lunedì 31 dicembre 2012

IL COMPROMESSO STORICO PROSSIMO VENTURO : BENVENUTI ALL'ANNO NUOVO 1973


Tempo fa, un lettore affezionato nonché parente , nell'apprezzare una nota critica di uno dei commentatori più riportati sul Camerlengo, Davide Giacalone, chiedeva perché non venisse dato spazio ad altri opinionisti pure autorevoli , e fece il nome di LUCA RICOLFI.
In quell'occasione risposi che non posso evidentemente leggere tutto, e che tra l'altro Ricolfi è autore da me estremamente stimato, per  averne letto due interessantissimi libri , la Repubblica delle Tasse e un altro sulla Questione del Nord. Leggo volentieri, quando mi capita sotto gli occhi, qualche suo articolo sulla Stampa, quotidiano che però non acquisto regolarmente, in considerazione che l'unica firma che apprezzo veramente è appunto la sua.
Oggi l'ispirazione mi ha colto e ho acquistato il quotidiano di Torino e fortuna ha voluto non solo che trovassi un articolo di Ricolfi ma che nello stesso il professore e commentatore esprimesse mirabilmente il pensiero mio ( e sono certo di molti altri ) sulla situazione politica italiana e il non fausto futuro elettorale che si approssima.
Da quel che ho letto , ritengo che Ricolfi , esattamente come il Camerlengo, abbia guardato con favore la possibile unione di due nuovi movimenti di ispirazione liberaldemocratica, Fermare il Declino di Giannino e Italia Futura di Montezemolo, o che Monti potesse , nel decidere la sua "ascesa" in campo, porsi alla guida di una offerta politica di questo tipo ( a dire il vero io su questo ci ho creduto meno...). Anche Renzi, nel PD, aveva costituito una speranza di novità e di modernità. Sappiamo com'è finita, e incidentalmente, trovo opportuna e condivisibile la lettera inviata e pubblicata sul Corsera da parte di alcuni ex esponenti  PD che , come Ichino, hanno lasciato quel partito, ma non per questo accettano l'appellativo di transfughi. Osservano, giustamente, che è il Partito Democratico ad essere diventato ALTRO da quello costituito da Veltroni nel 2007, con la fusione di Margherita e Democratici di sinistra, diventando un puro e semplice partito di sinistra, che racchiude anime socialdemocratiche e più di sinistra radicale, ma nulla di Liberal o di Liberalismo-Democratico  Così, tornando al pensiero di Ricolfi,  ora non resta che la prospettiva assai triste e preoccupante del ritorno desolante alla peggiore Prima Repubblica, quella fondata su un centro sinistra consociativo e antico, "immoderno". I tavoli, le concertazioni, le ammucchiate e i compromessi al ribasso. E se mancano soldi, si tassa .
Una pacchia...E ci tocca pure assistere alla manfrina delle finte liti tra Bersani e Casini...Una vera pantomima.
Da Leggere


VERSO LA PRIMA REPUBBLICA 


Come sarà il 2013? Ce lo chiediamo in molti, perché un anno come quello che ci lasciamo alle spalle non vorremmo si ripetesse mai più. 
Un dato riassume bene quel che è cambiato: le famiglie che non riescono ad arrivare alla fine del mese, e quindi sono costrette a fare debiti o ad attingere ai risparmi, sono raddoppiate. Erano circa 3 milioni e mezzo un anno fa, oggi sono 7 milioni: quasi una famiglia su tre.  
In questa situazione, la politica si prepara allegramente al voto del 24 febbraio. E anche noi elettori ci prepariamo perché, comunque la pensiamo, dovremo fare una scelta, foss’anche quella di non andare a votare. Per quanto mi riguarda, il sentimento che meglio descrive il mio stato d’animo è un misto di sconforto e solitudine. Un sentimento che non sento come mio personale, ma come largamente diffuso fra la gente, ovvero in tante delle persone con cui mi capita di parlare.
Lo sconforto è facile da raccontare. Quello cui siamo costretti ad assistere è un film già visto e stravisto. Andremo a votare con il «porcellum», senza poter scegliere i candidati. Eleggeremo un migliaio di parlamentari, come sempre. La sinistra ripropone il governo dell’Unione, già miseramente fallito con Prodi nel 2006-2008. La destra ripropone Berlusconi, il demagogo che ha occupato la scena degli ultimi 20 anni. Il centro, come giustamente paventa Eugenio Scalfari nel suo editoriale di ieri, ripropone una piccola Dc, nobilitata e abbellita dal marchio Monti. Spiace doverlo ammettere (perché anch’io per un attimo mi ero illuso), ma la lista Monti – partita con le più alte intenzioni – questo è diventata alla fine: una formazione che di liberaldemocratico ha quasi nulla e di vecchia politica ha molto, se non quasi tutto. Per me, come per altri, è stato un piccolo shock, una doccia fredda. Nel giro di pochi mesi, e poi sempre più velocemente nelle ultime settimane, negli ultimi giorni, nelle ultime ore, fino alla decisiva «riunione in convento» di venerdì scorso, sono cadute tutte le ipotesi più coraggiose e innovative di cui si è parlato negli ultimi tempi. Ancora due mesi fa, sembrava possibile una lista liberaldemocratica, che saldasse «Italia Futura» e «Fermare il declino», i movimenti di Montezemolo e Giannino. Poi, caduta quell’ipotesi, pareva rimasta in piedi quella di una lista Monti «unica» (senza apparentamenti), molto aperta alle forze esterne, molto selettiva verso la vecchia politica, molto severa con i politici condannati. Era questa la missione affidata al ministro Passera, era questo – credo – ciò che aveva attirato nell’area montiana politici di grande valore come Pietro Ichino. Anche questa ipotesi è caduta: alla Camera chi sceglierà Monti dovrà tenersi Casini e Fini, con tutto il seguito di vecchie glorie della seconda Repubblica. E chi avesse qualche simpatia per «Fermare il declino», il movimento liberaldemocratico di Oscar Giannino, non ne troverebbe traccia nella lista Monti. Strano: Monti ha voluto presentare la sua agenda come aperta, ma non ha ritenuto di rispondere alla lettera aperta che Giannino e i fondatori di «Fermare il declino» gli hanno indirizzato dieci giorni fa. Comportamento legittimo, ma in totale dissonanza con le ripetute dichiarazioni di attenzione alla società civile e ai suoi movimenti.

