L'articolo che riporto, relativo al recente scontro sul tema giudiziario all'interno della sinistra stessa, è esemplare in questo senso e , a mio avviso, talmente perfetto da etichettarlo tra gli imperdibili.
Prima di lasciavi alla sua lettura, un'unica chiosa. Ogni tanto, nella storia, una certa "intellighenzia" (o che si reputa tale) decide che "per il bene del Paese " è utile ricorrere ad alleanze pericolose, sicuramente non democratiche, nella convinzione che esaurita l'emergenza, sarà semplice disfarsi o comunque fare accettare all'alleato di "ridimensionarsi", tornare al posto proprio.
Come scrive correttamente Polito, è quanto fatto dalla sinistra con la Magistratura, dagli anni 90 in poi. Prima contro Craxi e poi contro Berlusconi. Finito anche il secondo, si vorrebbe che i Giudici tornassero "nelle caserme", vale a dire nei tribunali, limitandosi al loro compito istituzionale, che è sufficientemente difficile e di potere : applicare la legge.
E invece si scopre amaramente che questi non sono disposti a farlo.
Come detto, succede nella storia.
In Italia, un esempio di abbaglio clamoroso e nefasto fu l'alleanza tra la borghesia, spaventata dal pericolo "rosso", e il fascismo.
Sappiamo come andò a finire.
Buona Lettura
Le due anime della sinistra divise su politica e giustizia
Nel mondo intellettuale e politico «democratico», che si
riunì prima intorno alle inchieste giudiziarie contro Craxi e poi contro il suo
erede Berlusconi, si è aperta una profonda frattura, testimoniata dalla
polemica pubblica che sta opponendo il fondatore di «Repubblica» Eugenio
Scalfar...i a un eminente collaboratore del suo giornale come Gustavo
Zagrebelsky. E lo scontro è proprio sull'uso politico della giustizia.
Sembrerebbe una nemesi, se non fosse il segnale di un
fenomeno più profondo, che ha cambiato radicalmente l'opinione pubblica
nell'ultimo ventennio.
Sotto le bandiere di Mani Pulite, infatti, si ritrovarono
insieme due componenti della sinistra italiana fino ad allora lontane quando non
nemiche: la sinistra di provenienza marxista e quella di origine azionista, i
comunisti gramsciani e i liberali pannunziani. Entrambe frustrate dalla
condizione di minorità cui la collocazione internazionale dell'Italia e il
volere degli elettori le avevano confinate durante l'arco del lungo dominio
democristiano, entrambe videro nell'azione palingenetica della Procura di
Milano e delle sue emule l'unica via possibile a una «rivoluzione democratica».
Nasce allora quell'idea del potere giudiziario come difensore dei deboli e
degli oppressi contro i potenti e i forti, che è romantica e seducente ma
alquanto impropria in uno stato di diritto, nel quale i magistrati, anch'essi
assoggettati alla Legge, devono esclusivamente prevenire e reprimere i reati.
La funzione per così dire salvifica degli inquisitori si
rese utile e perfino indispensabile anche per fronteggiare l'imprevedibile
beffa della storia che portò al potere, sull'onda delle condanne a Craxi, il
suo miglior amico: Silvio Berlusconi. Di fronte all'esito delle elezioni del
'94, le prime senza Dc e Psi, quel mondo rispose badoglianamente: «La guerra
continua». E, come tutti sappiamo, continuò.
Per quasi vent'anni. Finché a
sorpresa fu l'Europa, e non una delle tante procure che ci avevano provato, a mettere
fine al dominio politico di Silvio Berlusconi. Questo atto di nascita è così
cruciale nella storia della sinistra «democratica» che è proprio ciò su cui
litiga oggi: per stabilire se il biennio '92-'94 fu il teatro di una
rivoluzione politica o invece il pilastro impastato col sangue di un patto con
la mafia, per usare la elegante metafora di Antonio Ingroia.
Ma perché proprio adesso si consuma una frattura così
clamorosa in quel mondo? La ragione principale è che, come tutte le Sante
Alleanze, anche quella tra sinistra sociale e sinistra morale soffre
enormemente la scomparsa del Nemico. I protagonisti della nuova fase politica,
Napolitano e Monti, sono addirittura emblemi della sinistra che si prepara
finalmente a governare; così l'altra parte, quella che fa dell'opposizione la
propria ragion d'essere, diventa nemica, dando vita a una sorta di regolamento
dei conti simile a quello che tutte le rivoluzioni hanno conosciuto un giorno
dopo la vittoria.
D'altronde anche le Procure vanno per la loro strada. Aver
concesso loro la delega politica del cambiamento non è stato senza conseguenze.
Un potere diffuso la cui autonomia è stata elevata a dogma si comporta in modo
autonomo, talvolta guidato da sinceri aneliti di giustizia, talaltra dalla
tentazione di ripetere le esperienze di successo di Di Pietro e di De
Magistris, trasformando in lotta politica faziosa la propria azione
giudiziaria. Intorno alle Procure è poi cresciuta un'opinione pubblica nutrita
ogni giorno di teorie cospirazioniste vendute a basso prezzo, intrisa di
personaggi e culture provenienti piuttosto dalla destra giustizialista, il cui
motto è diventato il Fiat Iustitia Et Pereat Mundus : dunque pregiudizialmente
refrattaria a qualsiasi discorso politico, perché il governo è sempre potere e il
potere è sempre corruzione. (Tutto questo ovviamente non ha nulla a che fare
con la necessità della lotta alla mafia e con l'esigenza dell'accertamento
della verità su eventuali complicità politiche che vanno perseguite senza
esitazione).
Purtroppo la sinistra politica ha incubato e allevato per
anni e ai più alti livelli questi fenomeni nel proprio seno, ospitandoli e
vezzeggiandoli nei luoghi dove essa forma la sua opinione pubblica. Ha pensato
di usare l'indignazione morale come arma di lotta politica contro gli avversari
di turno, convinta che sarebbe tornata sotto le comuni bandiere non appena
fosse giunta l'ora dei «giusti» al governo. Ma l'indignazione è un genio che
non rientra a comando nella lampada. Per questo la prossima fase politica può
assumere i caratteri, non salutari per le istituzioni, di una vera e propria
guerra civile interna alla sinistra.
E QUI SCATTANO DIECI MINUTI DI STANDING OVATION
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