In realtà sono totalmente d'accordo con la disamina odierna di Davide Giacalone che stigmatizza la decisione di Berlusconi di ricandidarsi alle elezioni del 2013.
Certo, il rischio concretissimo che la maggioranza moderata dell'elettorato italiano si disperda in vari torrenti, consentendo così al fiume della sinistra, non ricco d'acqua ma unito, di vincere le elezioni, è assolutamente concreto. Anzi, oggi è la previsione di tutti ( sempre col timore, o l'auspicio, a seconda da dove si guarda, che riaccada come nel 1994 o anche nel 2006).
Però non si può riproporre il leit motiv degli ultimi venti anni : il referendum pro e contro Berlusconi.
Se oggi Alfano propone l'abbattimento del debito tramite dismissione di parte del patrimonio pubblico, dice una cosa saggia, che la sinistra non riesce tuttora ad articolare, sapendo solo parlare di patrimoniale, tasse ai ricchi, lotta all'evasione fiscale, ignorando che TUTTI nel mondo ci esortano a fare ALTRO che questo se veramente vogliamo risanare il paese e tornare a crescere.
Però la dice da portavoce di Berlusconi, cioè di uno che ha governato per la metà del tempo della seconda repubblica, senza mai dare luogo a questa politica liberale di ridimensionamento dello stato, di meno servizi per tutti e meno tasse, meritocrazia ...ecc. ecc.Insomma, non il massimo dell'attendibilità.
Ma del resto nel PDL il collante è , come nell antica DC, l'avversione alla sinistra. Poi dentro ci sono i liberali, la destra sociale, i socialisti craxiani....insomma, come accade anche nel campo di Bramante, ci si unisce per battere il nemico per poi tornare divisi sull'idea di società.
E' questo il dramma italico, specie di noi Liberali.
Comunque, per coloro che mi pensano un nostalgico Berlusconiano, magari queste righe lo faranno riflettere. Io non ho mai amato Berlusconi, che è persona molto lontana da me e non solo per il ricchisismo portafogli.
Semplicemente, in questi anni, ho denunciato , ome ribadisce nel suo articolo Giacalone, l'ipocrisia moralista della sinistra contro di lui, eletto a icona di tutti i mali d'Italia.
Tranquilli signori, i mali italiani sono più antichi, e Berlusconi non li ha peggiorati. Qualcuno semmai si era illuso che qualcosa avrebbe migliorato, sbagliando.
Ma quello che siamo, lo eravamo già. Un esempio? Proprio il debito pubblico, il pade di tutti i nostri mali, che nel 1994 era esattamente al livello odierno.
Buona Lettura
Non basta più
La presenza in scena di Silvio Berlusconi non basta più.
Dopo diciotto anni, cinque elezioni politiche (tre da lui vinte e due perse) e
agli sgoccioli agonici della seconda Repubblica è, oramai, evidente ai più che
la sua forza elettorale non è in grado di rendere il centro destra capace di
governare e la sua forza economica, i suoi interessi editoriali, non sono
sufficienti a giustificare il voto verso la sinistra, che, semmai, nelle sue
versioni unioniste appare come il più caduco dei prodotti berlusconiani.
Berlusconi ha annunciato che si ricandiderà, e lo farà. Ma non basta a ridare
un senso alla scena politica, perché né la classe parlamentare, né la classe
dirigente più vasta, giornalismo compreso, riescono ad immaginare un futuro che
sia diverso dal passato. Come sarà, invece.
Il centro destra ha scoperto che l’abbattimento del debito
pubblico, mediante dismissioni di patrimonio pubblico, è necessario per mettere
l’Italia al riparo dalla speculazione. Giusto. Bravi. Ma è vero da anni, era
vero anche quando sono andati al governo l’ultima volta, eppure non solo non lo
hanno fatto, ma nel corso della loro gestione la spesa pubblica è aumentata, il
debito anche, e con quelli la pressione fiscale. Nel mentre non erano in grado
di antivedere quel che qui si metteva nero su bianco, portavano sulla scena una
classe parlamentare e di governo in cui i pezzi pregevoli venivano oscurati da
un variopinto caravanserraglio, ove gli aspetti boccacceschi non erano i meno
commendevoli.
Eppure non abbiamo mai concesso nulla al moralismo senza
etica della sinistr. Quella realtà del centro destra, che vedevamo e
denunciavamo (carta canta), non giustificava minimamente la sinistra fuga dal
diritto e dalla realtà, sicché si poteva fare una campagna contro Giovanni
Falcone, isolandolo e sconfiggendolo in vita, per poi condurre una battaglia a
favore di qualsiasi mozzorecchi inquisisse l’avversario politico, in un immondo
guazzabuglio di leninismo e cinismo per poveri di cultura e di spirito. Non mi
piace questa sinistra perché non è eticamente migliore di questa destra, semmai
peggiore, e perché, sebbene con colpevole ritardo, la destra giunge a
razionalizzare quel che la sinistra ancora non si rassegna manco a
contabilizzare.
Tutto questo s’è retto, fino a novembre del 2011, sul
berlusconismo e l’antiberlusconismo. Ora non basta più. Il vuoto che si crea è
più vasto di quello che l’Italia visse nel 1992 e, come allora, ci sono
pressioni dall’esterno che mirano a danneggiare i nostri interessi e portar via
i nostri gioielli. C’è già costato caro, non è il caso di replicare.
L’Italia resta una potenza economica, ricca e vitale, ma
venti anni di non governo hanno corroso alcuni dei pilastri che la reggono.
L’europeismo non può più essere il gargarismo retorico dei pensatori
dialettali, perché l’Europa concretamente realizzata s’è rivoltata in una
minaccia ai nostri interessi nazionali. Mario Monti non si crucci troppo per i
sentimenti anti-tedeschi di alcuni italiani (pochini e assai meno diffusi di
quel che sarebbe ragionevole, in questa situazione), perché il problema
consiste nei sentimenti anti-europei di chi usa l’euro per fregare i
concorrenti interni all’area che copre. Ci sono colpe nostre, ma anche colpe
altrui, e nessuna ha a che vedere con il rigore o con il lassismo, perché qui
siamo nel cuore della storia, nella fucina ove il plurale “popoli” possa
divenire un singolare “popolo europeo”. Non siamo noi italiani ad impedirlo, e
non occorre conoscere il francese o il tedesco, per capirlo.
Il nostro gioco politico interno si dipana senza tenere nel
minimo conto la fine del modello postbellico. Sparendo la guerra fredda e
sorgendo la gobalizzazione il modello del welfare state non regge più. Non
perché non si possa e debba essere solidali con i deboli, ma perché: a. i
deboli non sono più dentro i nostri confini; b. i soldi che si spendono in
quella direzione sono in buona parte buttati, sprecati, anche ove non siano
rubati.
Queste sono le montagne concettuali da scalarsi, queste le
sfide che ridefiniranno la scena politica. Non solo italiana, ovviamente. E in
questa parete liscia i partiti che occupano la scena si mostrano bolsi,
spaventati, aggrappati al primo rampone, con la corda del berlusconismo e
antiberlusconismo oramai ridotta a laccio per le scarpe. Incapaci del minimo,
ovvero riforme costituzionali ed elettorali, si rassegnano al commissariamento
montiano, contendendosi il servilismo verso il Colle. Il guaio è che neanche i commissari hanno le
idee chiare, perché quando decade una classe dirigente non lo fa a fette
selettive, ma con frane distruttive.
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