolo da Monti affiancato da Rojoi e non più supportata dalla Francia.
Certo, sarebbe bella un'Europa unita, solidale, con istituzioni comuni, elezioni generali del Capo dello Federazione, come negli USA, sentirsi parti di un paese grande e forte, invece che sudditi di un sistema tecnocratico.
Così non è, e Galli della Loggia ne spiega bene i motivi.
Proseguendo nella lettura , ci si aspetta l'indicazione delle possibili soluzioni, a questo punto, che invece non arrivano.
Una sorta di memento il suo, il ricordo di come ognuno dei paesi di questa Europa ha i suoi "debiti" e che quindi è ingiusto tirare i conti guardando solo a quest'ultimo scorcio di cammino.
Un'esortazione che dubito fortemente qualcuno oltre Alpi e Pirenei prenderà minimamente in considerazione.
Qui mi sembra che si sia al si salvi chi può, e non c'è affatto la convinzione che si sia "tutti sulla stessa barca".
EUROPA TEDESCA E
MEDITERRANEA
Un’antica diversità
Almeno un merito
alla crisi economica che oggi squassa l’Unione Europea va riconosciuto: quello
di obbligare a ripensare dalle fondamenta il modo in cui essa è nata e cresciuta.
Solo così sarà possibile trovare una via d’uscita. Ma è un compito che tocca
alle opinioni pubbliche, agli studiosi e agli osservatori indipendenti, dal
momento che le leadership politiche europee lo evitano accuratamente, impegnate
come sono ad impiegare il proprio tempo unicamente nel rimbalzare da un vertice
all’altro, indicato ogni volta come risolutivo e ogni volta, però, destinato a
non risolvere nulla.
Ripensare la
costruzione europea, dunque. Oggi è chiaro, ad esempio, che alla sua origine vi
fu un atto di temeraria cecità geopolitica. La conclusione della II Guerra
mondiale e il sequestro da parte dell’Unione Sovietica dell’intera parte
orientale del continente furono l’elemento decisivo che portò a considerare
Italia, Francia, Germania e Benelux come realtà omogeneamente «europee ». In
verità esse lo erano solo per un motivo: perché tutte erano allora gravitanti
nella sfera d’influenza degli Stati Uniti, non per altro. Solo la riconosciuta
egemonia americana da parte delle loro classi dirigenti dell’epoca conferiva
insomma a quell’organismo un carattere «occidentale ».
La concezione
dell’Europa alla base dei Trattati di Roma cancellava di fatto almeno due
aspetti decisivi: l’esistenza da un lato di un’«Europa mediterranea » (allora
soltanto l’Italia, ma che con Spagna, Grecia, Portogallo, Malta e Cipro sarebbe
poi divenuta una realtà di rilievo), e dall’altro di un’«Europa tedesca »
incentrata sulla Germania ma in realtà estesa dalla Scandinavia all’Olanda,
all’Austria, alla Slovenia. Quella concezione cancellava l’esistenza di due
Europe con storie, società, tradizioni assai diverse. Due Europe da secoli
unite sì da valori comuni, ma quasi quanto divise da conflitti: con la
differenza, però, che i primi erano patrimonio quasi esclusivo di ristrette
élite, mentre i secondi, invece, avevano radici vastissime e profonde. Due
Europe, la cui esistenza effettiva la Comunità prima (la Cee) e la Unione dopo
(la Ue) sono riuscite ad occultare, per anni e anni, servendosi sia di un
fragile mantello ideologico — l’«Occidente» — sia di una apparentemente più
solida prospettiva generale, l’economia: tutta l’area comunitaria
s’identificava infatti con il capitalismo, era interessata al suo sviluppo, si
riconosceva nelle sue regole.
Ma sia il mantello
ideologico che la prospettiva generale appaiono oggi in frantumi: finito lo
scontro Usa-Urss, l’«Occidente» è divenuto una categoria sempre più
evanescente; mentre l’economia, sottoposta alle tensioni della globalizzazione,
si sta rivelando un fattore assai più di scollamento che di unificazione. E
così oggi riprendono il sopravvento la geografia, la politica e con esse la
storia. Sulla finta capitale Bruxelles riprendono il sopravvento le capitali
vere del continente: Berlino, Parigi, Madrid, Roma. E torna a prevalere una
diversità antica. Oggi, infatti, riappare in tutta la sua drammatica evidenza
la diversità tra l’«Europa tedesca » e l’«Europa mediterranea » (con la Francia
a metà tra le due); a complicare ulteriormente le cose ci si aggiunge pure,
grazie al dissennato allargamento a Est, la radicale diversità dell’«Europa
balcanica».
Qui da noi,
nell’«Europa mediterranea », la modernità democratica è nata assai di recente
dovendo fare i conti non solo con passati fascistico-autoritari — dalla Grecia
alla Spagna, all’Italia appunto—ma con società dai caratteri per più versi
ostili ovvero estranei ai suoi valori, nelle quali dominavano antiche e diffuse
povertà, una debole cultura civica, legami personali soverchianti e insieme
l’individualismo più restio, particolarismi tenaci, una tradizione di governo
lontana dallo Stato di diritto. Tutti questi elementi hanno consentito, sì, che
i meccanismi consensualistico- democratici si affermassero, ma al prezzo di un
ruolo crescente e pervadente dell’intermediazione politica. A Sud delle Alpi e
dei Pirenei, per ottenere successo, la democrazia è stata spinta a diventare
fin dall’inizio, e sempre di più, una democrazia dei benefici, delle
elargizioni, delle sovvenzioni, degli stipendi: a diventare una democrazia
della spesa (e quindi, alla lunga, del debito) alimentando uno spirito pubblico
conseguente.
Così come le sue
classi politiche sono state progressivamente spinte a occupare spazi collettivi
di ogni tipo (spesso addirittura a crearli) facendosi forti per l’appunto delle
risorse di cui avevano la disponibilità. La bancarotta della Grecia, la
drammatica crisi finanziaria esplosa contemporaneamente in molte, importanti
autonomie locali di Italia e Spagna, unitamente all’immane debito pubblico e
privato di entrambi i Paesi, sono di certo un fatto di malcostume e di
leggerezza dei loro governanti. Ma non solo. Rappresentano anche la realtà di
una condizione storica: della condizione storica in cui si è affermata la
democrazia in questa parte del continente.
52 stati? 52?
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