Quando facevo il Liceo erano "i formidabili" anni 70, come ha scritto quel povero comunista cocciuto di Mario Capanna (che nessuno oggi ricorda, ma che allora era di moda più di Bertinotti ieri o Vendola+Camusso adesso) . Anche io ho un bel ricordo degli anni 70, ma solo e proprio perché è l'età della mia adolescenza, che fu direi felice. Mi piaceva andare all'Augusto, dove "ferveva" la politica e dove il motto "ora studiata ora buttata" poteva trovare una sua applicazione non sanzionata, grazie alle interrogazioni programmate, il 6 politico, i compiti in classe collettivi. Nella mia sezione, la E, si godeva delle prime (che comunque non era cosa a poco ) , mentre il resto non era ufficiale ma la bocciatura era veramente frutto di eventi più che eccezionali (insomma, non i terremoti in Italia, molto più probabili ahinoi ) e i compiti, se non erano proprio collettivi, certo piuttosto collaborativi sì (insomma, controlli molto lassi). Fummo gli antesignani delle OKKUPAZIONI delle medie superiori, ora una REGOLA ASSOLUTA del mese di Novembre (potrebbero anche metterla nei programmi del provveditorato e nel calendario scolastico : ormai è tappa FISSA). Ogni occupazione , finisce rigorosamente con le vacanze di Natale. Che senso ha occupare una scuola nei gironi di festa ? A gennaio poi la tradizione non la prevede più. Ma si può ??
Tra i tanti miti di allora, la DEMOCRAZIA DIRETTA. Era il popolo a dover decidere, il parlamentarismo, con la sua rappresentanza, le sue deleghe, era il male da superare. Tanto è vero che gli "autonomi", quelli di estrema sinistra che si preparavano a sostituire i fascisti con i figiciotti come bersaglio delle loro aggressioni (però coi primi si menavano e anche "sprangavano" , coi secondi lo scontro rimaneva verbale per lo più. AL massimo qualche schiaffo, ma di rado, almeno a scuola ), contestavano i decreti delegati del ministro Malfatti ( nomen omen ) , che istituivano i rappresentanti di classe , di istituto, portando la "democrazia" a scuola ma sempre attraverso la forma delle elezioni e delle deleghe, al posto della rappresentanza diretta dell'ASSEMBLEA. In effetti conciliare il concetto di democrazia diretta a società popolate e complesse non è semplice (Atene era PICCOLA ) e poi c'è un altro rischio grande : il Populismo.
Che non è solo un sostantivo aggettivato negativamente, ma proprio un fenomeno politico. La gente tende pericolosamente a preferire un CAPO.
Di questo problema parla Sergio Romano nella sua risposta ad un lettore nella rubrica che detiene sul Corriere. In realtà, nella prima parte, Romano parla anche di un declino del federalismo, in corso sia in Svizzera che negli USA, a favore dello Stato Centrale, per via anche della crescente domanda di assistenzialismo (nonostante l'economia non lo sorregga !). Se così è, e sembrerebbe di sì, si tratta di una degenerazione, da combattere. Perché a mio avviso proprio il federalismo, con la presenza di unità più piccole dove è maggiore il contatto e la conoscenza tra rappresentanti e rappresentati, può favorire un rapporto "diretto" che diminuisca il senso di distanza tra governanti e governati. Senza contare altri vantaggi, anche psicologici , del federalismo fiscale, con i contribuenti che vedono in concreto come vengono utilizzati i loro denari. Romano non sembra un simpatizzante del federalismo, ma è solo una mia sensazione. D'accordo con lui invece sui pericoli della "dittatura della maggioranza". Le Costituzioni servono a questo : confini entro i quali chi detiene il potere può muoversi. Certo, anche le costituzioni possono essere modificate...
