Lo STATO ETICO in astratto sarebbe anche una bella cosa. Un posto dove sono i MIGLIORI a governare, con l'biettivo di rendere altrettanto "migliori" gli altri.
L'unico problema è che sono in parecchi a considerarsi MIGLIORI, e come si fa a stabilire chi lo è veramente ? Non è un problema che si risolve con la DEMOCRAZIA. Infatti, col suffragio universale, è evidente che votano TUTTI, e normalmente i migliori sono pochi, una crema elitaria .
Per cui la democrazia non va bene, tanto è vero che autorevoli scrittori ex comunisti , come il vecchio Asor Rosa, hanno invocato la sospensione della democrazia per poter finalmente correggere la rotta che così com'è ci porta alla "perdizione".
In passato, i fautori dello Stato Etico hanno fornito ottimi spunti propagandistici ai regimi totalitari che hanno flagellato il XX secolo con decine di milioni di morti : Nazismo e Comunismo (il Fascismo fu ispiratore del primo, ma in veste molto meno tragica, ancorché teoricamente simile).
Contrapposto allo Stato Etico , c'è quello di Diritto, che non ha l'ambizione di creare un uomo NUOVO, ma di fare i conti al meglio con quello che c'è, cercando di stabilire, per la comune convivenza, un patto adeguato e le regole per farlo poi rispettare.
Una cosa sempre difficile, ma certo di respiro infinitamente meno ALTO del primo....che peccato resti sempre e solo nelle intenzioni.
Per i fautori dello Stato Etico per esempio concetti come la Ragion di Stato sono inconcepibili!
Principi come l'eguaglianza di fronte alla legge vengono presi alla lettera, senza tenere conto che, per il corretto funzionamento di una società, bisogna poi individuare l'identità delle situazioni per applicare correttamente quei principi. Prescindiamo per un attimo che la nostra è una classe politica che definire mediocre è eufemistico, possiamo veramente pensare che le responsabilità di un capo del governo siano le stesse del capo area dei magazzini COIN?
Se il Ministro Terzi - altro buon esempio di mediocrità - per riportare a casa i due marò corrompe qualche membro della Alta Corte Indiana, avrà fatto bene o male?
Certo, nel caso, sarà bene che in giro non si sappia. Giusvà Fioravanti è stato un terrorista di destra reo confesso di vari omicidi (non di quello della stazione di Bologna, che pure gli viene affibbiato) , però questa sua colpa non lo rende stupido. Piuttosto uno che si permette di dire verità scontate che gli altri non dicono : tutti gli stati hanno i loro servizi "segreti". Tutti. Ed è ovvio che il modo di operare di questi NON è in linea con quello di Polizia e Carabinieri no? Se no era del tutto inutile costituirli!!
Eppure , demagogia e populismo imperano, e tanta gente si schiera dietro ai nuovi tribuni della plebe, ora anche togati, che si battono per la VERITA' a tutti i costi....
Un paese da operetta eravamo e tali siamo rimasti.
Da leggere l'intervento di Pietro Ostellino sul Corriere della Sera, che gli porterà - l'autore ne è consapevole - una miriade di critiche dal pubblico radical chic che pure compra il giornale di via Solferino
Se si rifiuta la Ragione di Stato l’etica si trasforma in
diritto
La Ragion di Stato -
della quale ho scritto in un recente «Dubbio», suscitando, come avevo previsto,
l'irritata reazione di qualche lettore - è la divisione fra Etica e Politica
praticata da tutti i governi del mondo, per risolvere casi difficili, ponendosi
oltre i confini dell’infrazione delle regole del gioco. Poiché l’uomo politico
è soggetto, dal proprio stesso ruolo, a «sporcarsi le mani», la Ragion di Stato
è, dunque, il modo col quale si cerca di evitare che un servitore dello Stato,
e lo Stato stesso, siano chiamati a risponderne sulla base della moralità
dell’uomo qualunque; che è diversa da quella dello Stato e dell’uomo politico
(da qui la segretezza con la quale la Ragion di Stato si concreta). Nei Paesi
normali, la pratica della Ragion di Stato è un dato di senso comune -
realisticamente riconosciuto e accettato come connaturato alla stessa Politica
- fermo restando che c’è un limite oltre il quale l’uomo politico non può
sporcarsi le mani senza doverne rispondere all’opinione pubblica. A fissare i
limiti della Ragion di Stato sono i principi, «condivisi», di libertà e di
eguaglianza davanti alla Legge, sui quali si fondano ogni democrazia liberale e
lo Stato di diritto; sono i «costumi», consolidatisi nel tempo, o che hanno
addirittura preceduto la nascita stessa dello Stato e stanno a fondamento del
Contratto sociale che lo ha generato; è il Costituzionalismo, ovvero la
separazione e la distinzione dei poteri che, contrapponendosi l’un l’altro,
temperano il potere pubblico rendendolo legittimo; infine, c’è la Legge che è,
sì, uguale per tutti, ma fa eccezione là dove ricorrano la Ragion di Stato o
ragionevoli, e imprescindibili, ragioni di opportunità politica. Da noi - come
rivelano l’inchiesta giudiziaria sulla (supposta) trattativa fra Stato e Mafia
e certe (strumentali) speculazioni politiche - il circuito
mediatico-giudiziario rifiuta la Ragion di Stato, in nome dell’Etica assimilata
al Diritto; attribuendo all’azione giudiziaria il carattere già di una
condanna, al punto di vederne i presupposti persino nella semplice apertura di
un’inchiesta e nell’avviso di garanzia (che è a tutela dell’accusato), nonché
nella carcerazione preventiva (che ha un carattere solo funzionale: evitare
eventuali intoppi al corretto andamento dell’inchiesta, come la reiterazione
del reato, l’inquinamento delle prove e la fuga dell’accusato). Che piaccia o
no, la distorsione dell’idea di Giustizia è il prodotto dell’obbligatorietà
dell’azione penale.
