mercoledì 5 settembre 2012

ABROGHIAMO I REFERENDUM. ALMENO NON CI PRENDONO PIù PER IL SEDERE

Qualcuno mi deve spiegare a che servono i referendum visto che poi i politici fanno come gli pare.
E' successo notoriamente con la RAI, laddove le persone si erano espresse favorevolmente per la sua privatizzazione. anno 1995, quorum raggiunto, voti favorevoli il 55%. La RAI è ancora pubblica, e anzi per far pagare il canone lo vogliono inserire nella bolletta della luce.....
E' successo col finanziamento pubblico dei partiti, dove il sì all'abrogazione fu, prevedibilmente, plebiscitario con il 90% dei sì. Era il 1993. Oggi abbiamo il contributo elettorale, con tanti di quei soldi extra che li investono in Tanzania (Lega), e ci campano famiglie e amici (Lusi).
Così i referendum del 1991 e del 1993 avevano , abrogando norme finalizzate ad un sistema elettorale proporzionale, aperto le porte al maggioritario. Il duplice intento era quello di introdurre un sistema anglosassone dove le PERSONE avevano la preminenza sui partiti, e dove fossero gli elettori a decidere la formazione governativa vincente, sottraendola ai giochi delle segreterie partitiche.
Si era stanchi di vedere governi balneari, di transizione, di durata massima biennale, crisi extraparlamentari ecc. E si era piuttosto stufi che una formazione col 10% dei voti potesse condizionare il paese.
La svolta maggioritaria fu votata dal 95% (!!!!) dei partecipanti al referendum nel 1991 (quello di Mario Segni, sempre appoggiato dai radicali), e dal 82% nel 1993.
Bene, il massimo del maggioritario che abbiamo avuto è stato il Mattarellum, che riservava comunque un 25% dei seggi al voto espresso alle liste in misura proporzionale. Gli aggiustamenti successivi hanno riproposto sempre maggiori quote del sistema che si voleva archiviare, aggiustandolo con sbarramenti e premi di maggioranza.
Adesso, senza alcun pudore, sulla scorta del sostenuto fallimento del  sistema maggioritario, che, di fatto, correttamente NON è mai stato applicato in Italia, si pensa ad una riforma elettorale proporzionale sic et simpliciter, sempre col premio di maggioranza, sulla cui quota si litiga (chi è davanti nei sondaggi la vuole alta, e viceversa. Non si tratta di efficacia, ma di opportunismo).
Il maggioritario è fallito perché occorreva accompagnare alla riforma elettorale (parziale oltretutto) quella istituzionale, correggendo il rigido parlamentarismo (in realtà partitismo) italiano con correttivi che rafforzassero l'esecutivo. Basterebbe un Premier che avesse i poteri di un Sindaco.
Dare la possibilità al capo dell'esecutivo di sostituire ministri riottosi o peggio infedeli, stabilire che la caduta del governo eletto comporti il ritorno alle elezioni senza alchimie parlamentari o peggio quirinalizie. Tutto questo avrebbe reso i governi più forti e le maggioranze più coese, sapendo, chi staccava la spina, che l'alternativa era solo il ritorno alle urne.
Così non è stato, e in questo modo la frammentazione partitica non è stata sconfitta, visto che Bertinotti, col suo 3%, poteva far cadere il governo e ottenere prebende invece che calci nel sedere. Mastella idem. Fini pure.
Sembrerebbe dunque evidente che il male sia stato aver mantenuto i vizi "proporzionalistici" in un impianto che si voleva diverso, che gli italiani avevano votato perché cambiasse.
E invece si torna indietro, e si cura il male con la malattia.
Il ritorno prossimo venturo ai governicchi è paventato da Panebianco, ma credo anche da tutta l'Europa che conta. L'Italia solo col fucile puntato ha messo mano alle riforme, e finora ne ha fatte poche e per lo più male. Figuriamoci una maggioranza domani composta da PD, SEL e UDC. Casini con l'agenda di Monti in mano, Vendola con l'aglio per esorcizzare l'agenda stessa, in mezzo Bersani che si troverà come Prodi, ricattato da Bertinotti e pugnalato da Mastella.
Poi dice che è colpa dei mercati....
Ecco l'articolo del Prof. Panebianco sul tema
Buona Lettura

