domenica 1 luglio 2012

LE RISPOSTE NEUTRALI ALLA CRISI NON ESISTONO. TORNA LA DIVISIONE TRA LIBERALISMO E SOCIALISMO

Nel post http://ultimocamerlengo.blogspot.it/2012/07/un-fantasma-si-aggira-per-leuropa-il.html, ho citato l'articolo di Danilo Taino, che riportava nel supplemento LA LETTURA del Corriere di oggi. il manifesto neykenesiano del movimento ROOSVELT 2012.
Cosa ne penso lo trovate esposto nell'articolo di cui sopra.
Appresso la lettura integrale del pezzo di Taino, che merita.
Buona Lettura


«Li azzanneremo al polpaccio fino a quando non avranno capito», ha assicurato l’umorista francese Bruno Gaccio. Lo prometteva a Stéphane Hessel, l’autore del famoso saggio Indignatevi! e si riferiva alla gamba di coloro che non comprendono la necessità di essere audaci in questi tempi difficili. Non solo audaci: anche molto anti-mercato e statalisti. Sarà in effetti meglio che gli altri, i liberali, badino al polpaccio e scaldino i muscoli, perché la sfida è lanciata.

Tornare a dividersi è un bene. Le risposte «tecniche», intese come neutrali, alla crisi drammatica che investe l’Europa — secondo alcuni l’intero pianeta — non esistono. Può esistere un governo tecnico, che si fa carico di gestire una fase critica. Qui siamo però di fronte alla crisi acuta di una malattia cronica: per uscirne serve un momento di rottura con il passato, e questo può arrivare solo da un forte mandato popolare su un progetto di cambiamento, non da aspirine, tamponi o, peggio, da olio di serpente, come sembrano essere parecchie proposte «creative» di questi giorni. Occorrono idee su cui litigare e ricostruire le politiche e la politica.

I nuovi keynesiani l’hanno capito prima di altri, o almeno si sono buttati nella mischia in anticipo. Vogliono un new New Deal. L’avanguardia europea di questo Nouvelle Donne, almomento, è francese, esaltata dalla vittoria presidenziale di François Hollande ma anche non soddisfatta dei programmi limitati che il socialista si è portato all’Eliseo. Michel Rocard, ex primoministro di François Mitterrand, sta cercando di porsi come punto di riferimento di questo movimento ad alta gradazione pessimistica e radicale nelle soluzioni. A 81 anni ha dato vita al collettivo «Roosevelt 2012», un gruppo di dibattito e di pressione che vede un Moment Roosevelt come l’inizio di una ricostruzione neo-keynesiana della Francia e dell’Occidente.

Il nucleo dei fondatori comprende intellettuali come Hessel, Jean Daniel (l’inventore del «Nouvel Observateur»), i filosofi Edgar Morin e Cynthia Fleury, il sociologo Robert Castel e anche l’ex calciatore Lilian Thuram. Soprattutto, l’anima teorica del movimento è Pierre Larrouturou, 48 anni, economista socialista, già collaboratore di Rocard: ha pubblicato un pamphlet ora edito anche in Italia da Piemme, intitolato Svegliatevi! (il punto esclamativo sta diventando il timbro di questa nuova sinistra un po’ ispirata al movimento Occupy e un po’ alle posizioni del Premio Nobel americano Paul Krugman, che nei giorni scorsi ha lanciato, assieme a Richard Layard, un manifesto per mobilitare gli economisti neo-keynesiani).

