L’articolo , bello, che riporto, è di Giuliano Albarani , pubblicato sul settimanale LA VOCE. A mio avviso non sono tanto i "particolari" che
descrive e riporta ( per la maggio parte condivisibili ma con inevitabili
distinguo personali ) quanto nell”evocazione”. L’acquisto del quotidiano come
“rito” laico. Suggestivo. E vero.
Buona Lettura
E’ domenica. La lettura dei giornali merita un po’ più di
tempo. Torno a casa dall’edicola con la “mazzetta”, che fa tanto persona
ideologicamente duttile e professionalmente impegnata. Inizio a sfogliare, con
trascuratezza. Da qualche mese a questa parte mi sono accorto di essere
diventato un grande consumatore di titoli e sommari, pochi gli articoli letti
integralmente, e non me ne vanto. E’ che molto, a volte tutto, ha il sapore del
deja vu.
Provo a prestare più attenzione, ma non è semplice: le prime
pagine dei quotidiani di oggi si assomigliano abbastanza. La ricetta è quella,
cambiano i dosaggi. Chi mette più cronaca, chi esagera con la politica interna,
ma i risultati non sono poi così distanti. C’è il governo Monti, con il
rilancio del disegno di legge sulla corruzione. In piazza gli ha fatto il
controcanto la Cgil, denunciando le ricadute recessive del rigore tecnocratico.
Ci sono le primarie del Pd, Renzi attacca, gli altri si difendono, abbozzando
tutt’al più qualche contropiede. Non mancano i morti ammazzati assurdamente,
chi per mano della camorra, chi per opera di folli in preda alla gelosia.
Sfoglio verso l’interno, dopo le note dal e sul governo ci
sono un paio di paginoni sulle storiacce della nuova Tangentopoli, anche la
Chiesa, beata lei, adesso si lamenta del mercimonio di cariche pubbliche.
Qualche articolo più in là incappo nell’ormai canonico dossier sulle
conseguenze stimate della manovra economica (cosiddetta “legge di stabilità”)
in predicato di approvazione: si fanno i conti in tasca – sempre più vuota –
agli italiani, ogni lettore può vedere, fascia di reddito alla mano, quanto gli
costeranno le nuove regole sulle detrazioni et similia, cittadino che vince
(pochi), cittadino che ci perde (la maggioranza).
Mi dico, quasi borbottando, che le prime quindici, venti
pagine dei quotidiani italiani sono diventate ormai una specie di promemoria,
non informazione nel senso classico del termine, ma un ripasso, giorno dopo
giorno, sulle magagne immobili del nostro piuttosto disgraziato paese. Tutto
sempre uguale, tocca guardare con attenzione il giorno di uscita della
foliazione sennò non cogli differenze, mi è già capitato di compulsare un
“Corriere della Sera” o una “Repubblica” dell’avantieri senza accorgermene
prima di arrivare alle pagine sportive.
Certo, è colpa della pigrizia dei giornalisti, e di alcune
leggi apparentemente contraddittorie dell’informazione pubblica: i lettori
comprano i giornali, consapevolmente, per avere notizie, cioè, propriamente,
informazioni che non posseggono già, ma poi sono tutti – me compreso – bambini
sulla soglia della buonanotte, che inconsciamente amano il racconto ripetuto,
al massimo con piccole varianti, sui personaggi o i caratteri che padroneggiano
(appunto, Monti-Camusso, Bersani-Renzi, Berlusconi-Boccassini, e poi i politici
corrotti, i mafiosi violenti, gli evasori strafottenti…).
Anche le pagine degli Esteri non si discostano da questo
clichè: in Medio oriente si tirano bombe, in Iran si lavora al nucleare, in
Cina si zittiscono le voci contro, Obama e Romney provano a strapparsi lacerti
di consenso in vista del roundi finale di novembre. In pochi minuti, dopo aver
compiuto il periplo della penisola, ho circumnavigato il mondo, senza sussulti
e reali avanzamenti sul piano della conoscenza e della consapevolezza, bene che
vada si è trattato di un ripasso o della dimostrazione empirica di cose già
note per via deduttiva.
Pian piano, addentrandomi nel corpo del giornale, sento però
che il livello di dopamina sale: trovo interviste non banali con musicisti e
scrittori, approfondimenti su rilevanti ricorrenze storiche, le agognate pagine
calcistiche.
D’altra parte persino le previsioni del tempo e la presentazione
dei palinsesti televisivi appaiono emozionanti rispetto alla routine delle
sedicenti notizie del giorno (in verità la declinazione su quel giorno delle
notizie di sempre, immobili e invarianti).
Già da tempo, in riferimento alla crisi di utilità e di
vendite delle testate quotidiane, incalzate, senza nessuna possibilità di
vittoria, dalla tv, dal web e dai social network, si parla di una tendenza alla
“settimanalizzazione”, cioè al sovradimensionamento di quelle sezioni e di
quegli apparati – le inchieste, gli approfondimenti, le rubriche – che
dovrebbero più e meglio caratterizzare i periodici. E, di rimando, qualcuno,
abbastanza spiritoso, ha evocato la mensilizzazione dei settimanali, dalla
quale dovrebbe derivare, a rigor di logica, la semestralizzazione dei mensili,
e così via, all’infinito.
Al di là delle diatribe mass-mediologiche, la verità,
triste, è però una: vuoi a causa di un mondo gattopardesco, in cui tutto cambia
per rimanere com’è, vuoi per amore del quieto vivere e lavorare da parte di
un’abbondante maggioranza degli operatori della carta stampata, la lettura del
quotidiano nazionale, oggi, in Italia, è davvero, hegelianamente, preghiera
mattutina dell’uomo laico. Come ogni supplica tende infatti a ripetersi uguale
a se stessa e soprattutto richiede, per la sua esecuzione, un’abbondante e
solida dose di fede nel domani.
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