Io sono un liberale, e dovrei provare dissenso preventivo da
qualsiasi cosa provenisse dal giornale L’Unità. Grazie a Giovanni Taurasi, e al suo Blog ben fatto, QUINTO STATO, alla sua
selezione degli articoli del giorno, ho l’opportunità invece di leggere
articoli interessanti come questo che intanto riporta notizie e informazioni
utili e condivisibili (la formazione del debito per garantire la crescita dei
consumi senza passare per quella delle retribuzioni ) e che propone delle
riflessioni. E' sulle ricette accennate (non è che ci sia un approfondimento delle stesse ) che resta la divisione. Andriani
suggerisce il controllo della politica, Zingales, per citare una soluzione
diversa, una vera concorrenza anche nel settore finanziario e SENZA protezioni
della politica ( cioè senza salvataggi delle banche marce. Spezzando il famoso
adagio per cui i guadagni sono privati e i debiti pubblici ).
Io lo riporto e aspetto di sentite i miei amici del TPI, decisamente più esperti di me...
Buona Lettura
Sono in molti a sostenere che quella in atto sia
sostanzialmente una crisi finanziaria e che l’irresistibile ascesa della
finanza sia la sua causa determinante. Ma la finanza non è il barone di
Munchausen, quello che riusciva a venir via dalle sabbie mobili tirandosi su
per i capelli. soprattutto un tipo di sviluppo che ha avuto per motore
l’indebitamento. Una crescita trainata dai consumi privati, mentre non
crescevano le retribuzioni, è potuta avvenire solo attraverso l’indebitamento
delle famiglie. Questa storia è durata alcuni decenni ed è avvenuta in tutti i
Paesi avanzati, ma in alcuni di essi, Usa in testa, con maggiore intensità.
Tali Paesi sono vissuti al di sopra dei propri mezzi indebitandosi pesantemente
verso altri Paesi. In quell’enorme e crescente mare di debiti la finanza ha
nuotato come un pesce. Se si considerano le principali «innovazioni » della
finanza – la titolarizzazione dei crediti e i derivati sui rischi di credito –
il loro scopo era quello di ridistribuire su scala mondiale l’enorme massa di
rischi di credito che si andava accumulando. Si è delineata così una tendenziale
separazione tra i soggetti che valutano e prendono i rischi e quelli che poi li
tengono in portafoglio senza avere la competenza per gestirli. Spesso debitore
e creditore non sanno più chi sia la propria controparte. L’attività bancaria
ha cambiato natura, diventava meno importante seguire quotidianamente la
clientela, imprese e famiglie, e più importante gestire la tesoreria facendo
attività di trading sui mercati. In questo nuovo modo di fare finanza, detto
originate and distribuite model, si è stabilita una gerarchia: in testa alcune
grandi banche d’investimento, soprattutto americane ed inglesi, che generano i
prodotti finanziari che vengono poi valutati da agenzie di rating talvolta ad
esse collegate e gli altri soggetti finanziari che quei prodotti comprano. Le
prime hanno tratto i maggiori vantaggi. Dati della Banca centrale d’Inghilterra
ci dicono che il tasso di profitto medio delle banche inglesi, che era nel 1970
del 10%, pari alla media del sistema, nel 2007 era del 30%, mentre il valore
degli asset delle banche che equivaleva nel 1970 al 50% del Pil era diventato
nel 2007 cinque volte il valore del Pil. Nessuna meraviglia che in quel
contesto si sia affermata potentemente la tendenza ad usare in modo speculativo
i prodotti finanziari il cui valore di mercato si è enormemente dilatato e che
sia nato un sistema bancario ombra, tendente ad operare al di fuori delle
regole, del quale gli hedge fund sono la punta di diamante. Coloro che ancora
adesso sostengono che l’innovazione finanziaria sia troppo veloce per essere
conosciuta e controllata efficacemente fingono di ignorare che il processo di
degenerazione della finanza è stato analizzato e denunciato in tempo reale da
grandi personaggi della finanza tipo Buffet, Soros, Bebear. E coloro che
sostengono che debbano essere i mercati finanziari a disciplinare i governi
fanno finta di ignorare che la crisi è nata in quanto i governi non hanno
voluto disciplinare i mercati e hanno delegato alle banche centrali la politica
economica. Poiché la crisi finanziaria è profondamente collegata alla crisi del
passato modello di sviluppo, la nuova regolazione della finanza andrebbe
orientata a sostenere il passaggio ad un nuovo tipo di sviluppo. Importanti
questioni sono sul tappeto: come mettere i sistemi bancari in grado di
ricominciare a finanziare l’economia reale; come gestire le crisi e gli
eventuali default delle istituzioni finanziarie; la separazione delle attività
di banca di investimento da quelle di banca commerciale; la regolazione dei
mercati dei derivati e della titolarizzazione dei rischi. Ma la vera riforma
strutturale da realizzare per la finanza è il suo passaggio da un ruolo
orientato a sostenere l’aumento dei consumi attraverso l’indebitamento a quello
di favorire l’aumento del risparmio e la sua efficiente allocazione in una
strategia di rilancio degli investimenti. Ma non è quello che sta avvenendo: le
nuove regole di Basel III e di Solvency II, come tutte le regole che hanno come
effetto di accentuare le tendenze negative del ciclo economico, sono un potente
ostacolo al finanziamento di investimenti di lungo periodo. Per rilanciare gli
investimenti e rinnovare il welfare in corrispondenza di nuovi bisogni,
nell’attuale situazione di stress dei bilanci pubblici, il ruolo della finanza
e il suo riorientamento sono di importanza cruciale. Spetta alla politica
elaborare una nuova visione dello sviluppo, entro il quale il riorientamento
della finanza debba essere realizzato, e definirne le regole. Perciò sorprende
che il dibattito e le decisioni sulle nuove regole della finanza siano
sostanzialmente delegate agli addetti ai lavori, anche ad istituzioni che
portano la responsabilità del processo degenerativo. Ad esempio, alla questione
dell’unificazione del controllo sulle banche in Europa, che oggi è aperta di
nuovo, era stata già data una risposta negativa, un paio di anni fa, ma non se
ne era mai veramente discusso ed anche oggi il tema dell’unificazione bancaria
di importanza determinante cade sostanzialmente al di fuori del dibattito politico.
In società complesse le decisioni politiche implicano crescenti conoscenze
tecniche, il che ne rende difficile la comunicazione. Ma spetta proprio alle
forze politiche far comprendere ai cittadini il contenuto politico di scelte
apparentemente tecniche. Altrimenti governi tecnici, formali od informali che
siano, prevarranno sempre.
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