Il punto di partenza del collettivo «Roosevelt 2012» sta nell’analisi della drammaticità della crisi, vista come degenerazione «neo-liberista» del capitalismo. «Le nostre società devono scegliere: la metamorfosi o la morte», sostengono Morin e Hessel. Sull’economia mondiale sta per scatenarsi «una tempesta di inaudita violenza», scrive Larrouturou, forse già nel 2016. Le nubi che si addensano sono i debiti, la disoccupazione, le crisi energetica e climatica e alimentare, ovviamente il disorientamento europeo, la possibilità che «gli Stati Uniti cadano in una recessione di portata storica», la probabilità che la bolla immobiliare cinese scoppi e i mandarini di Pechino reagiscano in modo autoritario se non addirittura con il ricorso «a una guerra per distogliere l’attenzione dal problema». Deglutite pure, perché poi Larrouturou ci conforta: ciò che la politica (neo-liberista) ha provocato, la politica (neo-keynesiana) può correggere con una svolta da new New Deal, con un nuovo «compromesso fordista».
Il programma del collettivo, esposto da Larrouturou, consta di 15 punti che Hollande farebbe bene a realizzare nei primi tre mesi di presidenza, per dare uno choc all’economia non diverso da quello che Franklin Delano Roosevelt diede nei suoi primimesi in ufficio, nel 1933. Innanzitutto, il mettere fuori gioco imercati finanziari. La Banca centrale europea, per dire, dovrebbe stampare denaro, darlo a tasso zero a certe istituzioni come la Banca europea per gli investimenti o alle Casse depositi e prestiti, le quali poi li girerebbero a tassi dello 0,02 per cento agli Stati. I quali smetterebbero così di pagare interessi sul debito quando devono rifinanziarsi. Larrouturou non lo dice, ma così i governi potrebbero indebitarsi a piacere, come accadeva prima del «divorzio» tra banca centrale e Tesoro e la banca era costretta a monetizzare il debito.
Occorrerebbero poi un’imposta europea sui dividendi, una nuova tassa sul reddito, una lotta senza quartiere contro i paradisi fiscali, la riduzione del tempo di lavoro per avere meno disoccupati, una tassa sulle transazioni finanziarie, il divieto alle delocalizzazioni produttive, investimenti nell’edilizia abitativa, una dichiarazione «di guerra ai cambiamenti climatici», un nuovo modello di sviluppo basato sull’economia sociale e solidale, maggiori redditi al lavoro e infine un’Europa democratica fondata su un trattato sociale. Tutto ciò in Francia come modello per il resto delmondo: «L’unica soluzione — scrive Larrouturou — è che un Paese mostri, non in teoria ma in pratica, che si può uscire dalla crisi verso l’alto». Una nuova versione del socialismo in un Paese solo. 

Se in un mondo del genere non volete vivere, sappiate che non sarete soli. Se la critica radicale al modello di capitalismo che ha portato alla crisi di oggi è difficile da evitare, non è però detto che debba essere keynesiana nella lettura e un nuovo New Deal nelle conclusioni. A un Roosevelt Moment, per dire, nel dibattito e nello scontro politico si oppone un Thatcher Moment: rottura comunque, come la Iron Lady fece nella Gran Bretagna di fine anni Settanta, ma non a favore di più Stato. Ormai addentro al quinto anno della crisi finanziaria iniziata negli Stati Uniti, il dibattito su cosa è successo sta infatti diventando abbastanza chiaro. Da un lato indignati, neo-keynesiani e sinistre europee e americane vedono nella deregulation iniziata negli Anni Ottanta l’origine dei guai che hanno portato a uno strapotere del Big Business e agli squilibri della globalizzazione. Dall’altra, economisti e intellettuali liberali vedono nella collusione tra Stato e grandi banche e mega-imprese la nascita di un sistema anti-mercato che in molti settori ha annichilito la concorrenza e creato un capitalismo monopolistico di Stato.

Il lato affascinante di una lettura liberale della crisi sta nel fatto che il principale responsabile della svolta statalista iniziata nei secondi anni Novanta sia un liberista in teoria tutto d’un pezzo, Alan Greenspan. Di fronte al gonfiarsi delle bolle, prima quella delle dot.com poi quella immobiliare e infine quella dei debiti, l’ex presidente della Federal Reserve ha immesso nel sistema per anni enormi dosi di liquidità, che hanno ulteriormente gonfiato le bolle. In un delirio di onnipotenza, applaudito da Wall Street, dalle super-banche, dai petrolieri e dal mondo dei grandi affari, ha creduto di potere dominare i mercati, di abolire i cicli e di creare il nuovo paradigma della crescita continua. È insomma diventato una specie di pianificatore sovietico fino a quando, come a Mosca tra il 1989 e il 1990, il suo sistema non è crollato. La finanza, che sotto la protezione di Greenspan si era arricchita a dismisura, è stata poi salvata con il denaro dei contribuenti e il cerchio si è chiuso in un’alleanza perversa tra establishment economico e Stato.

Qual è tra le due letture la più vicina alla realtà? Dalla risposta a questa domanda dipenderà probabilmente la strada che prenderà l’Occidente nei prossimi anni. Chi riuscirà, in altre parole, a ridurre le bolle che si sono create, da quella del debito a quella immobiliare? L’impostazione neo-keynesiana — in parte di Hollande e in parte di Barack Obama — che vuole creare prima di tutto occupazione e redistribuzione dei redditi attraverso un ruolo dirigista dello Stato? Oppure il rigore — a suo modo liberale e limitativo del ruolo pubblico — di Angela Merkel, per quanto sia faticoso coniugare Germania e liberalismo? Sarà un duello di zanne e di polpacci.

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