Ho trovato molto interessante e anche con qualche richiamo suggestivo l'articolo scritto da
Nathan Jurgenson sul rapporto VERITA' e FALSITA' riprodotta sui social network. Quanto siamo reali , veramente noi stessi ? Sicuramente molto, più di quanto la parola virtuale lasci intendere. Ma non del tutto.
Diciamo anzi che sulla rete siamo più bravi ad enfatizzare quello che di buono pure abbiamo : siamo più spiritosi, più brillanti, più disinvolti spesso. Però se sappiamo esserlo su FB, vuol dire che quelle qualità le abbiamo, ancorché magari non così frequenti...
Insomma, non siamo SOLO quello. L'autore faceva anche notare, riprendendo il parere di parecchi studiosi - sociologi ma anche filosofi - di come in fondo questo gioco, che i SN consentono, sia quello che proviamo a proporre anche nella vita reale , dove ci mostriamo, ma mai del tutto. Anche qui un po' barando, cercando di far sì che l'immagine che a noi piace di noi stessi sia quella offerta e creduta dagli altri.
Poi non siamo del tutto così , e lo sappiamo bene (almeno dentro di noi ) , però ci piace crederci e soprattutto farlo credere.
Su FB e dintorni, è un po' più facile.
Buona Lettura
LA VERITA' E' UN FALSO
Il profilo Facebook è
un’esibizione veritiera di noi o è un groviglio di bugie? In realtà è entrambe
le cose. Da un lato, Facebook e gli altri social media sono descritti come
fonti di verità. Il fondatore e amministratore delegato di Facebook Mark
Zuckerberg dice che Facebook «è la storia della nostra vita» e lo specchio di
«chi siamo realmente». Le centinaia di milioni di utenti globali paiono
impegnati a esibire se stessi nel modo più completo: entrano, discutono,
twittano e fotografano tutto della loro vita, dai momenti significativi alle
banali immagini di un pranzo. Siamo poi preoccupati di tutte quelle piccole
verità che le aziende raccolgono su di noi, un Grande Fratello apparentemente
più benevolo, ma in realtà più pericoloso, che ci sorveglia, registra i nostri
pensieri, monitora abitudini, movimenti e tutto quel che può essere inserito
nei suoi misteriosi database. C’è chi dice che siamo sulla soglia di una nuova
era della Verità.
Il «New York Times» propone spesso riflessioni sul potere della Verità.
In un articolo del 2011 si sosteneva che «il Web fa cadere la nostra maschera»
e produce la «morte dell’anonimato». Nel 2010 era uscito un articolo dal titolo
«The Web Means the End of Forgetting» («Il web significa la fine della
possibilità di dimenticare»). Zygmunt Bauman scriveva nel 2011 sul «Guardian»
che stiamo assistendo alla «fine dell’anonimato». Un altro articolo del
«Guardian» di quell’anno diceva che «grazie alla tecnologia digitale, la
capacità di dimenticare della società è stata sospesa ed è stata sostituita da
una memoria perfetta».
Dall’altro lato sentiamo però esprimere anche un dubbio di diversa
natura: ciò che di noi e della nostra vita pubblichiamo online non è poi così
vero, i profili dei social media sono troppo artefatti, troppo perfetti, e
forse sono poco più di una idealizzazione che usiamo come pallido sostituto di
un vero rapporto umano, come ha sostenuto la ricercatrice Sherry Turkle nel suo
recente libro, Insieme ma soli (Codice). Abbiamo tutti notato che le foto nei
profili sono sempre un po’ migliori della realtà e i tweet più spiritosi di
quanto noi siamo, che le feste sembrano più divertenti, i viaggi troppo
esotici, gli animali domestici troppo adorabili, i cibi troppo appetitosi. Le
vite documentate in questo modo sembrano spesso assai lontane dalla verità.
Allora come stanno le cose? La crescita dei social media comporta un
ampliamento della verità o la creazione di una grande finzione? La verità dei
socialmedia va sempre considerata parzialmente illusoria. Il filosofo Georges
Bataille ci ha insegnato che ogni verità contiene un momento di non-verità, che
chiamava «non-conoscenza». Ogni volta che impariamo qualcosa, ci rendiamo anche
conto dell’esistenza di altre cose che non conosciamo. La relatività di
Einstein ci ha insegnato molto, ma ha anche suscitato molti interrogativi che
prima non si ponevano. Ogni nuova verità porta nuove incertezze: vero e falso
non sono in conflitto, ma hanno bisogno l’uno dell’altro, sono sempre appaiati.
Sul web, vero e falso sono simili alla dicotomia piacere/dolore di Freud: senza
l’uno non si può avere l’altro.
Penso che si possa risolvere il dilemma vedendo Facebook come una sorta
di danza dei ventagli, secondo le linee seguite dal sociologo Erving Goffman
per descrivere, più di mezzo secolo prima dell’ascesa dei social media, la
rappresentazione dell’identità personale. Nella danza dei ventagli di Facebook,
riveliamo creativamente e artisticamente parti di noi stessi, facendo solo
intravvedere la nuda verità e seducendo il nostro pubblico con un occultamento
parziale. I grandi ventagli o le piume che in parte nascondono il corpo della
ballerina fanno balenare la promessa di un’esposizione completa, che non
sarebbe però seducente quanto quella parziale. Jean Baudrillard, un altro
filosofo francese, capì che tenere qualcosa nascosto è più eccitante che
esporre oscenamente tutto.
La danza dei ventagli di Facebook non è quindi pura oscenità — non tutto
viene rivelato — ma non è neppure una fiera della menzogna. È piuttosto un
gioco di seduzione dove la verità è in parte occultata. Gli articoli che
citavamo, in cui si parla di fine della privacy e dell’anonimato, non dicono il
vero. Dimenticano quanti mezzi abbiamo per nasconderci. Quel che pubblichiamo
online non dovrebbe quasi mai essere considerato verità assoluta. Su Facebook,
effettivamente, ci esponiamo, ma teniamo nascoste alcune parti di noi. Nella
sequenza di aggiornamenti del profilo, che possono essere molto dettagliati,
dovremmo anche prendere in considerazione l’intervallo che li separa. Che cosa
non abbiamo fotografato mentre eravamo in vacanza? Che cosa non abbiamo
condiviso? Quando pubblichiamo dei contenuti su Facebook, entriamo in questo
gioco di seduzione, rivelando qualcosa e nascondendo il resto. Lo schermo
rivela solo una piccola parte della storia.
Chi sostiene che Facebook è puramente «virtuale», «falso», mera finzione,
si sbaglia.
Teorici dell’identità come Erving Goffman e Judith Butler
sostengono da tempo che recitiamo sempre; come attori su un palcoscenico
leggiamo i copioni che la società ci assegna, sia quando siamo online che
quando non lo siamo. Sarebbe però sbagliato considerare il profilo Facebook
come una semplice messa in scena, dato che quel che accade online è molto
simile a quel che avviene anche offline. Gli utenti offrono una miscela di vero
e di falso, esponendo qualcosa di sé e nascondendo il resto.
In queste incertezze risiede il fascino dei social media. Se Facebook
presentasse davvero tutta la verità su di noi, o se fosse solo un coacervo di
bugie, non continuerebbero a usarlo sempre più persone. Al contrario,
l’attrattiva dei social media sta nell’interazione creativa e seducente tra
rivelare e nascondere. Su Facebook eseguiamo la danza dei ventagli, in cui si
offrono stuzzicanti momenti di esibizione, ma si nascondono sempre i punti
cruciali, e si è così spinti a tornare per vedere di più.
Nessun commento:
Posta un commento