Piccole cose, piccole beghe, dettagli irrilevanti, diranno i paladini di Monti e della sua agenda. E in effetti la si può pensare così. Se si è preparati ad assistere, 40 anni dopo, all’edizione aggiornata del compromesso storico fra comunisti e democristiani, sognato da Enrico Berlinguer nel 1973, la via è tracciata e ci si può accomodare serenamente in prima fila, in attesa che inizi lo spettacolo. Certo, non sappiamo ancora chi, fra Bersani e Monti, farà il presidente del Consiglio, ma è estremamente probabile che – dopo il 24 febbraio – a governarci sia comunque la santissima trinità Monti-BersaniVendola. Perché, contrariamente a quanto qualcuno vorrebbe farci credere, le distanze fra Bersani e Monti sono minime. Lo dicono innanzi tutto coloro che vedono con simpatia le rispettive agende: «l’agenda Monti ha il merito di mostrare che l’imposizione sui patrimoni non è soltanto una mania delle sinistre», molto lucidamente osservava ieri Stefano Lepri su questo giornale. E ancora più esplicitamente, nel già citato editoriale di ieri, scriveva Eugenio Scalfari: «C’è anche un’agenda Bersani. (…) Tra l’agenda Bersani e quella Monti non vedo grandi differenze, anzi non ne vedo quasi nessuna». Il giudizio mi sembra sostanzialmente corretto, anche se qualche differenza non del tutto marginale io invece la vedrei. Appena concluso il patto con Monti, Casini ha subito enunciato il punto fondamentale del suo programma: il quoziente familiare. Per chi non conoscesse il senso di questa oscura espressione, traduco così: se ci sono risorse per abbassare le tasse, le usiamo per alleggerire la pressione fiscale sulle famiglie in cui la donna non lavora e accudisce i figli. L’esatto contrario di quel che i politici e gli studiosi di matrice liberale raccomandano: aiutare le donne inoccupate a trovare un lavoro, detassando il lavoro femminile. Per non parlare di un’altra differenza, forse ancora più importante: in materia di federalismo, nonostante tutto, il partito di Bersani è più sensibile (meglio: meno insensibile) alle istanze del Nord di quantolo siano i partiti del Terzo polo, profondamente radicati nel Mezzogiorno e perennemente tentati da logiche assistenziali. 
Il fatto è che, nell’arcipelago Monti, il peso del mondo laico e liberale è ormai al minimo, mentre quello del moderatismo cattolico è massimo, specie dopo che il ministro Passera è stato costretto al passo indietro, e la rappresentanza della cosiddetta società civile è stata interamente appaltata a Verso la terza Repubblica, il movimento scaturito dalla confluenza fra Italia Futura e innumerevoli sigle dell’associazionismo cattolico. Ecco perché, all’inizio, parlavo di sconforto ma anche di solitudine.
Oggi, chi avrebbe voluto cambiare decisamente rotta, lasciandosi alle spalle la vecchia classe politica, imboccando risolutamente la strada delle riforme liberali – meno spesa, meno tasse, meno Stato – è disperatamente solo. E, quel che più dispiace, è solo non perché siamo in pochi, ma perché siamo in tanti ma senza rappresentanza. Nella lista Monti le istanze genuinamente liberali contano poco. I radicali, nonostante gli scioperi della fame (o a causa di essi?), sono quasi scomparsi dalla scena politica. Giannino e il suo movimento sono sostanzialmente ignorati dai media. Renzi è stato sconfitto e i suoi uomini sono tenuti ai margini del Pd. Gli elettori non contano nulla, perché i giochi si faranno dopo, in Parlamento, come ai tempi di Craxi, Forlani e Andreotti. In breve, se non vogliamo né Grillo né il ritorno del grande demagogo, la scelta è fra Pci e Dc. Anzi non c’è vera scelta, perché Bersani e Monti governeranno insieme. Che dire? Buon anno, e ben tornati nella prima Repubblica.

1 commento:

  1. RAFFAELE MARIN

    Grande il tuo prologo e grande Ricolfi. Buon anno ... e speriamo di cavarcela ?!?!

    RispondiElimina