Io credo che possiamo tranquillamente rassegnarci. Questo
nostro paese non cambierà mai se non sarà costretto a farlo. Purtroppo ha
ragione la Merkel, e a Bersani dò una brutta notizia: due tedeschi su tre sono
con la cancelliera, quindi nel 2013 difficilmente si troverà qualche collega
della SPD a guidare la Germania. La necessità di questa imposizione
esterna induce diversi osservatori, certo non accusabii di anti italianità, di
scarso senso del paese, della nazione, a rivolegre le loro ad
un'Europa che limiti sempre di più la sovranitànazionale-
Angelo Panebianco, noto politologo ed editorialista storico
del Corsera, è tra queste persone comprensibilmente disincantate, per non
dire scettiche, di un possibile riscatto di noi italiani, e gli scontri
corporativi che, da sempre esistenti, sono diventati selvaggi dall'avvento del
governo Monti, mi sembra gli diano ragione.
Prima di lasciarvi all'articolo , vorrei evidenziare una
considerazione che mi ha particolarmente colpito : tassare è più facile che
tagliare la spesa. La massa dei soggetti colpiti dalle tasse è ampia ma
disorganizzata, indifesa, mentre coloro che vivono di spesa pubblica sono
compatti, sindacalizzatissimi, con protettori politici sempre bene all'erta.
Nel 1969 il deficit pubblico non superava il 40% (ed era
considerato TROPPO). Dagli anni 70 in poi è iniziata una marcia inesorabile,
che ci ha condotto alla cifra monstre e intollerabile del 120%..
Di questo sistema pazzesco fruiscono talmente tante persone
che sembra veramente impossibile cambiare.
Eppure dicono che si deve. Quindi? Che si fa?
Buona Lettura
È arrivata l'ora della verità. Adesso che il governo
cerca di mettere mano ai tagli alla spesa pubblica, il Paese reale si ribella,
mette in campo tutta la potenza di cui è capace. Possiamo così comprendere
perché di «rivoluzioni liberali» in Italia si possa solo parlare senza mai
farle. Il governo Monti si scontra ora con veti potentissimi. Sono davvero
tanti e forti coloro che lavorano perché l'ambiziosa e meritoria operazione di
spending review messa in piedi dal governo fallisca il bersaglio. Sarà già
molto se i risparmi previsti consentiranno di rinviare l'aumento dell'Iva.
I tagli veri e radicali alla spesa pubblica (cresciuta di
quasi duecento miliardi nell'ultimo decennio), quelli di cui ci sarebbe bisogno
per abbassare la pressione fiscale e fare ripartire lo sviluppo, restano un
obiettivo incerto e lontano.
Perché in Italia è sempre possibile aumentare le tasse
mentre non è possibile incidere davvero sul sistema pubblico, imporgli una vera
cura dimagrante? Perché, quando si tratta di accrescere la pressione fiscale,
lo si può fare senza quasi incontrare resistenze (è facile come affondare un
coltello nel burro) mentre se si tratta di contrarre la spesa le resistenze
diventano formidabili, si finisce per dare testate contro una spessa lastra
d'acciaio? Il motivo è che i contribuenti, pur essendo tanti, sono
disorganizzati, non hanno difesa. Invece, coloro che vivono di spesa pubblica
sono organizzati e possono attivare difese potentissime. Le ragioni dei
disorganizzati non hanno alcuna chance nel conflitto con gli organizzati.
C'è una specie di triangolo di ferro (della morte?) a
guardia del sistema fondato su alte tasse e alta spesa: è composto dalla
infrastruttura amministrativa (la burocrazia dei ministeri, degli enti
parastatali e locali, le magistrature, amministrative e non), dal sindacalismo
del pubblico impiego e dalle tante lobby che campano di spesa pubblica. I
partiti politici ne sono i complici. In parte ne subiscono il ricatto, in parte
sguazzano nello stesso stagno: se la spesa pubblica venisse ridotta e
razionalizzata, dovrebbero dire addio a un bel po' di clientele. Pensate a cosa
accadrebbe nei mercati elettorali locali se venissero abolite le Province con
annessi e connessi o unificati i Comuni al di sotto dei cinquemila abitanti o posto
mano a una riforma della sanità all'insegna della efficienza.
Chi però giudica solo i partiti come responsabili non si
avvede di quanto sia forte, ramificato e organizzato il blocco di potere a
guardia della spesa pubblica. Così forte e ramificato da avere i suoi santi
protettori anche dentro il governo Monti (dove infatti c'è conflitto fra l'ala
liberale e l'ala statalista).
Va notato che i movimenti di protesta che sorgono
periodicamente possono anche inveire contro le tasse ma non propongono di ridurre
la spesa (anzi, in genere, vogliono aumentarla). Persino la Lega, che agli
esordi aveva impugnato la bandiera della rivolta fiscale, in seguito si mise a
difendere tutto ciò che era «pubblico» e spesa pubblica nelle regioni del Nord.
Resta solo il «vincolo esterno» europeo: secondo alcuni,
solo l'Unione Europea potrebbe domani avere la forza per indebolire il
trasversale partito italiano della spesa pubblica e per imporci una seria
riduzione delle tasse. Nonostante i dubbi, è forse l'unica speranza.
Nessun commento:
Posta un commento