mercoledì 18 luglio 2012

IL POLITO CHE NON TI ASPETTI CRITICA I KEYNESIANI


Confesso di essermi predisposto alla lettura dell'editoriale di Antonio Polito, oggi in prima pagina sul Corriere della Sera, con un certo timore. E' come quando tra amici è sorta qualche incomprensione e nel risentirti temi che il dissapore, il momento di scarso feeling si prolunghi.
Ultimamente con Polito per me era così: apprezzato moltissimo per come scrive - chiaro ed incisivo -, condividendone più spesso i contenuti. nelle sue ultime esternazioni giornalistiche mi ero trovato in disaccordo. Per carità, meno male! Però certe cose mi avevano lasciato perplesso. E' legittimo ritenere che Monti sia alla fine la soluzione migliore (o meno peggiore), per cercare di uscire dal pantano in cui siamo. IO non lo penso, Polito sì. E fin qui...Però dire , come l'ho sentito fare a Linea Notte qualche sera fa, sul TG3, che Berlusconi è il responsabile del disastro attuale, commentando la notizia della sua ricandidatura (che poi, voi ci credete? io ancora no), bè questo da un uomo intelligente, preparato e anche onesto come Polito NON me l'aspettavo. Come ho spesso scritto qui, Berlusconi ha le sue responsabilità e non da poco per non aver provato seriamente, all'indomani delle elezioni del 2001 e del 2008, a fare le riforme nelle stesse materie in cui si è cimentato Monti. Sicuramente per lui sarebbe stato più difficile, non avrebbe avuto l'appoggio del Colle, e opposizione e sindacati gli avrebbero reso la vita durissima. Ma è quanto sta accadendo a Rojoi in Spagna, e il premier spagnolo non si tira indietro (forse perché costretto dall'Europa). Insomma, avrebbe dovuto fare vedere ai propri elettori, quelli che lo hanno votato per una riforma liberale del Paese, che lui s'impegnava nel mantenimento di quanto promesso, e se non ci fosse riuscito per fattori esterni , avrebbe potuto dire "ho fatto ciò che dovevo, non è accaduto quello che volevo".
Così avrebbe fatto un De Gasperi, e Berlusconi ovviamente non è paragonabile al grande statista trentino.
Ma detto questo, sostenere, come fanno i beoti di certa sinistra anti berlusconiana in servizio permanente effettivo, che la rovina dell'Italia ha origine dall'uomo della Brianza....bé questo proprio no.
Il male italiano principale (certo non unico) si chiama debito pubblico, e quando Berlusconi vince per la prima volta le elezioni, nel 1994, era al 120,5%, esattamente come lo lascia nel novembre 2011. In questi 18 anni Berlusconi ne ha governati 9, gli altri sono appannaggio del centro sinistra (da Dini a Prodi, a D'Alema, ancora Prodi). La seconda repubblica ha fallito, Berlusconi unico colpevole?
Ridicolo.
Oggi, nel parlare del problema della crescita che manca ( da almeno due lustri, ad essere precisi. oggi, forse anche grazie alla politica di tassazione di Monti, siamo in recessione), Polito sembra riprendere posizioni più equilibrate, almeno dal mio punto di vista
Buona Lettura


  IL DIBATTITO SULLA CRESCITA

Ma quanti medici pietosi si affollano intorno al capezzale dell'Italia. La vedono emaciata, e se la prendono con le cure troppo aggressive. La trovano pallida, e vorrebbero ovviare con un po' di belletto. La scoprono sofferente, e propongono un forte analgesico. Sembrano tutti far finta di non sapere che la paziente sta lottando per la vita o per la morte: dopo il grave infarto di otto mesi fa non si è ripresa, e la prognosi resta riservata. Certo che le cure la debilitano, certo che è spossata e soffre, e fa male a tutti vederla così; ma interrompere la terapia può provocare un nuovo e fatale infarto. Non a caso i più pietosi suggeriscono una dolce morte: staccare la macchina che ci tiene legati all'euro e consegnarsi all'oblio.

Fuor di metafora, è diventato di moda condannare l'austerità e suggerire alternative keynesiane: iniezioni di denaro pubblico per battere la recessione. Ma mentre da noi le si invoca, in Germania sono convinti che l'Italia di oggi sia proprio il frutto di un lungo ciclo di politiche keynesiane. E in effetti è legittimo pensarlo di un Paese che ha accumulato la bellezza di duemila miliardi di euro di debiti. Si è trattato, a dire il vero, di una versione più casereccia del tax and spending dei socialismi scandinavi. Anche perché, duemila miliardi di debiti dopo, noi abbiamo ancora otto milioni di poveri e crescenti ineguaglianze. Alte tasse e alta spesa pubblica non hanno prodotto da noi la coesione sociale svedese o il tasso di occupazione danese. E, se è per questo, nemmeno l'innovazione tecnologica finlandese, l'assistenza sanitaria francese o l'industria tedesca. Quei duemila miliardi sono stati solo la risposta affannosa di una classe politica provinciale all'emergere della globalizzazione: altri risolsero con una Thatcher, noi indebitandoci.

Eppure i medici pietosi accusano il «neoliberismo selvaggio» per questi disastrosi vent'anni. Non è chiaro a quali selvaggi si riferiscano. Ai governi di Ciampi e di Prodi, al colbertista Tremonti? A un centrodestra che, caso unico in Europa, è riuscito a far crescere spesa pubblica e tassazione? Ma ammettiamo per un attimo che abbiano ragione, e che dai vizi conclamati del mercato si debba passare alle virtù della mano pubblica: con quali soldi? Dove intendono attingere le ingenti risorse che servono (perché uno stimolo keynesiano o è ingente o non è)?
Poiché in cassa non c'è un euro, e poiché non possiamo battere moneta per inflazionare il nostro debito, si presume che i keynesiani di ritorno pensino a un ricorso ai mercati. Vorrebbero cioè curare il debito con altro debito. Ai tassi di interesse attuali? Consegnando ai vituperati mercati una sovranità ancora maggiore sulle nostre scelte economiche? Perfino per fare una politica keynesiana bisognerebbe prima convincere i mercati che si possono fidare di noi, e prestarci soldi a bassi tassi. L'austerità di oggi è dunque la precondizione di qualsiasi politica di domani, anche di quella più illusoriamente espansiva.
I nostri medici pietosi, che si commuovono come coccodrilli davanti al capezzale dove hanno portato l'Italia, erano convinti di avercela fatta a scaricare i loro debiti sui nostri figli. Si capisce che ce l'abbiano con la Germania, che non glielo consente.


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