INSIDIE DI UN RITORNO AL PROPORZIONALE
I nostalgici dei governicchi
È una regolarità conosciuta: in tempo di pace gli stati maggiori elaborano piani di guerra sulla base dell'erronea convinzione che il prossimo conflitto sarà la fotocopia del precedente. Poi, quando la guerra scoppia, si scopre che essa è diversa e quei piani di guerra diventano carta straccia. Qualcosa del genere sembra accadere nella politica italiana. I politici sono impegnati nel riproporre dosi più o meno massicce di proporzionale nella legge elettorale. Contemporaneamente, danno a intendere che dalle prossime elezioni possano uscire responsi definitivi, vincitori e vinti, un governo di legislatura. Per questo, fra l'altro, si attardano a parlare di primarie. Ma ha ragione Romano Prodi ( Corriere , 3 settembre) quando, a proposito del Partito democratico, osserva che le primarie hanno senso solo quando, vigente un meccanismo maggioritario, si sceglie il candidato premier, uno che, se vincerà, avrà buone probabilità, salvo incidenti di percorso, di governare per cinque anni. Non hanno senso invece in regime di proporzionale, ove il nome del premier è deciso dai partiti mediante trattative parlamentari.

Non si può prender congedo dal ventennio maggioritario, ritornare alla proporzionale, e poi pretendere che nella legislatura successiva ci sia un governo solo e basta. Quanti governi si succederanno dopo le elezioni del 2013: Due? Tre? Quattro? Si accettano scommesse. Se si affida ai partiti in Parlamento, anziché agli elettori, la formazione del governo, esso sarà poi in balia delle sempre mutevoli combinazioni parlamentari.

Giustamente Francesco Giavazzi (sul Corriere di ieri) auspica che centrosinistra e centrodestra prendano impegni su cosa faranno in seguito. Ma dato il quadro politico che si delinea sarà difficile che i partiti possano rispettarli. Perché le politiche di governo dipenderanno, più che dagli impegni presi con gli elettori, dalle contrattazioni post elettorali. Senza contare che solo chi è sicuro che la propria identità resterà salda nel tempo può assumere un impegno oggi convinto di volerlo rispettare domani. E le identità future degli attori odierni sono incerte.

Non esistono partiti per tutte le stagioni. Il Pd e il Pdl sono figli dell'epoca maggioritaria. È difficile che sopravvivano nella nuova stagione proporzionale. È più plausibile che nel corso della prossima legislatura si assista a scomposizioni e ricomposizioni lungo tutto l'arco parlamentare. C'è, a questo proposito, una certa congruenza fra la rivalutazione (che contraddice le ragioni della nascita del Pd) di Palmiro Togliatti, fatta dall 'Unità , e il ritorno alla proporzionale, preferenze incluse (forse). Si spiega col fatto che le «ragioni sociali» dei partiti del maggioritario sono venute meno.

Il fallimento della stagione maggioritaria, di cui è stato un aspetto essenziale la mancata riforma della Costituzione, ci lascerà con governi ancor più deboli e precari dei precedenti. 
Ciò fa intravvedere scenari inquietanti. Se l'Unione europea reggerà, se ci saranno passi importanti sulla strada della integrazione politica, l'Italia non avrà governi abbastanza forti per trattare autorevolmente con i partners . Sarà un vaso di coccio e ne faremo tutti le spese.

Se invece l'Europa si sfalderà, peggio ancora: senza leadership di governo forti, legittimate dal consenso popolare, ci ritroveremo presto alla deriva. Per durare nel tempo fronteggiando grandi sfide, di tutto hanno bisogno le democrazie tranne che di una successione di governicchi.

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