Grazie a QUINTO STATO , il blog che seleziona gli articoli ritenuti più di interesse del giorno comparsi sulla stampa italiana, ho ripreso a leggere Repubblica. Mi fa piacere perché è un giornale che ho soffertamente "amato" e perderlo del tutto mi dispiaceva. Oggi ho trovato questo contributo di un autore che non amo, che però affronta un problema noto, dibattuto, ma sul quale non riesco a trovare obiezioni convincenti nel MIO campo. Io condivido la posizione di coloro che alle obiezioni degli ecologisti osservano come il mondo, grazie alla industrializzazione, sia grandemente evoluto e non solo dal punto di vista del benessere e le comodità (cosa certamente accaduta, mai con questa velocità e misura) , ma anche della medicina , delle conoscenze , della velocità degli spostamenti e delle comunicazioni. Certo questa evoluzione non è stata uniforme, tutt'altro. Ma anche molte regioni non toccate da questa ricchezza sono però diventate meno povere, secondo gli indicatori numerici. Certo, stride di più il livello di diseguaglianza. Io non ho colpa di essere nato in Italia, ma certo nemmeno quello che è nato in Sudan ne ha.
Detto questo, possibile che esista una crescita infinita ? Sembrerebbe di no....Soprattutto non nel modo che abbiamo conosciuto. Anche perché , parlando per esempio di energia, l'unica forma alternativa ai fossili per efficienza , costi e quantità sembra essere quella nucleare, che però ha controindicazioni non da poco, se è vero che anche paesi meno isterici del nostro (Germania e Giappone) la stanno mettendo seriamente in discussione. Lo dico subito. NON ho risposte. Nel postare un commento all'articolo sul sito di Quinto Stato ho scritto infatti : "Il discorso di Sylos Labini non è nuovo però non sento risposte convincenti e/o rassicuranti. Siamo e restiamo sul “qui e ora”. Io, uomo di 50 anni, potrei anche non disperarmi troppo..Non vedrò finire il “mio mondo”. Quello che ho conosciuto (affannarsi sì, già accade ). Ma andando oltre un lasso temporale che è meno di un soffio ? Allo stesso tempo vorrei chiedere all’autore dell’articolo : se un nuovo modello non più centrato sulla crescita “infinita” non riconduce alla povertà, in che modo può comunque garantire una dose di benessere a cui gli occidentali sono assolutamente abituati ? Faccio solo l’esempio degli spostamenti di persone e merci, che richiedono consumi energetici non piccoli. Sarebbe possibile conservarne quantità e VELOCITA’ ricorrendo a fonti alternative ? Se penso alle auto elettriche, mi verrebbe da dire di no. Non a caso l’autore parla di svolta “culturale ” e addirittura “morale”.
Vasto Programma, avrebbe commentato uno che se ne intendevaBuona Lettura
“SE LA
CRESCITA NON BASTA PIÙ” di GIORGIO RUFFOLO STEFANO SYLOS LABINI da La
Repubblica del 9 novembre 2012
Oggi vi è un
consenso molto ampio sul fatto che per superare la crisi sia necessario
rilanciare la crescita dell’economia. Qualunque critica si possa muovere alla
crescita, in nome di qualunque principio, è destinata a suscitare anatemi. La
crescita non è una scelta ma una condizione obbligata per la sopravvivenza del
sistema capitalistico: venuta meno questa condizione, la sua rapida ripresa è
diventata un’invocazione corale.
Ma esistono
dei forti dubbi che la crescita possa rappresentare l’unica soluzione dei
nostri problemi in quanto un’espansione quantitativa senza limiti così come
l’abbiamo conosciuta
dalla
rivoluzione industriale non appare sostenibile. Ricordiamo che prima
dell’attuale crisi l’economia mondiale si sviluppava a un tasso medio che, se
estrapolato fino al 2050, l’avrebbe moltiplicata per 15 volte; se prolungato
fino alla fine del secolo, di 40 volte. E sappiamo che la crescita comporta un
incremento della popolazione, che oggi è pari a circa 6,5 miliardi di persone e
nel 2050 dovrebbe toccare i 9 miliardi.