Il meccanico
trasferimento alla democrazia dell’eredità autoritaria fascista e del progetto
totalitario comunista ha generato un mostro.
Poiché per fascismo
e comunismo la funzione primaria della Giustizia è «far rigare dritto» i
cittadini, il sistema giudiziario - che, nelle democrazie liberali, è
unicamente lo strumento di amministrazione della Giustizia i cui contenuti sono
stabiliti dal Parlamento e concretati dal governo - dispone, con
l’obbligatorietà dell’azione penale, di un potere anomalo di deterrenza, se non
di intimidazione. La «spartizione» dello Stato fra Democrazia cristiana - che
si è preoccupata, soprattutto, di mettere le mani sulla «roba» (l’economia
nazionale) - e Partito comunista, cui sono andate alcune istituzioni, fra le
quali la magistratura, ha fatto il resto. I giovani, reclutati dal Pci nelle
università, o fra i propri quadri, e sui quali esercitava un qualche moderato
controllo «politico», sono stati i (primi) «pretori d’assalto»; assurti,
successivamente, a Procuratori della Repubblica e Pubblici ministeri,
costituiscono, ora, il cuore del sistema. Così, una parte della magistratura è
un potere autoreferenziale, tendenzialmente autoritario (indifferente alle
garanzie dell’Habeas corpus) e/o totalitario (palingenetico anche sotto il
profilo sociale), che finisce inevitabilmente col fare un uso politico della
Giustizia.
Lo provano le decine, se non centinaia, di imputati «eccellenti»,
per lo più imprenditori, uomini d’affari, professionisti - incarnazione, agli
occhi del magistrato politicamente orientato, del capitalismo - che vanno in
carcere, e ci stanno a lungo, «in attesa di giudizio»; un giudizio che, il più delle
volte, è, poi, di assoluzione «perché il fatto non sussiste». Un’altra prova
dell’anomalia giudiziaria? Silvio Berlusconi ha comprato una casa da Marcello
Dell’Utri, pagandola, a quanto si dice, più del prezzo di mercato. In un Paese
normale, la questione sarebbe un fatto privato e riguarderebbe solo loro due;
l’uno (troppo generoso verso l’amico), l’altro (molto abile a fare i propri
affari anche nei confronti dell'amico). Da noi, la magistratura ha aperto
un'inchiesta su entrambi nella presunzione che Berlusconi abbia pagato la casa
più cara del dovuto per tacitare Dell’Utri che lo avrebbe ricattato in quanto a
conoscenza di qualche suo inconfessabile segreto. Come finirà non si sa e
riguarda solo gli imputati e l’Accusa. Ciò che si sa fin d’ora, invece, è che a
ispirare il comportamento di magistrati - che si sono occupati della
compravendita di una casa (?!) - pare più l’ostilità politica, legittima da
parte dell’uomo qualunque, incompatibile con la funzione di magistrato, che il
dettato della legge. Anche se Berlusconi e Dell’Utri fossero, alla fine,
prosciolti, non sarebbe lo stesso lecito chiedersi se i quattrini del
contribuente siano stati spesi bene per aprire un’inchiesta, allestire
eventualmente un processo, impiegare uomini e risorse, dedicare tempo a un caso
così inconsistente sia sotto il profilo logico, sia sotto quello legale?
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