domenica 11 novembre 2012

TUTTI CHIEDONO IL CAMBIAMENTO. QUELLO DEGLI ALTRI



L'altro giorno ho riportato l'articolo comparso su Repubblica di Sylos Sabini che rifletteva sull'indispensabile passaggio dalla "crescita" economica quantitativa a quella qualitativa, prendendo atto una volta per tutte che l'espansione infinita non era pensabile, tenuto conto degli equilibri eco-sistemici , della non inesauribilità delle risorse, tenuto anche conto dell'aumento numero dei paesi iscritti allo sfruttamento delle stesse.
Problema noto, a cui però non viene data risposta alcuna, perché il cambiamento necessario a questo salto di binario - da quantità a qualità - è quello più difficile di tutti : CULTURALE.
Tosto....
Torna sulla questione, in termini diversi, Gian Arturo Ferrari, oggi, sul Corriere della Sera. Parte da un esempio che fa sorridere ma non poi tanto : quando l'inventore del capitalismo made in Cina, Deng XiaoPing,  lanciò la sua rivoluzione , aveva come obiettivo che nel suo Paese tutti avessero quattro cose : una bicicletta, un orologio, una radio e una macchina da cucire. Questo accadeva negli anni 90, roba che l'Europa giusto i primi anni del dopoguerra....
Ebbene, gli europei devono resettarsi, capire ed accettare che l'epoca della grande cuccagna è finita, e che seppure tutto è desiderabile e bello da avere, non è possibile e quindi bisogna fare delle scelte.
E' un pensiero che mi viene sempre quando vedo gli scioperi, tutti in genere, e ieri quello delle insegnanti che non vogliono lavorare più di 18 ore in classe (ricordando i compiti che devono correggere , le lezioni che devono preparare a casa...facciamo una cosa...restino a scuola a farlo. Sono sicuro che sarebbero velocissime...signore, io ho avuto nonne, madre. zie e fidanzate insegnanti...so come funziona...), mentre ci sono decine di migliaia di colleghe pronte a prendere il loro posto. Ah, ovviamente, come sempre, servi sciocchi i loro studenti, cui certo non sono i loro "prof" a spiegare che il "Loro futuro", quello per il quale manifestano affiancati , è rubato da un sistema DIFESO a spada tratta proprio da chi gli dice PALLE.
Insomma, siamo alle solite : a parlare male del sistema capitalista siamo capaci tutti, ma è QUESTO sistema che ci ha dato un benessere, fatto anche di privilegi e comodità, SCONOSCIUTI al resto dei 3/4 del mondo. Correggerlo è indispensabile, Va bene. Ma come si pretende di farlo senza rinunciare al "grasso" che ci ha consentito ? Senza diventare non dico poveri, ma certamente molto più sobri ? E non pensate sempre ai  "ricchi" !! La sobrietà riguarda ciascuno di noi, e quindi la rinuncia riguarda anche tutta una serie di cose belle e normali. E quindi, faccio solo un esempio a cui però nessuno pensa mai,  la quantità e la qualità del tempo libero...Anche quello deve diventare più "sobrio" e meno "consumista". Qualcuno ci ha pensato ?
Buona Lettura


“Dall’irresistibile impero del consumo alla democrazia dell’intelligenza”  


Nel 1992, dunque solo vent’anni fa, Deng Xiaoping, il minuscolo ed eccelso riformatore allora ottantasettenne, si prese la briga di elencare le «quattro grandi cose» che bisognava assolutamente rendere disponibili ai consumatori cinesi. Esse erano una bicicletta, una radio, un orologio da polso e una macchina da cucire.
Questo per ricordare a noi europei, depressi di fronte ai tassi di crescita altrui, che bisogna anche tener conto del punto da cui si è partiti. E che, per un minimo di coerenza, non ci si può dichiarare anti eurocentrici e rifiutare l’eredità coloniale mentre si guardano con sospetto lagnoso i Paesi che a grandi passi stanno uscendo da un iniquo passato. Quel che sta succedendo in quei Paesi è una ripetizione su larga scala di quanto accadde in Europa all’ indomani della guerra mondiale. E cioè l’avvento dell’impero irresistibile, come lo ha ben chiamato Victoria De Grazia, ossia della società dei consumi di stampo americano fondata sui beni di massa, sui brand, sulla grande distribuzione, sul marketing, sulla pubblicità, sullo star system. Con al centro il cittadino consumatore. Aborrita da Pier Paolo Pasolini e dai pensatori francofortesi, Theodor W. Adorno in testa, i quali vi vedevano la forma suprema e ultima di totalitarismo, la democrazia dei consumi, dopo aver serenamente ammansito e conquistato l’Europa, si sta ora pappando consistenti porzioni degli altri continenti. Da qui le prodigiose crescite, ma anche le tensioni interne e l’ instabilità degli assetti politici destinati a favorire le prime e contenere la seconda. L’ Europa ha altri problemi. La grande ebbrezza (a volte degenerata in sbornia) della democrazia dei consumi e delle sue infinite meraviglie è alle nostre spalle. La non crescita e la bassa produttività segnalano (non solo, ma anche) il raggiungimento del culmine, l’inizio della discesa, la fine di un ciclo. Ed è proprio questa l’occasione da cogliere e da sfruttare. Dall’alto di standard di vita che non hanno eguali nel resto del pianeta, forti di una sostanziale eguaglianza di consumi, seduti su un gigantesco capitale di cultura, noi europei non possiamo più attardarci a rimpiangere gli anni Cinquanta.
Le nostre difficoltà dipendono dal fatto di essere la parte più avanzata e ricca del pianeta e per questo quella che per prima sta affrontando il nuovo, problemi inediti, orizzonti sconosciuti. Ancora per una volta, forse per l’ultima (e forse più nolenti che volenti), siamo all’avanguardia. La stessa stretta economica può avere un effetto benefico se ci costringerà ad aguzzare un ingegno alquanto impigrito in agiate stupidaggini.
Non si tratta di tornare a vetuste deprecazioni del consumismo o di scaldarsi al focherello di innocenti utopie, ma di passare in rassegna con occhio limpido la congerie di cose in cui mettiamo denaro — pubblico e privato —, di eliminare quelle palesemente inutili — pubbliche e private — , di stabilire un chiaro ordine di priorità tra le restanti — pubbliche e private —, sapendo che ogni destinazione ha certo un suo perché, ma che non tutte possono stare insieme al primo posto. ( e qui scatta la standing ovation ! ndC ). 
Dalla democrazia dei consumi dobbiamo passare alla democrazia dell’intelligenza, sociale e privata. Non è affatto semplice, ma non ci resta molto altro da fare, stretti come siamo tra chi campa (e assai bene) vendendo energia, chi vendendo forza lavoro a basso costo e chi — gli Stati Uniti — vendendo tecnologia (e questa è la cosa che a noi europei dovrebbe più bruciare). La nostra via è combattere i grandiosi sprechi di cui ci siamo fin qui compiaciuti e tradurre in qualità di prodotto la cultura che abbiamo (che altri prima di noi hanno) accumulato. Manifattura di qualità, invenzione di qualità, eleganza (non solo nell’abbigliamento), cultura. Costruire un’economia che, possibilmente, abbia la stessa ampiezza di quella dei consumi, ma un livello più alto, che offra un appagamento più intenso. La radio, l’orologio, la bicicletta e la macchina da cucire le abbiamo già da un bel pezzo.


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