giovedì 20 settembre 2012

DIETRO LA COMPRENSIONE PER LA RABBIA DEGLI ARABI QUANTA PAURA C'E' ?



Secondo me da non perdere l'articolo odierno di Pierluigi Battista sulla prima pagina del Corriere della Sera. 
Riprende il tema trattato già da Angelo PAnebianco sulla diversità tra noi e gli islamici, a partire da quella fondamentale che riguarda la LIBERTA' degli individui e il conseguente concetto di responsabilità individuale (ieri sul Camerlengo : http://ultimocamerlengo.blogspot.it/2012/09/se-questa-e-la-loro-democrazia-era.html ), approfondendolo e denunciando cosa c'è dietro agli appelli ad un'opera  censoria tesa a tutelare la sensibilità altrui : la PAURA.
Sono assolutamente d'accordo con lui, come lo ero (non so se l'accostamento gli sarà sgradito ) con Oriana Fallaci che denunciava la pavidità degli europei di fronte al progetto EURABICO dei fondamentalisti islamici. 
Lo dicono proprio loro . In una intervista al Mullah Omar, capo dei talebani in Afghanistan ai tempi delle torre gemelle, questi affermava la superiorità morale dei fedeli al Corano che non erano così vilmente attaccati alla vita come gli occidentali. "Noi saremo sempre più forti di voi, perché avete troppa paura di morire. Siete troppo attaccati a questa vita senza valore , priva di morale".
Visto che hanno cacciato i russi e ora ce ne stiamo andando anche noi, con la coda tra le gambe, magari non ha del tutto ragione, ma qualche motivo per parlare così glielo abbiamo dato.
Buona Lettura


LE VIOLENZE, LA PAURA E L’IPOCRISIA
LA LIBERTA' NON E' UN RISCHIO


"Non suscitano nessuna simpatia gli oltraggiatori della fede altrui, i professionisti della blasfemia, il bullismo esistenziale di chi offende con protervia i sentimenti religiosi di chicchessia. Ed era proprio indispensabile incendiare ancora le piazze islamiche con le vignette del Charlie Hebdo, mentre le autorità francesi annunciano per venerdì la chiusura di scuole e ambasciate e cercano di prevenire il peggio nelle strade di Parigi? È indispensabile però uscire dall’ipocrisia. La reazione rabbiosa e finanche omicida dei fondamentalisti che hanno messo a ferro e fuoco le ambasciate occidentali non ha come bersaglio una vignetta stupida o un filmaccio dozzinale, ma le democrazie che ne permettono la diffusione e non esercitano in modo sistematico la censura di Stato. Non vuole punire un singolo atto «blasfemo», ma odia gli Stati che non hanno i testi sacri come fondamento delle leggi. Considera la laicità un peccato, la libertà d’espressione un’empietà, una comunità non tiranneggiata dai guardiani dell’ortodossia un mondo marcio e meritevole di essere annientato.

Come ha scritto Angelo Panebianco su queste colonne, i fondamentalisti che bruciano e uccidono non sanno che cosa sia il concetto della responsabilità individuale e considerano le società che permettono l a l i b e r t à d’espressione molto peggio del singolo che può abusarne malamente. Hanno un’idea totalizzante della «blasfemia » e equiparano al «blasfemo » qualunque dissenso. Non solo l’idiota che produce un video che svillaneggia Maometto, ma un romanzo di Salman Rushdie e persino i traduttori, poi assassinati, di quel romanzo. Non solo le vignette di un periodico satirico in Francia che gioca irresponsabilmente alla provocazione teppistica, ma, come avviene persino nei Paesi dell’Islam «moderato», chi ha nascosto in un cassetto di casa un rosario o un crocifisso.

Riaffiora in Occidente la tentazione della censura, spaventata dalle conseguenze negative che un uso irresponsabile della libertà può provocare. Ma è appunto un’ipocrisia motivare questa sindrome neo-censoria con una dotta interpretazione restrittiva del trattato sulla tolleranza di Voltaire. La ragione è solo una: la paura. La paura di una reazione spropositata, violenta, furente del radicalismo islamico. E infatti nessun illuminista pentito invoca la limitazione «responsabile» della libertà di espressione se ad essere offesa e bestemmiata è la religione cristiana, perché tutti sappiamo che non ci saranno cortei inferociti di cristiani che assaltano e bruciano ambasciate se al Festival di Venezia si proietta un film in cui una devota si abbandona a sfrenate fantasie sessuali con un crocifisso. Non è nemmeno la vecchia, polverosa, antiquata censura che ha sempre indossato panni virtuosi e che ha sempre preteso di mettere al riparo le persone dall’influsso nefasto di idee, suoni, immagini bollate come «immorali». No, è l’autocensura di chi assiste sgomento a manifestazioni di violenta ostilità nei confronti del nostro «mondo» e ne conclude che la libertà è troppo rischiosa. La censura come provvedimento estremo di ordine pubblico, non la censura come rappresentazione di un codice morale autoritario.

Ecco perché oggi è importante, anche se difficile, difendere l’integrità della libertà d’espressione. Poi la critica più feroce deve essere rivolta a chi ne fa un uso così avvilente, ai cialtroni che producono un filmetto senza qualità o ai vignettisti che rivendicano l’intangibilità di una satira incendiaria proprio mentre l’incendio divampa più forte. Ma il cedimento all’intolleranza, questo no." 

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