Un tempo era la gelosia, ora non più. Gli uomini non uccidono più (quasi...meglio ) perché sono stati traditi. Uccidono perché sono LASCIATI. DI questo argomento mi sono occupato tante volte.
http://ultimocamerlengo.blogspot.it/2012/03/signora-dacci-oggi-la-nostra-vittima.html
Per quanto sia uomo incapace di vivere con le donne, ho sempre avuto una grandissima attenzione per l'altra metà del cielo, e e i rapporti più profondi, sinceri, affettuosi alla fine li ho sempre avuti più con loro che con gli amici, che pure sono preziosi. E quindi ho letto coloro che mettevano in guardia dall'elevare un fenomeno orrendo, quello dell'omicidio delle donne, ad un fatto di genere. Gli uomini NON uccidono le donne, visto che a farlo sono un'infinitesima parte di loro. E oltretutto non si può nemmeno dire che in Italia ci sia una violenza superiore rispetto ai paesi del Nord Europa. In Danimarca e Norvegia - sono rimasto sbalordito nel leggerlo - le percentuali sono superiori...Ok, d'accordo. Non generalizziamo per gusto della notizia cruenta. Però che da ANNI, si sia consolidata questa media di una donna che muore ogni tre giorni nel nostro paese non è una percezione, è UN FATTO.
La ragazza di Palermo, di 17 anni, uccisa per aver cercato di difendere la sorella dall'ex che l'aveva aggredita, è la numero 100 quest'anno. Il ragazzo , confessando, ha parlato di raptus...Si vede che contava che gli venisse visto che uscendo si era portato il coltello...La sorella, che si è salvata, rimanendo probabilmente sfigurata sul volto e certamente nell'anima, ancora non sa che Carmela non c'è più. Sa solo che le ha salvato la vita.
Adriano Sofri ha scritto oggi su Repubblica una pagina profonda e triste.
Vi lascio alla sua lettura
Cento donne
Per registrare il passaggio della centesima donna
assassinata nell’anno –quando mancano due mesi e undici giorni - la sorte ha
scelto due sorelle ragazze, la minore che fa da scudo all’altra e muore al suo
posto. E un assassino di 22 anni, che va a cercarle con il coltello in tasca, e
prima ha pubblicato sulla sua pagina di facebook, in una cornice colorata
riempita di angioletti e cuoricini, parolette sulla “perdita di qualcuno che
ami”. “Parole –leggo nei primi commenti- che stridono con il delitto…”. Temo di
no, che non stridano. Temo che “la perdita di qualcuno che ami” significhi, per
quello sciagurato, la scelta della “sua” ragazza di lasciarlo. Ammazzarla,
perderla per sempre a se stessa e al mondo, è per lui il risarcimento della
perdita. Fra quei pensierini –sdolcinatezza e coltello vanno volentieri
assieme- c’era anche questo: “Se potessi esprimere un desiderio… non chiederei
un amore perché un amore si conquista…”. Si dice così in amore, conquistare:
salvo ripensare al senso terribile che il verbo prende all’improvviso. Non
tanto all’improvviso, del resto, nè “all’ennesima lite”, se c’era quel coltello
pronto alla riconquista.
Il centesimo assassinio di donna ha questi tratti
tremendamente penosi, che lo sottraggono all’abitudine e alla statistica. E
tuttavia appartiene anche al catalogo degli altri che l’hanno preceduto e che
lo seguiranno, quasi un assassinio di donna ogni due giorni. Qui sono due
ragazze di Palermo, amate, brave, belle. Ma la violenza di cui sono vittime è
un’epidemia che accomuna donne ammazzate, qualunque età abbiano, qualunque
rango. Liceali con la media del nove e prostitute romene. Non sono loro a
somigliarsi, ma i loro carnefici, uomini che uccidono donne, uomini che non
sanno resistere alla perdita, e se ne consolano ammazzando, uomini che amano
troppo per lasciar esistere fuori dal loro guinzaglio la donna che amano,
uomini troppo orgogliosi per sopportare la ferita alla loro vanità. Sono tanti
i siti che tengono il conto degli accessi e dei dettagli di questa epidemia, e
si moltiplicano i libri che li ricapitolano. E però si moltiplicano anche
violenze e uccisioni. Nell’estate appena passata, donne assassinate
selvaggiamente erano incinte, anche alla vigilia del parto. L’orrore ha
varianti infinite, e un'unica radice. Sono quasi sempre crimini di mariti,
fidanzati, amanti, a volte padri e fratelli. Uomini che, una volta divenuti
padroni di una donna –alla sua nascita, o al suo assenso, o alla sua conquista-
non accetteranno più di esserne espropriati, da lei o da un rivale: che è lo
stesso, perché ai loro occhi lei non esiste per sé, ma solo per un altro
padrone. Hanno dalla loro, i poveri assassini di donne, una millenaria
compassione, un’aura di grandiosità fatale e mai davvero sfatata, sicchè ancora
del loro gesto passano per vittime, anche quando, appena ieri, il codice abbia
rinunziato a esonerarli se non a render loro onore. Quel pregiudizio anzi si
rinvigorisce in proporzione al modo in cui cresce la libertà e la voglia di
libertà delle donne. Non è più, non solo, un resto dell’uomo antico, è anche un
tratto dell’uomo all’ultimo grido. Cala il numero degli omicidi, cresce quello
dei femminicidi. Guardate quanto generosamente si impiega il termine: raptus.
Anche quando si sono fatti chilometri con un coltello scaldato nella tasca.
Non so ancora se a Palermo la giovane vittima mancata –e con
quale mutilazione dovrà sopravvivere, la metà di lei- avesse subìto minacce e
le avesse confidate o denunciate. Nella maggioranza di queste tragedie è la
norma, e nemmeno il più forte disgusto per la galera, quando non sia un modo
necessario a impedire il male fatto ad altri, mi impedisce di pensare che, per
le minacce e le molestie accertate vere e gravi di uomini alle “loro” donne,
occorra trattarle come violenze –fino all’omicidio- già compiute. Salvo
piangere il giorno dopo su una donna trucidata in un raptus con 50 coltellate
dal “suo” uomo cui, tutt’al più, era stato consegnato un foglio che lo
diffidava dal frequentare il quartiere della “sua” donna.
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