Riproponiamo
dunque la domanda: è concepibile un’economia capace di una crescita continua?
Per noi la risposta è senza alcun dubbio negativa perché la crescita sta
determinando un’imponente distruzione di risorse naturali. Ne deriva che il
rilancio della crescita può rappresentare una fase, non uno stato permanente
dell’economia, e che agli economisti toccherebbe il compito di rispondere alla
domanda: esistono altre forme di economia che possano fare a meno della
crescita senza farci ricadere nella povertà? È possibile “una prosperità senza
crescita” come si afferma nel titolo di un recente libro di Tim Jackson?
Da tempo
economisti e scienziati si sono impegnati nel compito di immaginare quali
dovrebbero essere le linee portanti di un nuovo modello di sviluppo
dell’economia in senso ecologico e, soprattutto, di un nuovo modello
ideologico. Crediamo che sia giunto il momento di passare dall’economia della
competizione a una nuova economia della cooperazione: la competizione sempre
più spinta ha prodotto un’età della crescita che è oramai degenerata in un’età
della distruzione. Nuove forme di cooperazione potrebbero, invece, condurci
verso un’età di rinnovato benessere.
In concreto,
si tratta di promuovere un formidabile progresso tecnologico e una decisa
svolta morale per modificare sia l’evoluzione della tecnica sia la psicologia
del consumatore il quale dovrebbe acquisire maggiore consapevolezza delle sue
azioni e dell’impatto che esse provocano
nella società e nell’ambiente naturale. Ciò significa passare dalla quantità
alla qualità, da un concetto di “maggiore” a uno di “migliore”, dall’espansione
illimitata all’equilibrio dinamico.
Uno degli
aspetti fondamentali riguarda la riconversione ecologica dell’economia e
implica il cambiamento del modello di sviluppo basato sui combustibili fossili,
sull’automobile a benzina e sulle materie plastiche. Un modello che si è
affermato da circa duecento anni e che, nonostante innovazioni come
l’elettricità, l’informatica e le telecomunicazioni, continua ad essere
dominante.
Un processo
di riconversione ecologica dell’economia richiede nuovi indicatori e nuovi
strumenti di misura delle performance economiche, sociali e ambientali. Occorre
superare il Pil che rappresenta il valore monetario dei beni e servizi
scambiati sul mercato. Il prodotto interno lordo si è rivelato molto utile nel
misurare la crescita quantitativa, ma ha via via perso di efficacia nelle
economie postindustriali dove è cresciuto il peso dei servizi immateriali e
delle attività di carattere sociale, dove la qualità del prodotto e la
produzione di nuovi prodotti hanno assunto maggiore importanza e dove le
tematiche relative all’ambiente sono diventate sempre più centrali nelle scelte
di vita di un gran numero di persone. Inoltre, il Pil ignora completamente il
fatto che la crescita dell’economia è strettamente associata con il consumo
delle risorse che quindi tendono ad esaurirsi. Non solo i combustibili fossili,
ma anche le foreste, il suolo coltivabile, i metalli ed altre materie prime.
Infine, il Pil non conteggia la produzione di rifiuti, l’inquinamento, le
emissioni di anidride carbonica, la disponibilità di acqua dolce, il livello di
istruzione. Se tutto ciò venisse incluso nella stima del Pil constateremmo che
le nostre società non si stanno più arricchendo ma si sono incamminate lungo un
percorso di impoverimento sociale, economico e ambientale.
Per uscire
dalla crisi, dunque non basta semplicemente rilanciare la crescita, ma è
necessario concepire un nuovo modello di sviluppo ecologico e cooperativo ed
elaborare nuovi indicatori che siano in grado di misurare realmente la
ricchezza prodotta e le risorse consumate a livello globale.
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