Buona Lettura
TUTTO IL
POTERE AL POPOLO MA NEI LIMITI DELLA CARTA
Prendo spunto
da una risposta sull’art. 1 della Costituzione in cui spiegava quell’essere
stata definita, l’Italia, «Una Repubblica democratica fondata sul lavoro». Non
trova che la parte che andrebbe meglio approfondita di quell’articolo non sia
la prima frase, bensì la seconda, in particolare nella sua conclusione? Nulla
da eccepire sul dovuto «la sovranità appartiene al popolo», ma vorrei chiederle
il perché si sia aggiunto immediatamente dopo il «che la esercita nelle forme e
nei limiti della Costituzione». Non sarebbe stato meglio se i padri costituenti
non fossero andati oltre la virgola? L’aver aggiunto proprio nel primo articolo
quel paternalistico paletto oltre cui la stessa principe sovranità popolare non
poteva andare, non è fuorviante, trasmettendo fin da subito l’impressione che
proprio la sovranità popolare non sia esente dall’essere fallace e che per
questo la si debba esercitare in forme e limiti definiti? Sembra quasi che si
voglia ricordare quanto lo stesso popolo possa essere immaturo e irresponsabile
nel decidere del proprio destino. Una visione, questa, che aveva ben più
esplicitamente anche il regime precedente e che in qualche modo si è trascinata
sino ad oggi: è proprio la democrazia diretta che continua a essere messa ai
margini delle decisioni politiche. Permettendo il successo della politica dal
«dito puntato» può far comodo ai populisti, ma fa dimenticare come, in
democrazia, sia il popolo il principale responsabile di se stesso e politicamente
si meriti sempre ciò che ha, anche quando non vota!
Mario Alberti
Noceto (Pr)
Caro Alberti,
Il popolo, inteso come massa indistinta di cittadini, non può amministrare la
cosa pubblica, impartire la giustizia, negoziare i trattati, affrontare i
problemi creati da una calamità naturale, fare programmi di lungo respiro per
lo sviluppo del Paese, combattere il crimine, l’evasione fiscale, la frode, la
corruzione. È lecito auspicare un certo grado di democrazia diretta. Ma ciò che
è possibile in Svizzera non è necessariamente tale in Germania (due Paesi che
hanno molte affinità culturali). La storia del federalismo, a questo proposito,
è molto interessante. Gli Stati federali nascono dalla diffusa convinzione che
ogni decisione debba partire dal basso e rispondere anzitutto alle esigenze di
una comunità locale. Ma l’esperienza dimostra che nei principali Stati
federali, dalla Svizzera agli Stati Uniti, il potere centrale si è
progressivamente rafforzato, con il passare del tempo, assumendo funzioni che
erano prima strettamente locali. Il fenomeno è dovuto, tra l’altro, alla
creazione dello Stato assistenziale, all’economia programmata, alla nascita di
nuovi diritti che chiedono di essere pubblicamente tutelati. Nel caso della
Costituzione italiana, inoltre, i costituenti sapevano che tutti i regimi
dittatoriali e totalitari si erano imposti grazie a un considerevole consenso
popolare. Furono popolari i giacobini francesi all’epoca del terrore. Fu
popolare Napoleone Bonaparte soprattutto negli anni dei suoi successi militari.
Fu popolare il nipote, Luigi Napoleone, quando venne catapultato al vertice
dello Stato repubblicano con più di 5 milioni di voti contro meno di 2 milioni
ai suoi avversari e fu più tardi autorizzato, con 7 milioni e mezzo di voti, a
scrivere per se stesso una costituzione imperiale. Fu popolare, in quasi tutti
gli Stati combattenti all’inizio del conflitto, la Grande guerra. Furono
popolari, almeno durante alcune fasi del loro potere, Mussolini, Stalin,
Hitler. Una delle maggiori preoccupazioni dei liberali europei, fra l’Ottocento
e il Novecento, fu la «dittatura della maggioranza». Sapevano che il «popolo»,
quando crede di conquistare il potere, lo consegna prima o dopo nelle mani di
un dittatore, spesso demagogo e populista. Fu questa la ragione per cui i
costituenti preferirono ricordare che la sovranità si «esercita nelle forme e
nei limiti della Costituzione».
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